domenica 17 novembre 2019

VENEZIA, DANNI DALLA LOGICA DELL'EVENTO!

Nel mio ultimo post vi avevo parlato della predilezione per L'EVENTO che una certa politica ha avuto nel settore Cultura, in realtà a discapito del lavoro e della effettiva protezione del Patrimonio della Nazione.

Il disastro di Venezia è sotto gli occhi di tutti e non c'è bisogno che aggiunga altro, Ma trovo in rete il post di questo signore, il dott. Massimo Acanfora Torrefranca, e si scopre che... la Biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello, finita sott'acqua con danni incalcolabili a manoscritti e preziosissimi documenti, era ai piani alti, poi qualcuno per liberare uno spazio per "GLI EVENTI", l'ha spostata a piano terra. A VENEZIA!
Domanda semplice: DOBBIAMO AGGIUNGERE ALTRO?
Nel link la testimonianza completa, per i pigri si agevola screenshot

Passo e chiudo

https://www.facebook.com/matorrefranca/posts/10220546596364293














martedì 12 novembre 2019

CRISI DEL TEATRO, LA STRADA DA INTRAPRENDERE PER UN RITORNO AL FUTURO

Post lungo. Mi spiace. Necessario. Non parliamo sempre e solo ai teatranti.   

Che il nostro Teatro sia in crisi, crisi nera, quasi mortale, non è una novità. In questo blog ne ho parlato molte volte, criticandoo gli aspetti delle ultime leggi fatte, criticando alcuni comportamenti della nostra categoria, facendo le pulci ad accordi ed accordicchi che niente hanno portato alla causa dei lavoratori, e anche puntando il dito verso coloro che dicendo di fare gli interessi della categoria in realtà fanno i loro
A volte ho sentito necessario fornire qualche spiegazione, a volte andarmene per i fatti miei poiché sentivo che poco ve ne fregava di quel che dicevo.
Perché la categoria ha questa fantastica connotazione: si lamenta per la maggior parte della giornata, salvo poi non acquisire mai, operativamente, punti di vista e opinioni diverse da quelle che già ha. In soldoni: "La colpa è di Achille!", "Bene. Chi voti alle prossime elezioni?", "Achille!". Ok, auguri.  


Non ostante questa sfiducia generalizzata - lo ammetto - nella categoria, alcune cose le avevo tra i miei appunti, e sento dunque necessario comunicarvele, poiché credo che siamo quasi a toccare il fondo e dunque tra poco sarà necessario avere strumenti in mano per organizzare la risalita. 
E sarebbe finalmente il caso che gli attori, e con loro i tecnici, questa risalita se la costruissero da soli, lasciando per una volta in un angolo professori universitari e burocrati teatrali, i quali campano sulla nostra pelle senza in realtà saper nulla della nostra vita e soprattutto della nostra professione

Una premessa
La logica sulla quale si è proceduto negli ultimi 25 anni, dai ministri Ronchey in poi, passando per Veltroni, Melandri, Bray, fino a Franceschini (tralascio nomiare quelli di centrodestra perché tendenzialmente inconcludenti), è stata quella della Cultura come "nostro petrolio". 
Ma con il petrolio cosa si fa? Lo si sfrutta! Il nostro patrimonio culturale e i suoi lavoratori, invece, sono da conservare in quanto siamo noi, è la nostra cultura, la nostra storia, le nostre radici (si potrà ancora dire questa parola in senso non botanico?). E questa opera di preservazione e studio e consolidamento va messa in campo anche se non portasse denaro. Ma il giochino magico è che se tu conservi bene il tuo patrimonio poi ti potrà portare anche introito economico. Figo, vero?

Si è invece sempre più proceduto verso il solo sfruttamento, verso il consolidamento di vere e proprie Disneyland della cultura, da Pompei a Venezia, e quel che non dà incasso lo si lascia in disparte. Lo sanno bene gli archeologi, o i museali, o i restauratori, che vivono ormai in una perenne condizione di precariato. E lo sanno anche bene quelli che ancora vivono o viveano nei centri storici delle nostre città storiche e più importanti ridotte ormai a centri vacanze per cafonissimi turisti in bermuda. 

Sul teatro si è adottata una medesima logica, facendo man mano svuotare la tradizionale compagnia di giro e puntando sempre di più sul concetto di "EVENTO". Quindi su spettacoli di breve durata, festival per lo più e alto numero di produzione con breve vita, nonché le tante cose che anche in queste pagine virtuali abbiamo già esaminato.
Non a caso, alla fine del giro, il ministero della Cultura è andato a riunificarsi a quello del  Turismo. Il PIL ha bisogno di attrarre turisti e i turisti li attraggono gli eventi. La tournèe non serve più perché scarsamente produttiva. Cosa ci importa di portare spettacoli a... Varese o a Campobasso per 500, o 700 persone la volta, se possiamo in un unico evento di una settimana far muovere migliaia di turisti?
Sentite più gente che dice che, salvi pochi, dice che va a vedere un Museo? Vanno tutti a vedere "la mostra!". E sempre in quest'ottica prolificano le città della cultura, mondiale, europea, nazionale... una spruzzata di celebrità e incassi distribuiti a turno. 

