lunedì 24 ottobre 2016

EHI, GENIO CHE "BASTA UN SÌ", MI SPIEGHI 'STA STORIA DELL'ART. 67, GRAZIE?!

La colpa è mia, la colpa è certamente mia che non riesco a stare fuori da ciò che riguarda la vita del mio Paese, non riesco a tenere quell'obbligo del silenzio che mi sarei dato vista la impossibilità di dialogare con gli imbecilli, i quali sono la stragrande maggioranza. Non mi riesce, sia nella vita reale che sui social, perché così mi hanno costruito.
E dunque, visto che a tacere proprio non ci riesco, voglio fare una domanda ai genialoni del SÌ al referendum costiruzionale, a tutti quelli che "bisogna cambiare", che "la velocità", che "un sì perché quel vecchio di D'Alema vota NO"... 
a quelli che nel 2013, in prossimità delle elezioni nazionali, si scagliavano contro il M5S (per me altra banda di sciamannati) e contro la loro visione della politica; e come vi si scagliavano? Ma è naturale: affermando che loro sì che conoscevano il diritto, e che sapevano sul serio cosa fosse una democrazia, e cosa davvero fossero le istituzioni perché - udite udite - PERCHÉ LORO AVEVANO STUDIATO CON 

Za-gre-bel-sky! 

Peccato per loro, ma veramente peccato che io abbia una ottima memoria, peccato per loro che gli attori facciano buona memoria; e peccato, ma veramente peccato che oggi il professore sia un vecchio gufo inutile che vuole impedire "il miglioramento della vita del Paese, la sua giusta evoluzione".  E insieme con lui c'è anche quell'altro "vecchio bastardo gufo di Bersani", che sempre nel 2013 era un grande segretario, l'anima della sinistra, ma oggi, caro Pier Luigi - dicono sempre costoro - non puoi romperci i coglioni perché ci sono state le primarie e le ha vinte Matteo, e basta. E così anche per quel vecchio di D'Alema, che tanto si vendica solo perché non ha avuto la poltrona.
E ovviamente non manca a sostegno non delle proprie tesi, ma della denigrazione dell'avversario il refrain che questi vota come casa Pound. 
Peccato che il piddino medio (nel senso di dito) dimentichi che egli vota come Verdini e Alfano, e Briatore... (BRRRRRRIATOOOOOOREEEEE, Tu, Piddino del Billionaire, voti come Briatore...) TU, piddino (medio) de sinistra, voti come CONFINDUSTRIA...
saresti de sinistra, ma voti come e con i padroni... Perché, caro piddino de sinistra, i lavoratori potranno anche cambiare nome divenendo schiavi, se scendono nella scala sociale, o impiegati o piccoli imprenditori, se salgono... ma il padrone, sempre padrone resta, per il semplice motivo che la fabbrica una proprietà la deve pure avere; usa pure i sinonimi, imprenditore, proprietario... ma sempre padrone di ciò che giustamente è suo egli resta. E l'elenco lo fermiamo qui per carità di Patria e perché...
Perché questo giochetto a rinfacciare a me non piace, anzi mi fa proprio schifo perché non ha alcun senso: è stupido e infantile.

E allora veniamo alla domanda, seria, serissima, per quale attendiamo, con profonda trepidazione, risposta dai geni sostenitori di questo tanto sospirato cambiamento (sospiri da decenni? beh, compra una bombola di ossigeno perché è probabile tu abbia un problema polmonare...)
Si tratta dell'art. 67 della nostra ottima Costituzione (che meno la toccavano nel corso di questi settant'anni, e meglio era come sarebbe troppo facile dimostrare).
È una delle modifiche apparentemente meno rilevanti, ma che, francamente, resta oscura nelle sue motivazioni.
L'art. 67 dice:
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
diventerà nella modifica napolitana-renziana-verdiniana
art. 8
I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato.
Lasciamo stare la storia del vincolo di mandato. Se ne può discutere, io sono per stare alla Costituzione, per il senza vincolo di mandato. Ma questo è un altro discorso.
Stiamo, invece, a quello che VIENE TOLTO:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione.

