Sono nato a Salerno, nella Hippocratica Civitas. E sono un Attore, un hypocrita. "Un attore – insegnava Marisa Fabbri - è prima di ogni altra cosa un cittadino". Si può dunque parlare di Teatro senza porre un accorto interesse verso tutto quello che ci circonda? Non credo. E non è mia volontà. Forse alla fine il cittadino avrà il sopravvento; ma così non fosse, sarebbe ancora il Teatro, avrebbe mai avuto senso l'essere Attore? Spero così siano chiari senso e bizzarro titolo di questo blog.
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mercoledì 23 dicembre 2015
LE PEN, DE LUCA, DEMOCRAZIA
lunedì 14 dicembre 2015
5 Stelle di inutilità.
domenica 6 dicembre 2015
Questo Sud brutto sporco e cattivo.
Carlo Levi ha fondato la Filef (federazione italiana lavoratori emigranti e famiglie) e ne è stato presidente fino alla sua morte. Dunque, il centro della commemorazione, organizzata dalla stessa FILEF è proprio il problema emigrazione.
Ora, una brava relatrice, di cui non voglio dire il nome, e che è presidente di un'altra associazione che pure si occupa di migranti, fa un interessante discorso, racconta delle indagini da loro condotte negli ultimi anni ed espone le conclusioni che ne hanno tratto.
Tutto bene... fino a quando la stimabile (dico sul serio) dottoressa, non si lancia in una affermazione cui non posso fare a meno di rispondere: l'emigrazione dal Sud, da dopo l'Unità d'Italia in poi, non è stata propriamente dovuta a problemi di carattere economico come lo stesso Levi spesso sottolinea, ma più specificamente a una media e alta borghesia retrograda, conservatrice, corrotta e... e allora ho chiesto di intervenire.
"Perdoni, ma mi viene in mente che Papa Francesco, discende da una famiglia di emigranti piemontesi; e c'è poi l'emigrazione dal Veneto, e quella dal bergamasco verso la Svizzera, e poi c'è una emigrazione spagnola, portoghese... Ora, mi perdoni, o questa borghesia conservatrice e corrotta esisteva in tutte questi posti, o la teoria regge pochino. Scusi se mi sono permesso..."
"Ma no, prego, volevo dire... " insomma, poche parole e ha cambiato discorso.
Non nascondo che da uomo del Sud mi sono sentito offeso. E non tanto offeso come borghese, ma proprio come cittadino che deve ancora sentire una narrazione che tende sempre a non volere andare alle vere cause, che gira intorno ai problemi senza mai voler centrare un solo obiettivo.
Eppure, Levi lo dice benissimo: il problema è economico-sociale.
E allora, possiamo ancora assistere passivi a questi racconti semplicemente denigratori del Sud che mostrano di non avere non solo alcun fondamento scientifico, ma sono anche facilmente confutabili?
Personalmente non sono più disposto. Con le mie più sincere scuse alla relatrice.
Bisognerebbe forse cominciare a occuparsi davvero di queste cause economiche e sociali.
Qualcuno una risposta l'ha data, il prof. Paolo Savona, quando dice che: l'arretratezza del Mezzogiorno dipende anche dall'avere subito per tre volte un aggancio monetario fatto a immagine e somiglianza del Nord: con l'Unità (adottando la lira del Nord); dopo la Seconda Guerra Mondiale (con l'ingresso nel sistema di cambi fissi di Bretton Woods); e, infine, con l'ingresso nell'euro.
Sarà la risposta giusta, non lo sarà? Personalmente mi fido solo del fatto che Savona è certamente il miglior economista italiano vivente. Se vale il principio della meritocrazia, gli credo.
Ma non chiedo agli altri di credere, gli chiederei soltanto di farsi venire ogni tanto dei dubbi, di ipotizzare che esistano altre spiegazioni, che se si continua sulla linea del racconto che ascoltiamo da decenni e decenni, ormai da più di un secolo (il Sud brutto sporco e cattivo), probabilmente non andiamo verso alcuna soluzione, probabilmente rimaniamo sempre all'interno dello stesso circolo... probabilmente, risolvessimo il problema della migrazione, coloro che se ne occupano dovrebbero trovarsi altra attività. Probabilmente coloro che si occupano di "questione meridionale" dovrebbero trovarsi altra attività...
Ricordo solo a chi vuole ascoltare che prima del 1861, il Mezzogiorno d'Italia non esisteva.
venerdì 27 novembre 2015
NEL NOME DEL FIGLIO.
