martedì 9 giugno 2015

IL "NON VOTO", PUNIZIONE PER IL POLITICO VINCOLISTA.

Un piccolo, ma non marginale aspetto del "non voto", credo non sia stato preso in considerazione.
Durante questa campagna elettorale mi sono giunti decine di sms di candidati che più che chiedere un voto lo elemosinavano. Una cosa quasi imbarazzante.
Scomparsa la diffusione delle proprie idee e del proprio credo politico, si è passati direttamente alla supplica: per favore votatemi... diamo una mano a tizio... aiutiamo caio ad entrare in consiglio...
Un atteggiamento che non mi ha stupito: se tutti sono alla ricerca di un posto di lavoro, e quindi di un reddito, perché non lo dovrebbero essere i candidati?
Deve essere stato per non aver compreso tale modalità comunicativa che quando mi presentai alle elezioni comunali del 2006 presi ben 36 voti, compreso il mio. Nella mia ingenuità, infatti, cercavo di comunicare dati e idee, cosa che, percepivo, interessava poco. Cosa altro interessava? Interessava l'elettore quello che il candidato poteva fare per lui. Fare nel piccolo, nel quotidiano... vale a dire: "Puoi trovarmi un posto di lavoro, per me o per mio figlio?"
Non solo non potevo, ma non sarebbe rientrato nel mio modo di essere.
Volgarmente questo si chiama "voto di scambio", e dico "volgarmente" nel senso di "volgo", di popolo. Ma spostata tale visione su ampi numeri, credo si possa chiamare "rapporto di forza". Un "rapporto di forza" che, come al solito, in questo nostro strano Paese viene usato in una maniera un po' diversa da come avverrà probabilmente negli altri.
Credo così che il "non voto", nasconda un altro aspetto: "Caro candidato, hai fatto per me o per mio figlio quello che l'altra volta ti avevo chiesto? Gli hai trovato o mi hai trovato il posto di lavoro? No_o?! Bene. E allora io non ti voto, non voto il tuo partito o l'amico che mi chiedi di votare. Vuoi l'elezione? Arrangiati!".
Non mi interessano qui i discorsi morali o moralistici su come questo potere del cittadino potrebbe essere usato. Quello su cui forse può essere interessante interrogarsi è perché la politica non può più "soddisfare" certe richieste del suo elettorato. Cosa sarà a legarle le mani: il moralismo imperante, spesso senza capo né coda, o una situazione economica che ha talmente ristretto le maglie di operatività del potere da impedirne l'azione a tutti i livelli?
"Ma qualcuno viene pur sistemato", mi si dirà, gli amici degli amici degli amici... una cerchia, a ben vedere, sempre più ristretta e con condizioni lavorative che oscillano tra il precariato e il sotto precariato. Un bacino, quindi, quasi ininfluente di voti a livello elettorale.
Non mi interessa qui capire se fosse eticamente giusto quel che avveniva un tempo quando certi politici facevano a gara a chi "metteva più gente nelle Poste", anche perché, se pure moralmente disdicevole, economicamente erano comunque redditi e consumi e tasse e moneta che circolava. Un qualche effetto positivo, quindi c'era. E sopra tutto c'era una sponda per tutti, il che, nella deprecabile eticità dell'azione, rendeva almeno la cosa "democratica".
Mi piacerebbe invece chiedere al politico di turno se si sta rendendo conto che il serrare le maglie imposto dall'esterno, sta, neanche tanto lentamente, tagliando le gambe anche a lui, lasciando sempre meno spazio di manovra ai più a favore dei pochi, di quei pochi che entrano nelle grazie del Potere (finché gli saranno utili, poi, una volta masticati, verranno sputati via senza alcuna pietà o considerazione).
Non so, caro politico, ma ti conviene?


venerdì 5 giugno 2015

LA SCRITTURA TROVATA: Goldoni o dell'incompreso (1)


O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani.

(ossia mettetevi comodi perché sarà a rate, lungo e complicato...
I teatranti troveranno molte cose che già sanno, ma qui mica si scrive solo per loro. A loro, al limite, glie telefono e/o glie manno ‘n messaggio su feeeeisbbuc.)


Nei suoi Mémoires, cap. VIII, Carlo Goldoni scrive:
“Scartabellando continuamente quella biblioteca trovai testi di teatro inglese, teatro spagnolo e francese, non ne trovai di teatro italiano. C’erano qua e là vecchie commedie italiane, ma nessuna raccolta o collezione che potesse far onore all’Italia.
Vidi con dispiacere, che mancava qualcosa di essenziale a questa nazione, che aveva conosciuto l’arte drammatica prima di tutte le altre, non potevo concepire come l’Italia l’avesse dimenticata, degradata e imbastardita: io desideravo ardentemente vedere la mia patria elevarsi al livello delle altre e mi promisi di contribuirvi.”
Di questi tempi, la prima cosa che salta agli occhi è che per parlare di Italia, e di Patria, Goldoni non ha bisogno di invocare un progetto di Italia unita.

