Cari colleghi,
non mi sarà purtroppo possibile essere con voi
alle assemblee sindacali di Roma e Milano (i cui riferimenti trovate nella foto in testa), consegno dunque a queste poche righe
la mia riflessione.
Le questioni che si stanno ponendo nella
discussione del nuovo CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) sono
decisamente chiare e ci sono anche state dette, dai resoconti che ho letto,
senza mezzi termini dalla controparte, e che sintetizzo così: i costi della
crisi non possono che essere scaricati sui lavoratori.
Tale meccanismo - che altro non è che scelta
politica, non economica - ha già colpito le altre categorie di lavoratori
italiani, con riduzione dei salari, delocalizzazioni, aumenti delle ore di
lavoro, ma soprattutto abbattimento dei
diritti.
Sulla questione del “lavoro a intermittenza”, è
nata, tra me e alcuni colleghi, una piccola ma interessante discussione sui social. Non intendo qui entrare nel merito, poiché ognuno avrà la propria
opinione sullo specifico problema e ciascuna opinione mostrerà certamente punti
interessanti.
Credo invece che, dato il momento storico che non
soltanto il nostro Paese attraversa, si debba fare una diversa riflessione
proprio osservando il percorso già attraversato dagli altri lavoratori
italiani, riflessione che vi porgo in una domanda: l’accettazione di riduzioni
di salari, di aumento delle ore, di riduzioni di diritti, ecc. ha alla fine
portato a un miglioramento delle condizioni di lavoro, a un risanamento delle
aziende, a una rinascita del percorso produttivo, ha, insomma, il sacrificio
dei lavoratori prodotto un risultato che in qualche modo sia andato anche a
loro vantaggio?
Credo che la risposta la conosciate; per chi non
la conosca, è NO.
Ma consideriamo anche la situazione – pura
immaginazione – in cui gli effetti dei sacrifici chiesti ai lavoratori abbia
avuto esito positivo. Questi avranno sicuramente conservato il posto di lavoro,
ma avranno poi riacquisito i diritti cui avevano rinunciato? Anche in questo
fanta-caso la risposta vi è nota, e per chi non la conosca è ancora: NO.
È proprio di fronte a tale dilemma che si ritrova
la nostra categoria, disponibile al dialogo, attiva nelle proposte, consapevole
del momento storico-economico che si sta vivendo, aperta alla mediazione, ma di
fronte la quale non pare si ritrovi una controparte ugualmente disponibile
Ciò che vi invito ad osservare è il “meccanismo”
che costantemente si sta ripetendo, che in una misura non irrilevante ha già
segnato molti colleghi dei teatri lirici, e che possiamo, nei risultati, ormai
chiaramente osservare nelle altre categorie di lavoratori.
La domanda che mi sono fatto è: ma se non si firma
questo contratto, cosa accade?
Ebbene, nulla!
Nel senso che resta in vigore il vecchio
contratto, o meglio quello attuale.
La sottolineatura credo sia importante, poiché spesso sento parlare di vecchio, come se già lo avessimo mandato
in soffitta, in realtà è quello adesso
in vigore. Comprendo che i minimi e le diarie siano ormai inadeguate, che vi
sono contenute una serie di norme che non interessano più nessuno, e che,
soprattutto, quasi nessuno più rispetta. Ma vorrei invitarvi a riflettere su
due punti: il primo è che nel caso sia pur remoto di un’azione giudiziaria, è questo CCNL, oggi, ad essere il
riferimento per un giudice, è ciò che è scritto in questo CCNL e non “quel
che poi accade nella realtà” ad essere il discrimine per la giurisprudenza; essere
nella legge, dunque, è una forza, non
una debolezza.
Il secondo punto, è che pur comprendendo
l’inadeguatezza dei compensi e le altre questioni cui accennavo, la chiave
fondamentale, a mio vedere, è sui diritti.
Vi invito a riflettere: un compenso che passa da 5 a 7 (numeri dati solo per
esemplificare), quanto siete certi che cambierà la vostra vita? E sulla base di
questa per voi variazione, c’è contezza di quanto e come potranno variare gli
utili per i datori di lavoro, ugualmente da 5 a 7?
Avete mai sentito parlare in questi anni di
aziende con commesse, in attivo, che delocalizzano per avere ancor più profitto
a discapito dei lavoratori lasciati a casa?
Credo che si sia in un momento in cui occorre
estremo coraggio, anche il coraggio di dire NO e imporre le proprie ragioni a costo
di rimanere al palo, che poi vuol semplicemente dire: ciò che già conosciamo e viviamo. Quanto siamo certi che le nuove
proposte cambieranno le nostre situazioni lavorative?
Comprendo il legittimo desiderio dei sindacati di
portare a casa un accordo, nella convinzione che questo sia il meglio possibile
per i lavoratori dato il momento storico, ma – attenzione! – il momento storico
sta già cambiando (e non mi riferisco a abberluscone-adestra-erpopulista,
ma ad un contesto ben più generale e profondo), così che potremmo ritrovarci,
tra qualche anno, in un sistema rivitalizzato… ma senza più i diritti di un
tempo.
A perdere i
diritti ci vuole il tempo di una
firma, a riconquistarli ci vogliono anni di lotte.
Io credo fermamente che ciascuno di noi, nella
propria coscienza e per la coscienza collettiva, debba mettere sul piatto della
bilancia i pro e i contro, riflettere profondamente se può avere senso
svendere, come già altri hanno fatto, i propri sia pur tenui diritti per un
piatto di lenticchie oggi senza considerare la prospettiva a medio termine che
non investirà solo noi ma anche le nuove generazioni di colleghi.
Non credo si debba scendere a compromessi se la
controparte non appare effettivamente disponibile al compromesso, credo che i
lavoratori dovrebbero tornare a pretendere e non a elemosinare, ponendo in tal
modo in crisi effettiva l’intero sistema, credo che se nella vita reale nessun
diritto ci viene riconosciuto e venga rispettato sia almeno importante che
sulla carta questi diritti esistano e siano legge, credo che in alcuni casi il principio si faccia più importante della
concretezza quotidiana.
Dal mio punto di vista è un accordo che non va
firmato, per il semplice principio
che in questo momento storico sono i lavoratori che devono vedere accolte le loro richieste senza se e senza ma.
Non credo vada firmato, ma non posso però impedirlo. Posso
soltanto esprimere la mia opinione, una tra le tante e null’altro, nel rispetto
del lavoro di tutti e comunque sia con un ringraziamento per quei sindacalisti
che con onestà e dedizione a questa questione si stanno dedicando.