Usiamo dire che la vita è strana.
Ma forse sono strani i nostri sentimenti. Che ci legano a cose o persone che magari non conosciamo e ce le fanno sentire di famiglia.
Con Eduardo era così, e per un gioco misterioso proprio dei sentimenti era così anche con suo figlio Luca, che oggi, per un brutto male, di quelli feroci e fulminanti, ci ha lasciato
Giovane, troppo giovane, in questi tempi in cui vecchi bastardi ostinati continuano a volere indirizzare le sorti del mondo a danno di tanta e tanta povera gente.
E forse anche per questo motivo, per l'averci regalato sorrisi e lacrime e cuore, tanto cuore, soltanto per amore dell'umanità, vogliamo bene, pur senza conoscerli di persona, a quegli Eduardo che passano nella nostra vita.
Perché chi ama e vive il teatro con amore, ama il mondo.
Luca non c'è più. E qualcuno dirà: "Luca non era Eduardo".
Sbaglia. Nel nostro cuore, Luca era Eduardo; ed Eduardo era Luca.
Confessiamolo: chi di noi scindeva il figlio dal padre, e il padre dal figlio?
Nessuno si agiti, so benissimo che non c'è alcuno Spirito Santo. Niente Trinità, o sciocchi tentativi di beatificazione. Erano umani, per fortuna nostra, altrimenti non ci avrebbero regalato tutto l'amore umano di cui erano capaci; e purtroppo lo erano, perché altrimenti non staremmo qui a contemplare questa profonda tristezza nel nostro petto.
Ma forse ora il dolore è più forte.
Perché per quel legame misterioso che solo i nostri sentimenti possono creare, quando Eduardo morì in cuor nostro sentimmo che c'era Luca, e quando vedevamo Luca sentivamo che con lui c'era Eduardo.
Quella immagine di Luca, sette anni, in braccio a Eduardo, dall'Odeon di Milano, è come se, ai nostri occhi li avesse legati per sempre, ancor più di Lucariello e Tummasino.
Qualcosa di profondamente umano era in quella immagine, non una Madonna con bambino, ma un padre con suo figlio, un mistero improvvisamente laico, civile, non del cielo, ma della terra.
Forse è per tutto questo che oggi il dolore è ancora più grande, perché abbiamo la straziante sensazione che tutto sia davvero finito.
Da questo nostro infinitesimale punto del mondo, osiamo dire, per una volta che tutto non è nel nome del padre, ma nel nome del figlio.
venerdì 20 novembre 2015
COME L'AMERIKANO TI SMONTA L'AMERIKANO: LO YOGA DELLA RISATA.
Tanti esercizi che io propongo nei miei workshop sfruttano questa dinamica. Attraverso movimenti gioiosi, armoniosi e biophili, vengono stimolati circuiti nervosi che rinforzano questi sentimenti e che ci orientano in tale modalità d'agire. Diventiamo sempre più auto-propositivi, giocosi, sperimentali, auto-apprezzanti e auto-sufficienti.
Yoga della Risata è una di questi movimenti alternativi."
Assistente "Sta correndo qui intorno per farsi venire l'affanno"
Altro assistente: "Corre per la scena in cui deve avere l'affanno"
Un altro assistente: "Arriva, è andato a correre per fare la scena dell'affanno"
Olivier: "Dio santo, ma perché non prova a recitarla?!"
lunedì 16 novembre 2015
LA MORTE SI SCONTA PENSANDO...
Per un attimo almeno, tutte le nostre altre riflessioni sono andate a farsi benedire.
Ci si interroga su "cosa fare?", ma i fatti sono ancora troppo caldi. Lo capiremo pian piano.
E forse pian piano capiremo anche se le cose sono solo come appaiono o ci sono altre questioni dietro, come ormai abbiamo imparato.
Ieri sera ho seguito il video mostrato a Piazza Pulita sull'Isis e sulle sue tecniche comunicative, sulle sue modalità di propaganda. Mi stupiva il notare che nei commenti in studio troppo poco ci si domandasse da dove questi signori abbiano preso soldi e mezzi per mettere in piedi questa possente struttura comunicativa e soprattutto quali menti raffinate ci possano essere dietro a una così raffinata costruzione.