Ecco, io vorrei, adesso, che questi geni del costituzionalismo moderno e progressista e futurista (da cui anche velocista) e globalista... vorrei che spiegassero a noi vecchi, decrepiti, antichi come il marmo del foro romano e forse anche più, vorrei che tutti questi geni dell'evoluzionismo costituzionale, quelli che basta un Sì per sterminare definitivamente la zanzara tigre, mi spiegassero quale sia il motivo per cui questa piccola frase è stata tolta.
Secondo me è una frase molto ma molto ma molto importante, e la spiegazione per la sua soppressione io ce l'ho!
Ma vorrei tanto la loro motivazione! Vorrei che nel merito, in punta di diritto, mi spiegassero 

quale è la necessità di questa variazione.

In attesa di Vs cortese riscontro, porgo miei più distinti saluti.
(e non mi chiedete perché ha impaginato in questo modo... sto blog a volte non lo capisco...)

lunedì 17 ottobre 2016

FORMAZIONE PROFESSIONALE: SE AI GIOVANI MANCA UN PEZZO.

Chiacchieravo giorni fa con un amico musicista, diplomato in Composizione, in Canto, M° di coro, insomma uno serio, mica un improvvisato, come oggi ce ne sono, che conoscono quattro note e fanno musica col programma del computer. 
A un certo punto, la discussione è caduta su quella categoria ossessivamente presente nelle nostre vite, pure quando quella categoria eravamo noi stessi: "i giovani". 
Tra lo ieri e l'oggi, in verità, una differenza la notavamo, e la notavamo nella loro attuale incapacità di affrontare sfide e problemi del lavoro che loro stessi si sono scelti. 
Oltre ad una certa diffusa pigrizia, cui spesso fa da contraltare una certa diffusa iperattività, osservavamo la costante mancanza di strumenti adeguati per affrontare e risolvere (o cercare di risolvere) le questioni pratiche che un percorso lavorativo ti può proporre; ma non quelle eccezionali, attenzione, quelle semplicemente quotidiane. 
Eppure, i soggetti di cui ragionavamo sono persone che hanno studiato; cosa manca, dunque, loro? 
Al che è nata una domanda: le persone che hanno studiato sono "preparate"?

Lungi da noi il volerci interrogare, davanti a un risotto e un bicchiere di vino, con metodologie sociologiche, antropologiche, scientifiche, filosofiche e/o politiche. Anzi, è molto probabile, visto che eravamo in un bar, che le nostre siano molto state chiacchiere da bar. Che facevano anche un po' vecchietti, del genere "ai miei tempi". 
È decisamente curiosa questa tendenza dell'uomo a rimarcare la differenza tra l'oggi e lo ieri: quando ero un giovane appena diplomato all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "S. D'Amico" in Roma (l'unica!), sentivo gli attori più anziani dire: "Eh, ma ai miei tempi, l'accademia era un'altra cosa...", e pensavo che io mai sarei caduto in questa inutile litania, invece poi è successo... anche io ho cominciato a dire "ai miei tempi... i nostri insegnanti erano un'alta cosa... l'organizzazione di allora era fatta meglio...". 
Non so se con queste frasi vogliamo affermare all'altro che anche noi siamo stati giovani, o mettere una distanza tra noi e loro che ponga il rispetto che devono all'anzianità e alla professione acquisita e praticata, o lasciarci piacevolmente velare dalla malinconia. Fatto sta che una riflessione questo curioso meccanismo in cui vedo che tutti prima o poi cadiamo, ha bisogno di una riflessione... 

