venerdì 11 marzo 2016

TRISTEZZA ED INCUBI DEI NOSTRI GIOVANI

Sono profondamente rattristato. Vivo molto, negli ultimi tempi, in mezzo ai giovani, anzi ai giovanissimi: 17, 18, 19 anni al massimo.
Me li ritrovo spesso, la mattina, con le facce stanche, segnate.
Quando gli chiedo cos'hai, mi rispondono mestamente: "Prof, sono preoccupato, non so so cosa fare all'Università. Vorrei scegliere la facoltà XXX, ma poi non capisco se troverò lavoro. E allora stavo pensando alla facoltà XXX... però non è che mi piaccia molto... però c'è più possibilità".
Oppure vengono da me e mi chiedono: "Voglio andare all'estero, lei dove crede sia meglio?".

Sono stato, giorni fa, da una brava dottoressa, un medico antroposofico, così mi ha detto che si chiama la loro corrente, un tipo di medicina legato alla nostra base, occidentale, ma che contempla l'uomo nella sua totalità: corpo e anima (spero di aver sintetizzato bene).
Oltre a visitarmi nel modo consueto, auscultazione, pressione, ecc. mi ha fatto un sacco di domande. Tra cui: "Cosa pensava a 18 anni?".
Ho potuto rispondere la sola cosa che veramente mi è venuta in mente, con un sorriso pieno: "Sognavo! Sognavo di diventare un attore, un cantante lirico. Amavo il teatro (e lo amo ancora, grazie a Dio), la letteratura, la musica, studiavo pianoforte... insomma, sognavo...".
Ma a quel punto, dopo il sorriso, un velo di tristezza ha attraversato il mio cuore, pensando ai miei ragazzi, ai miei ragazzi che a 17 anni non dormono la notte perché non sanno decidere quale università scegliere per avere la certezza di trovare un lavoro, o che già pensano che dovranno emigrare, e ho condiviso con lei il pensiero: "Ecco, vede dottoressa, trovo disumano, schifoso che un ragazzo, in quella stessa età in cui io "sognavo", debba essere costretto a pensare di regolare la propria vita sulla base di una futura sopravvivenza, che debba castrare i propri sogni, il proprio animo, i propri desideri per un bieco motivo economico. È indecente, indegno. A diciotto anni, si dovrebbe poter sognare, come abbiamo fatto io e lei, si dovrebbe poter immaginarsi la vita come una possibilità, non come una castrazione. La vita, poi, si rivelerà dura, difficile, piena di trappole; ma se non puoi sognarla a diciotto anni, quando lo vuoi fare? Come trovo orrendo che a trent'anni uno debba pensare alla pensione. Quando sei nel massimo delle tue potenzialità, fisiche e mentali, devi metterti lì a pensare alla pensione. Ma a trent'anni le tue energie dovrebbero essere tutte rivolte alla realizzazione piena dei tuoi sogni, a giocarti tutte le tue carte, a concretizzare i sogni che avevi da ragazzo, non stare lì a pensare alla pensione, e quindi alla vecchiaia, e quindi alla morte... È una cosa vergognosa".
La dottoressa ha annuito, molto seriamente, e ha detto solo un mesto: "È vero. È una vergogna".

Ripenso alla mia giovinezza, alla spensieratezza con cui inseguivo appassionatamente e tenacemente i miei sogni, al tempo in cui profondevo energie, sudore, fatica per realizzare i miei desideri, e mi accorgo che non dipendeva solo da me, dalla mia voglia e dalla mia tenacia: il mondo è troppo forte e troppo grande perché un uomo da solo possa vincere la propria battaglia contro tutta la potenza di un intero mondo. Dire ai giovani che realizzeranno le loro aspettative solo se si impegneranno, è una bastarda mistificazione delle cose e della realtà.
Gli obiettivi che ho raggiunto li ho toccati perché c'erano intorno a me anche delle condizioni pensate perché ognuno di noi potesse provarci, potesse dedicarsi anima e corpo alla propria realizzazione, il sistema sociale, nel frattempo, ti garantiva la dignità minima di sopravvivenza.
Distruggendo, colpo dopo colpo, il sistema sociale che i nostri padri avevano creato, abbiamo tra le altra cose, distrutto la capacità dei giovani di sognare.
E badate bene, quando dico "sognare", non voglio intendere "fantasticare", che è una attività fine a se stessa, ma "immaginare". È diverso. Perché l' immaginare è basato sulla "immagine", e l'immagine è strettamente legata alla realtà: ipotizzi un futuro, sulla base di una immagine, quindi di un qualcosa che già hai visto, che è già nei tuoi occhi.
Dunque quel sognare di cui parlo, non è una attività priva di concretezza, ma assolutamente legata al reale e alle sue prospettive di sviluppo.
Quello che abbiamo tolto dunque ai giovani, creando le crisi che ci stanno portando al disastro, è la possibilità di immaginare il nostro futuro concreto, reale, possibile, che si sviluppa su di una linea progressiva tangibile e fattibile.
Garantendo a tutti la possibilità di sognare il proprio futuro, avremo assicurato il futuro di tutti, e ci sarà sempre la possibilità che un singolo, un filino più visionario degli altri, riesca a immaginare quel qualcosa che in un piccolo scarto dal possibile spinga il futuro in un nuovo spazio non ancora immaginato.
Se costringiamo i giovani nella logica del "studia per lavorare", avremo castrato i noi stessi di domani.
Molti di questi giovani, moltissimi, ve l'ho detto, pensano già all'emigrazione (e non si sono nemmeno ancora diplomati). Il migrante forzato è persona in stato di necessità, difficilmente potrà immaginare quel "piccolo scarto".
E c'è una cosa che questi giovani non riescono a capire: perché NOI non siamo partiti.
Un giorno una ragazza mi ha chiesto: "Ma... prof, perché lei non è andato via?".
"Perché trenta e più anni fa, quando io ho cominciato, non ce n'era nessuna necessità. Le opportunità erano qui, non fuori. Qui c'erano i grandi registi, i grandi spettacoli, il cinema buono, il lavoro, la musica... qui c'erano le possibilità. Erano gli altri che venivano qui. Perché dovevo andarmene, se le opportunità erano in Italia?".
Guardandomi profondamente esterrefatta ha esclamato solo: "Ma davvero?!"

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