Pare proprio che si sia persa l'abitudine al ragionamento complesso, e che anche i giornalisti non riescano più a chiedersi che cosa ci sia dietro, cosa che invece sarebbe loro compito o dovrebbe essere loro normale attitudine. E' come se fossimo invasi dalla necessità di ricercare sempre un rapporto causa-effetto di banale semplicità, come se non fossimo più noi a dovere andare verso i fatti e le loro ragioni, ma i fatti a doversi adattare alle nostre capacità o ai nostri preordinati schemi mentali. Questo pure di fronte alla evidenza che dall'altra parte c'è qualcuno che "pensa complesso, pensa complicato".
E - cosa peggiore - quando troviamo qualcuno che prova a rispondere con un "pensiero complesso", si defiliamo già stanchi prima ancora di ascoltare.
Diciamo che potremmo sintetizzare così: chi ci sconfigge è colui, o coloro, che pensano più e meglio di noi. La guerra sembra essere tutta lì, nel pensiero. E su questo terreno noi abbiamo già perso.
E' colpa nostra? Non lo è?... Un po' l'una e un po' l'altra cosa. Perché è pur vero che il Sistema ha agito in questi decenni in modo tale che il nostro cervello si appiattisse su posizioni di facile comprensione, ma noi abbiamo anche fatto in modo che accadesse.
Qualche sera prima dei fatti parigini, sono cascato, in tv, sul solito dibattito politico: un commentatore diceva che questa politica aveva allontanato la gente in particolar modo i giovani, l'altro rispondeva che non era poi tanto vero se si guardava a quanti giovani si erano messi a partecipare alla attività dei 5Stelle.
Era di questo che volevo parlarvi, poi l'Isis ci si è messa di mezzo.
Ma in qualche modo le cose si tengono se pensate alla nettezza con cui si sviluppano i dibattiti sul dopo: è colpa dell'Islam - no non lo è; ci hanno sparato - e noi bombardiamo; c'è pericolo - rinunciamo a un po' di libertà per la sicurezza; e via dicendo.
Con un simile format mentale, le risposte che alcuni movimenti politici propongono sono ugualmente facilitanti nella loro (falsa!) comprensione dei problemi: sei onesto - non sei onesto; mi alleo - non mi alleo; voti a favore - voti contro; la mia legge e buona - la tua legge è cattiva; i soldi ci sono - i soldi non ci sono; compri gli F35 - no, non li compri; sposta i soldi da qui a lì - no, spostali da lì a qui...
Tutto è chiaro, facile, comprensibile, accessibile a tutti. Accessibile al punto che chiunque può fare tutto: occuparsi della cosa pubblica, come recitare in una commedia. Sì, perché questa idea che tutto è per tutti, che puoi fare un video con il tuo cellulare, fotografare con l'Ipad come un professionista, occuparti di economia tanto si tratta solo di fare il conto della serva, si sta pericolosamente spandendo su tutto, con un preciso risultato: il costante svilimento delle professionalità e delle specifiche competenze.
Non penso ce ci siano cose per pochi, tutto è per tutti, ma nella misura in cui (espressione che dichiara i miei anni... sic) restiamo coscienti del nostro proprio e vero stato di apprendimento, e dei limiti che questo ci pone. Tutti possiamo capire delle cose di economia o di arte, ma leggere dieci post di Bagnai non farà di me un economista. Farà solo di me un cittadino più consapevole, più informato; poi, oltre un certo livello, devo essere io stesso a voler lasciare la palla a chi a quella disciplina ha dedicato la vita.
La politica è certamente per tutti e di tutti, altrimenti non sarebbe Democrazia, ma questa condizione comunitaria resta collegata strettamente al fatto di volersi informare (mettere nella forma), di non accontentarsi della più facile conseguenzialità causa-effetto, di non fermarsi, insomma, alla prima cosa che ci viene detta o che ci balza agli occhi.
A volte i morti sono il risultato del disfacimento del nostro pensiero.
Capire è fatica. Quanto siamo disposti, oggi, a faticare?
lunedì 9 novembre 2015
Fassina, la Sinistra, i Dialetti
Per ora è solo un gruppo parlamentare, ma è pensabile che evolva in un partito.
I denigratori sono già all'opera: trasformismo, caccia di poltrone, inutilità politica, ecc. Ormai il vocabolario lo conosciamo tutto, è sempre lo stesso verso chi provi a fare qualcosa di nuovo.
Dire a Stefano Fassina e suo compagno di viaggio D'Attorre che cercano poltrone è certamente un tantinello fuori luogo. Le loro storie parlano per da sole.