Comunque sia, la nostra chiacchiera da bar qualcosa di buono, una ipotesi fondata credo l'abbia prodotta. 
I nostri giovani... saltano un passaggio! 
Quale sia il motivo per cui ciò accade sarà oggetto del nostro prossimo risotto, intatto il dato rilevato è che un tempo si studiava, poi si apprendeva "il mestiere", quindi si avevano tutti gli strumenti o per essere un affidabile professionista o addirittura per lanciarsi in una esperienza creativa propria. 
Perché quello che ci era chiaro e che chiaramente ci veniva insegnato è che lo studio non basta a fare la professione. 
Oggi, per fare un esempio, molti giovani che escono da Scienze della Comunicazione, sono certi di essere giornalisti. Ma non hanno mai visto una redazione, non conoscono il baillame quotidiano del lavoro, l'accendersi improvviso di un problema cui velocemente bisogna dare risoluzione, ecc. 
Oppure escono da una scuola di teatro, o di musica, e si lanciano nel fare "il loro gruppo", ma mancano di tutta una serie di informazioni e/o esperienze su quello che può essere un aspetto produttivo, organizzativo, su come gestire un gruppo, sulle problematiche sindacali piuttosto che sulle relazioni con... la gestione trasporti scene, per esempio. 

Quello che oggi accade (e prometto che davvero indagheremo sui perché) è che il secondo passaggio si scavalca, viene a pie' pari saltato, ingolfando il mercato del lavoro di professionisti senza professione, di persone che hanno certamente dimestichezza con la materia, ma che non conoscono la quotidiana pratica del mestiere poiché, semplicemente, non l'hanno appresa dai più anziani. Con una aggravante: entrati con questa mancanza nel mondo del lavoro, qualora si ritrovino davanti un anziano che cerca di fargli capire o segnalargli che hanno una "gamba più corta", essi si risentono, si offendono, si rivoltano in malo modo come se tu anziano avessi commesso un delitto di lesa maestà! 

La nuova riforma del Teatro prodotta dal Ministero a guida Franceschini, incentiva, ad esempio, i gruppi formati da giovani. A parte che sua Eccellenza il Ministro dovrebbe spiegarci come si sceglie la soglia discriminante tra gioventù e vecchiaia, per cui a trenta anni sono giovane, a trenta e un giorno sono anziano, e questo indipendentemente da se ho cominciato a fare l'attore a diciotto o a ventinove anni e undici mesi, se i compagni che con me costituiscono la compagnia sono miei coetanei o se io sono l'unico maggiorenne, se tutti gli altri hanno formazione e io no, ecc. ecc. ecc. A parte tutto questo e molto altro ancora, sua Eccellenza il Ministro dovrebbe forse comprendere che certe professioni non prevedono il concetto di start-up, che sono storicamente fatte in altro modo, che creando una discriminazione legata all'anagrafe si sono creati, solo negli ultimi mesi, gruppi di giovani super scritturati e gruppi di quarantenni/cinquantenni super disoccupati... 
Forse ci vorranno altri risotti per sviscerare anche questi aspetti, ma la mia netta impressione è che ci sia una volontà precisa di creare fratture culturali che certamente devono portare benefici a qualcuno o a qualcosa, magari un progetto distruttivo di una cultura nazionale da sostituire con una cultura generalista-mondialista allineata al pensiero unico globale. 

In conclusione - e scusate le divagazioni - io e il mio amico musicista abbiamo stabilito che uno dei seri problemi del nostro tempi e delle nostre professioni è che i giovani saltano un pezzo, saltano il secondo gradino, e questo non va bene e non potrà andar bene. Perché l'impoverimento professionale porterà sicuramente a un impoverimento della qualità e quindi della diffusione di idee che il lavoro può produrre; porterà a un impoverimento della forma, o a vantaggio di una sostanza che non ha senso, o a vantaggio di un concetto inconcludente e inconsistente di forma, generico e supportato sempre di più dal "lo famo strano". 
Accostate a ciò il fatto che la perdita di professionalità porterà automaticamente a una perdita di dignità della professione, poiché se passa il concetto che non devi apprendere sul campo, e dunque sulla tua pelle, il mestiere, ma ti basta la frequentazione di libri (o magari video), chiunque abbia accesso a un libro potrà dirsi tuo pari. 