Carlo Goldoni è forse l’autore più mal compreso dalla critica letteraria italiana. E ciò è certamente da attribuire al fatto che la critica letteraria italiana, non ha mai veramente compreso il Teatro. Focalizzare tutta l’attenzione sulla Riforma ha distorto le intenzioni di questo sommo autore.
Quali siano i motivi, francamente mi interessa poco saperlo. Restano i fatti; e i fatti ci dicono, per esempio, che quel passaggio dei Mémoires non è stato mai colto nella sua possente valenza.

La storiella della Riforma non regge o regge poco.
Scorrete le antologie della letteratura italiana che sono sui banchi di scuola dei nostri figli. Dove, come, quanto e quando si parla di Teatro? Praticamente mai, fatto salvo, forse, un breve accenno a La mandragola di Machiavelli.
Poi, improvvisamente, appare Goldoni. E sbrigativamente, a questo punto, i poveri professori si vedono costretti a parlare di Commedia dell’Arte. E siccome devono dir bene di Goldoni – altrimenti non si capirebbe perché stia lì, nell’antologia – non possono che fare un quadro deleterio di un fenomeno fondamentale per tutto il teatro occidentale come, appunto, la Commedia dell’Arte; la quale inevitabilmente viene mostrata come l’attività cialtrona di un manipolo di comici alla ventura, che girano la nazione e l’Europa propinando al pubblico orride gags e un repertorio stantio, ammuffito, ripetitivo e ripetuto nei secoli onde soddisfare e solleticare, a scopo di lucro, le più intime sensazioni del basso ventre popolare.
Sappiamo oggi, più che bene, che non fu e non è così! 
E, onde rafforzare il valore della presenza del Nostro, sempre nelle care antologie gli si contrappone anche un degnissimo autore come Carlo Gozzi, indicato quale sostenitore di quell’antico “ciarpame teatrale” riciclato sotto la concezione del favolistico contrapposto all’altro perno (secondo la critica) piantato dal Nostro: il rifarsi alla natura, a quello che Goldoni stesso definisce Il teatro del Mondo.

In pratica, l’antagonismo Coppi-Bartali, nasce ancor prima dell’invenzione della bicicletta...    

                            






Bene. Se tutto questo avesse un senso, fossi uno studente mi chiederei: “Dov’è che posso andare a vedere dei comici dell’arte così da capire la differenza?”. Chiaramente da nessuna parte (oppure in un qualsiasi teatro d’Italia e d’Europa visto che quel prolifico germe sempre è con noi, sempre ci guida, sempre ci sostiene. Ma mettiamo per ora da parte questo discorso).
E se dunque la risposta è “da nessuna parte”, come posso capire, praticamente, direttamente, fattiva-mente, l’importanza di questo autore? E soprattutto: se il suo maximo valore è legato alla Riforma, perché lo si continua a rappresentare visto che il suo opposto non c’è più, e le questioni poste nella Riforma sono ampiamente assorbite e superate?
Aggiungiamo pure: se la Commedia dell’Arte è fenomeno italiano e Goldoni in contrapposizione a quella lavora, perché egli è ancora così rappresentato all’estero, per esempio in Francia? Hanno avuto, forse, i Francesi il problema della Riforma, o sui loro palcoscenici non erano già passati personaggi come Molière o Racine o Corneille?

“Sì, ma non è solo la storia della Riforma – dirà il magno studioso di turno - c’è anche il forte richiamo alla natura volendo egli descrivere il teatro del mondo.”
D’accordo, d’accordissimo!, e questo è sicuramente un dato importante, anche se, ancora una volta, bisognerebbe avere la capacità di guardare oltre le semplici parole, oltre le affermazioni che paiono più che chiare: cosa vuol dire, infatti “il teatro del mondo”? E se fosse un modo per esprimere un concetto che l’autore sente chiaro dentro di sé ma non trova miglior modo per “metterlo fuori” che questo, ma esso, in realtà, più che spiegare, indica?
Questo interrogativo ve lo lascio, perché è indubbiamente generale, applicabile alla stragrande maggioranza degli autori, degli artisti, e credo anche degli scienziati.

Nel frattempo mi chiedo: nella storia della letteratura, del teatro, della pittura, della scultura, della musica, ecc. ecc. ecc. quanti sono gli autori che hanno voluto scientemente guardare alla natura per “riprodurla”?
Facciamo un gioco: ognuno di voi faccia il proprio elenco, ci infili nel mezzo Goldoni, e vedrà che questo nome si perde immediatamente in un mare magno, indubbiamente fatto di splendidi autori, ma sempre mare magno.
E sì, perché ciclicamente, quando le cose cominciano a diventare torbide, incomprensibili, quando si avverte una sorta di stop, di non voluta frenata... c’è sempre qualcuno che vuole ricominciare da zero, e lo zero dove si identifica, dove sta? Nella natura.
Non sto denigrando questo comportamento, o intenzione: la trovo invece sana, sanissima: naturale che volendo ricominciare si riparta dalla madre terra - e da dove altro vorreste cominciare? – e quindi dalla natura.
Resta il fatto che in questo modo, il Goldoni diviene uno come tanti altri. E allora (e siamo sempre al punto di partenza), dove sta questa sua importanza?
Non so se mi sono spiegato, ma per come viene spiegato, qualcosa nella spiegazione non spiega.