Quello che è certamente interessante è che, dopo avere lasciato per anni la critica all'euro e al sistema ad esso collegato alla destra italiana, qualcosa a sinistra, in tal senso, si muove, e forse, anzi sicuramente leggendo i propositi di Fassina, in quel "Italiana" c'è più di quanto si possa immaginare.
Se infatti per superare i nazionalismi si deve creare una super nazione (come fa spesso notare il prof. Bagnai), non si capisce dove sia il superamento del nazionalismo. Anzi, questa idea della super nazione, nello specifico, per chi non lo avesse compreso, gli Stati Uniti d'Europa, sarebbe un ulteriore rafforzamento del concetto di nazione e di abbattimento progressivo della "ricchezza delle diversità", seme primario dell'Europa.
Proprio a questa ricchezza, nonché bellezza delle diversità, si è legata spasmodicamente, ansiosamente, e direi anche irrazionalmente la sinistra del nostro paese, lasciando così, anche in questo caso, la difesa delle particolarità territoriali, nelle mani delle destre.
Insomma, a fare il conto, tutto ciò che la sinistra lascia la destra raccoglie.
Riflettevo - se ne sono ancora capace - proprio sulla questione delle diversità, in particolare su quelle linguistiche. E già, perché nella sua sovreccitazione di andare verso il "mondo a colori", la sinistra (che dalla destra, al contrario, prende sempre le cose di cui si potrebbe fare a meno) ha sostenuto la tesi del "dobbiamo conoscere la lingua inglese". Anche qui con un doppio effetto nefasto: l'italiano è divenuto una ipotesi, i dialetti sono ormai fantasmi.
Bene, mi piacerebbe, una volta che Fassina abbia convinto quelli di SEL che a lui si sono aggregati a fare profonda ammenda sulla religione dell'euro, che questo nuova Sinistra abbracci l'idea che nella difesa del popolo c'è anche la difesa delle sue radici, e quindi della lingua patria e quindi dei dialetti. Parlare le lingue straniere è una gran bella cosa, ma questo non significa che si debbano perdere le tradizioni.
Perché se da un lato la comunicazione globale ci consente di accedere al mondo globale, è pur vero che l'inglese che noi parliamo (come ci ricorda il filosofo marxista Fusaro) non è quello di Shakespeare o di Wilde, ma quello della finanza. In realtà, secondo me, non è nemmeno inglese, è americano.
Dunque, un primo modo per opporsi al mondo capitalistico è quello di opporsi all'uso indiscriminato della lingua inglese. Ho detto "indiscriminato", non "totale"! (anche io studio l'english... sic)
Dall'altro lato va considerato che se conosco ed abito perfettamente le mie radici, se so chi sono senza tentennamenti, non avrò mai problemi o paura ad andare in giro per il mondo a confrontarmi con chicchessia.
C'è poi il secondo aspetto: se sono a difesa, tutela e sostegno del popolo, se sono dalla parte dei contadini (tanto per capirci), non posso essere contro "la terra", e siccome la lingua nasce dalla terra, l'abbandono costante del dialetto è abbandono costante della terra e dunque dei contadini. L'esempio si potrebbe fare anche con gli operai e con i piccoli artigiani e con i piccoli commercianti, e via dicendo.
Considerando anche che: se il potere comincia a usare una lingua che non tutti conoscono, c'è una parte di popolazione che rischia di rimanere fuori dalla Democrazia, per una palese incapacità di accedere alle informazioni e/o spiegazioni.
Il concetto liberista/capitalista sarebbe, in questo caso, che: è colpa tua se non sai l'inglese.
Il concetto di chi dice di essere dalla parte del popolo spero sarà: dobbiamo considerare che non tutti hanno potuto accedere a certi studi, che non tutti hanno le stesse capacità (viva le diversità), che non tutti sono tenuti alle stesse cose (ari-viva le diversità).
Io penso che difendere le etnie, difendere le radici, difendere i dialetti o la lingua patria, non sia un concetto di Destra, ma di Sinistra, che non esclude la comunicazione e l'interazione globale. Il diritto all'autonomia dei Veneti, o dei Catalani, dovrebbe essere nel cuore di una sinistra che difende il diritto dei popoli all'autodeterminazione, il diritto alle scelte democratiche di ciascuno.
Fino ad ora si è invocata la bellezza delle diversità solo per spingere all'omologazione, se lo si è fatto inconsapevolmente è molto grave, spero ci sia stata buona fede.
Sarebbe il caso di cominciare a difendere sul serio le diversità, come ricchezza vera e profonda, come ricchezza dei poveri.
Spero qualcuno raccolga questa specie di appello.