Ero giovane, e stavo appresso ai vecchi per imparare, per sapere, per sentire raccontare storie, per conoscere la Storia e per guardare negli occhi coloro che l'avevano vissuta; non lo so come andrà domani il mondo, anche se sono certo che prima o poi tutti avranno la necessità di un sostanzioso passo indietro; l'unica cosa che so per certo, e perdonate l'orgoglio e la presunzione, è che so che ho fatto bene.    

giovedì 13 ottobre 2016

IL NOBEL A BOB DYLAN? E QUALE SAREBBE "LA RIVOLUZIONE"?



È morto Dario Fo.
Novant'anni.
Dispiace, ma è evidente che sono cose che, purtroppo, così è la natura, sono nell'aria.
Non fosse stato oggi sarebbe stato domani o tra un anno o tra dieci... ma questo era quello che doveva succedere.
Mi spiace solo che non potrà vedere, qui tra noi, l'esito del referendum costituzionale. Avrebbe gioito ancora una volta (mamma mia, come mi sono sbilanciato, forse per compiacere il nostro Fo...).
Nello stesso giorno arriva la notizia che il Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Bob Dylan.
Splendido. Una cosa veramente inattesa anche se fu già proposto venti anni fa.
Vorrei però dire che venti anni fa sarebbe stato davvero inusuale, sorprendente, veramente di rottura, divertente. Così come se il Nobel a Dario Fo lo avessero assegnato venti anni prima del 1997 sarebbe stato davvero spiazzante.
Invece, se ci pensate, è tutto ordinario e senza sorprese.
Perché? Perché quei ragazzi che venti anni fa, anzi di più, diciamo quaranta anni fa ascoltavano e amavano Dylan, ora sono decisamente cresciuti e invecchiati, e magari molti di loro sono arrivati ai posti di comando, nelle alte sfere, nelle stanze dei bottoni, e in qualche modo, decidono di dare un premio "alla loro gioventù". Che ci sarà di eccezionale non so. Eccezionale sarebbe stato se i loro padri e anche i loro nonni, cresciuti con i vari "Vola colomba" che certamente ci saranno stati in ogni Paese, avessero dato un Nobel a Dylan o a Fo.
Un premio a Fo quando stava alla Palazzina Liberty o sotto le tende da circo, ancora lontano dai circuiti teatrali borghesi e ordinari, quando era l'appestato di sinistra, cacciato dalla televisione, quella sì che sarebbe stata una rivoluzione. E lo stesso per Bob Dylan.
Intendiamoci, a me questi due premi fanno enormemente piacere anche se avrei da ridire sul concetto di Letteratura che ormai viene fuori dalla Accademia di Stoccolma... ma che nessuno si stupisca, nessuno si meravigli, c'è niente di rivoluzionario, niente di straordinario. È solo che il tempo è passato, quelli che erano rivoluzionari oggi lo sono un po' meno e prendono il posto dei padri mentre altri rivoluzionari prendono il loro...
Ogni progressista diviene pian piano un conservatore.
È la stampa, bellezza, e tu non ci puoi fare niente...



mercoledì 12 ottobre 2016

HELLO, I'M ITALIANO-NAPOLITANO!