Quindi: perché la Riforma avrebbe sì tanto valore? Perché ne ha, certo che ne ha: in fondo, anche questo termine, Riforma, più che spiegare, indica; ma cosa indica?

Diamine, cari critici, ci siamo, ci siete vicini, ci siete sempre stati vicini: perché Goldoni scrive, si occupa, focalizza la propria attenzione sulla scrittura!
Ecco: era così complicato illustrare ai nostri studenti questo primo punto? Non mi pare.
“Bene – dirà il magno critico – ma questo lo abbiamo detto: Goldoni scrive in contrapposizione alla pratica del teatro all’improvvisa”, quindi dove sarebbe la differenza?” 






(continua...)

lunedì 1 giugno 2015

E la compagnia telefonica si costruì la TREDICESIMA!


Si dice ci sia il libero mercato! Perché il mercato è cosa buona e giusta e si autoregola. Forse non abbiamo capito quel "autoregola", vuol dire probabilmente che fa regole solo per sé e se le fa da solo. Di sicuro non pensa a voi, cari cittadini/ consumatori.
Se esaminate con un attimo di attenzione le tariffe telefoniche vi accorgerete con una certa facilità che chi ti leva 1 euro da un lato se lo riprende dall'altro e l'altra compagnia fa il contrario, e poi l'altra ha un conteggio diverso ma sempre la stessa cifra raggiungi... e così via. Il mito del risparmio si infrange contro l' "autoregola" del mercato.
Alla fin fine tutto risulta uguale, se vuoi usare il telefono, tra casa e cellulare, devi scucire mediamente una cinquantina di leuri al mese, e concorrenza non ce n'è.
Da qualche tempo si sta diffondendo un altro meraviglioso inganno al quale pian piano le varie compagnie stanno aderendo: "Il rinnovo si effettua ogni quattro settimane". Stiamo parlando, caro amico, della tua tariffa telefonica per il cellulare, in particolare quelle nuove.
Che ci sarà di strano? "Quattro settimane - starai pensando - sono un mese, siamo lì...", quindi 12 rinnovi come prima.
E invece no, c'è la SORPRESINA! E Te lo spiego subito.
Parliamo, nello specifico, delle "ricaricabili" il sistema di contrattualizzazione telefonica più diffuso.
Prima compravi una tariffa che era mensile, che si rinnovava, quindi, ogni trenta giorni.
Prova a moltiplicare 30 giorni per 12 mesi (12 rinnovi), il risultato è: 360 giorni. Non ci piove. Il che significa che la compagnia telefonica su un intero anno si "inguattava" cinque giorni. Bene, cosa da poco, ci si poteva stare.
Ma se moltiplichi i 28 giorni per 12 rinnovi... caro amico, viene fuori un bel:

336!!! 

Per cui, se dai 365 giorni di un anno sottrai i 336 dei tuoi dodici rinnovi, sai cosa resta?
Un fantastico:

29!!!
e ti tralascio il significato che la smorfia napoletana attribuisce a tale numero.

Devo aggiungere altro? Mi pare tutto evidente.
Se prima facevi 12 rinnovi da 20 leurini al mese, voleva dire che spendevi 240 leurini.
Ma se oggi, per avere una tariffa e un consumo simili, fai 12 rinnovi da 20 leuri, spendi sì gli stessi 240 leurini, ma ti restano fuori 4 settimane più un giorno, il che significa che ti ci vuole un altro rinnovo, un tredicesimo rinnovo, per un totale di

260 leurini belli belli! 

Carino, vero? la compagnia telefonica si è costruita LA TREDICESIMA, quella che, se continua questo andazzo liberomercatista, tra poco toglieranno ai lavoratori.
Vabbè, dirai tu, con la tua solita faciloneria e superficialità, che vuoi che siano venti euro di più all'anno?!
Forse poco, forse tanto, dipende dalla tua situazione economica.
Il problema è: quanto ci guadagna la compagnia telefonica su questo giochino se moltiplichi tutte le 4 settimane in più che si attivano su ogni linea?

Domandona finale: la pubblicità, questo, fino a che punto te lo dice?

Bene bene. Ora, altra domandona finale: dove sono le associazioni dei consumatori? Quelle che in nome del contribuente dovevano spaccare il mondo? Le antesignane della democrazia dal basso?
Capisco, hanno altro da fare, con le banche, equitalia, ecc.
Però, siccome non ce n'è una sola, ne avete sentita una dire una parolina su questa fantastica mistificazione?
Non mi risulta.
Buon rinnovo a tutti!