Oh, che poi, a me, questa storia che è venuta fuori del questionario inglese che chiede se sei "italiano", "italiano-napoletano", "italiano-siciliano" o "italiano-altre regioni", fa francamente ridere. 
Per come la vedo io non c'è nemmeno da meravigliarsi della italica indignazione generale e generalizzata. 
Tutto, infatti, rientra nella retorica e nel luogo comune che accompagna la penisola dalla sua forzata unificazione, quindi da 155 anni!
Eh sì, perché il vero problema, in questa storia, non è come ci vedono gli inglesi, ma come ci vediamo noi. Per cui, a leggere il questionario, abbiamo subito messo in azione le nostre categorie, quelle, cioè, vigenti dal 17 marzo 1861, quelle per le quali non poteva essere altrimenti, e cioè che gli inglesi (cui bisogna sempre farla pagare per la storia della Brexit) stavano denigrando i meridionali, in particolare napoletani e siciliani, ed erano anche già pronti a metterli in appositi ghetti, riconoscendoli per come la nazione italiana li ha sempre riconosciuti: sporchi, scansafatiche, furbi, imbroglioni, parassiti, ecc ecc. 

Peccato non sia venuto in mente ai commentatori, che magari gli inglesi adottano categorie diverse; e magari per loro l'ordine "gerarchico" procede assolutamente al contrario; e magari loro i napoletani e i siciliani li vogliono selezionare perché li ritengono migliori degli altri, e se li vogliono crescere a parte, coccolare, curare per bene. 
D'altronde, gli inglesi avevano o non avevano centinaia di investimenti in Sicilia nei secoli passati, dunque conoscono bene quella terra e quella gente; e il loro rapporto con Napoli non è stato intenso al punto da avere studiato loro (contro-storia moderna) il piano di invasione attuato poi dai Savoia (che nemmeno di approntare un piano erano capaci...); sapevano, gli inglesi, che lì di "materiale buono" ce n'era, e se c'era era perché c'era gente buona che lo aveva prodotto... altrimenti cosa andavano a razziare, 'na feluca spelacchiata?
Se fossi italiano (ma non lo sono grazie a Dio che mi fece napolitano!) e se fossi negli italiani, in realtà mi preoccuperei e forse offenderei per la discriminazione effettuata verso tutte le altre regioni che non vengono riconosciute, identificate, qualificate. 

Peggio, a mio avviso, essere genericamente identificati come "italiani"; molto peggio, direi drammatico, quasi da suicidio, essere indicati come "altre regioni"! Chi sono queste altre regioni, dove sono, come si chiamano, hanno un rapporto con la perfida Albione, vengono da essa riconosciute, trovano posto sulle cartine geografiche di britannica fabbricazione? 

Credo che l'indignazione collettiva nasca in realtà da un sotterraneo senso di colpa, dall'aver compreso che in quei questionari la "specificazione" poneva su di un piedistallo, esattamente il contrario di ciò che la nazione Italia ha fatto per 155 anni al Sud. 
Albione stavolta è stata veramente perfida, forse involontariamente, ma ha toccato un nervo che è ancora lì, scoperto al punto da fare ormai male non solo alle vittime ma anche ai carnefici. 

Se nessuno ti riconosce, sei niente, e questo è decisamente peggio che, nel bene o nel male, essere napoletani o siciliani. 
Comunque sia, noi siamo. Gli altri sono... "italiani", o... "italiani altre regioni". Mi spiace per voi.  




lunedì 10 ottobre 2016

HAI TAGLIATO LA SPESA PUBBLICA? MI HAI TAGLIATO IL SALARIO!

Dunque, il taglio della spesa pubblica secondo la vulgata ormai imperante sarebbe cosa buona, anzi ottima. In una famiglia assennata, diligente, costumata, gli sprechi si evitano: nostra dea sia sempre la formica, mai la cicala. 
Peccato che uno Stato non sia una famiglia e che funzioni in tutt'altro modo. 
Vi porto un personale esempio, pratico pratico: sono andato a fare un piccolo esame medico che il SSN non passa più. Costo € 55,00. 
Il Ministero della Salute ha deciso che bisogna razionalizzare, ordinare, rimettere le cose a posto e quindi nel riordino certi esami non sono più previsti come a spese dello Stato, ma te li paghi. 

Ora, se lo Stato mi avesse dato l'esame a suo carico, io non avrei dovuto togliere dal mio salario € 55,00. Li avrei quindi risparmiati, mettendoli sul librettino della nonna, oppure ci avrei comprato qualcosa che mi serviva, per esempio un paio di scarpe; oppure ancora, me li sarei andati a mangiare con mia moglie che ci faceva certamente bene alla salute...
Invece no, li ho dovuti spendere per avere una cosa che un tempo mi sarebbe spettata di diritto. 

Ecco, non c'è molto altro da aggiungere: quando vi dicono che tagliano la Spesa pubblica (se vogliono essere pignoli la chiamano "improduttiva" per far sembrare che loro proprio proprio hanno ragione), quando vi dicono che tagliano la Spesa pubblica, dicevo, in realtà stanno tagliano i vostri/nostri salari in maniera indiretta, o forse in maniera molto più diretta di quanto voi/noi si immagini. 
Buon euro a tutti! 

(che c'entra l'euro? no, basta, vi prego, vi è stato spiegato in mille e mille modi, ci sono decine di siti seri, blogger, libri, informazioni a più non posso... basta, andatevi a cercare le risposte! Ora devo andare dal medico a fargli vedere l'esame sperando che non mi mandi da uno specialista... a pagamento.)

sabato 1 ottobre 2016

Referendum: il Sì a spese degli Italiani. (Niente ansie: è tutto normale)

Quello che si sta verificando nel nostro Paese sarebbe clamorosamente disdicevole se non fosse il nostro Paese.
Per cui, ci siamo abituati a tutto. Pensavamo che esistessero dei limiti, dettati dalla decenza, e invece, anche la decenza ci ha comunicato, via social si capisce, che limiti non ne ha, che i limiti sono dettati dalla morale degli umani e visto che gli italici umani hanno perso il senso più elementare della morale, ella, la decenza, non sa più dove posizionarsi. Nell'ultimo tweet, scorata comunicava con un: "Fate voi...".
Il metro delle decenza, dunque, diviene soggettivo. In particolare se i casi denunziati fanno o non fanno comodo a me e alla mia parte.
In questa campagna referendaria, i ministri della repubblica, in particolare premier e ministro Boschi Maria Elena, Riforme costituzionali e rapporti con il Parlamento, sono energicamente impegnati, al punto che Boschi Maria Elena è anche volta in Argentina per convincere i compatrioti all'estero a votare a favore della riforma.
Ieri sera abbiamo assistito su La7 alla trasmissione "Si o No" condotta dal sempre ottimo Enrico Mentana, dove partecipavano il costituzionalista prof Gustavo Zagrebelsky e il Primo Ministro Matteo Renzi.
Renzi che nel pomeriggio era in Israele ai funerali di Simon Peres. Ma, miracoli della carica, un bell'aereo di Stato lo ha condotto in tempo negli studi televisivi.
Bene, tutto bene.
Se non fosse che essendo ministri della Repubblica, Boschi e/o Renzi, devono per forza andare in giro con aerei di Stato, e scorte, e auto blindate, ecc. ecc. Questa è la regola ed è giusto che così sia.
Ma chi paga tutto questo? Ovvio che noi, noi cittadini italiani, è così facile da capire...
Qualche giornale ha già evidenziato l'incongruenza, ma la denuncia sortisce l'effetto di scuotere solo chi è contro la riforma; chi è a favore salta a pie' pari la notizia e trova tutto normale... come chi si scagliava contro un governo per avere, ad esempio, abolito la tassa di successione, ma poi era il primo ad avvalersi della nuova norma... Che ci vuoi fare, siamo Italiani, siamo così, siamo sempre stati così nel bene e nel male.

E dunque?
E dunque niente. Se non ve ne siete accorti, il Sì fa campagna a spese degli Italiani, il No a spese proprie, poi un giorno, forse, vedrà i rimborsi.
Nel mentre... tutto va bene, madama la marchesa.