Tutte operazioni che per essere realizzate necessitano di volontari, dilettanti, precari - come le masse di volontari che partecipano contenti (poveri fessi!) alle cerimonie di apertura delle Olimpiadi - ma che nel contempo rendono impossibile la vita lavorativa del professionista.  

Bene, se sono riuscito a farvi inquadrare il problema, vi dico adesso, quel che penso si dovrà fare per risollevarsi, quando sarà il momento di iniziare la "risalita" (che ci sarà), quale la strada a mio parere da intraprendere per la salvaguardia del tutto: dei lavoratori, della professione teatrale, della cultura italiana (e quindi anche mondiale): 

Quando c'è da salvare una istituzione, un plesso produttivo, o da risolvere una situazione socialmente complessa, ci sentiamo dire: “È necessario che le parti in campo si lascino i conflitti alle spalle e uniscano le forze onde favorire una rapida risoluzione della crisi".  
L'appello, come certo vi sarà capitato di notare, è il più delle volte infruttuoso perché non tiene conto di una semplice verità: le diverse categorie hanno interessi contrastanti. Unire le forze, mettere insieme gli intenti, far fronte comune per chi ha legittimamente obiettivi divergenti è semplicemente impossibile, quanto inutile. 
Prima ancora di “lottare insieme” si devono avere chiari gli interessi delle singole categorie, quindi cercare i punti di incontro, e solo da qui potrà partire la “riscossa comune”, solo in tal modo si potranno effettivamente raggiungere degli obiettivi veri, sani, concreti e soprattutto fruttuosi per lo meno sul medio periodo (poiché sul lungo saremo tutti morti, tanto per citare Keynes…). Se poi il discorso verrà bene impostato, allora ci saranno sicuramente degli effetti anche sul lungo periodo . 

Parliamoci chiaro: un imprenditore vuole pagare meno un operaio, ma un operaio vuole essere pagato di più, e un acquirente vuol pagar meno la merce, ma un commerciante vuole guadagnare di più… Tutto normale, se ci pensate un attimo: sono interessi normalmente in contrasto (non normale è l’imprenditore contento perché può pagare meno i suoi operai, dimenticando che così ha anche perso i suoi primi acquirenti).
È fin troppo chiaro che anche in teatro funziona allo stesso modo: un impresario vuole guadagnare di più e pagar meno i suoi scritturati, gli scritturati vogliono essere pagati di più, gli impresari desiderano essere pagati di più dai teatri che desiderano pagarli di meno ecc. Meccanismi che valgono per tutti, per il pubblico per il privato e per i circuiti.

Ma allora, quale può essere il punto in comune, quello che può e deve tenere insieme tutti gli addetti del settore? Sembrerebbe complicato, invece è maledettamente semplice:

la Continuità Lavorativa!

Da non confondere con la “pratica compulsiva” degli odierni teatri Stabili (chiamateli pure Nazionali) fatta di mille mini produzioni, ma la sana vecchia Continuità Lavorativa costruita sulle lunghe tournée, sull’adeguato sfruttamento dello spettacolo, ossia dell’investimento fatto, sia dal Privato che dal Pubblico.

Se infatti avrà più piazze, l’imprenditore privato accetterà di perdere qualcosa sulla singola serata, e lo scritturato, di fronte a una adeguata prospettiva di lavoro, accetterà anch’egli un giusto compromesso sul suo compenso. E gli Stabili non saranno più costretti a rincorrere il numero di “alzate di sipario” con un ritmo di messe in scena forsennato, mortificante per gli scritturati e travolgente per i loro conti. E così ancora per i Circuiti, che potranno tornare a concordare migliori costi degli spettacoli a fronte di un maggior numero di piazze da offrire alle Compagnie, avere un giro di Compagnie maggiore da proporre, ampliare e diversificare l’offerta tra professionisti, spettacoli per le scuole, e anche specifiche rassegne amatoriali.

La Continuità Lavorativa rimette in circolo un alto numero di contributi versati agli enti previdenziali, è positiva per tutto l’indotto che ruota intorno al Teatro, dagli alberghi, ai ristoranti, ai trasporti, agli addetti alle biglietterie, alle maschere, le sartorie e i service luci… fino alle tipografie o la pubblicistica locale. 

È il “ritorno all’antico” che fa la prospettiva futura, e ogni politica che la favorirà sarà certamente positiva. 

Non può non essere chiaro, giunti a oggi, che le riforme messe in campo in questi ultimi venticinque anni, l’idea di teatro e di cultura in generale che sono state attuate, sono indiscutibilmente fallimentari.

Se, come rilevato dall'indagine, “Vita d’artista”, promossa dalla CGIL, dalla Fondazione Di Vittorio e da altre associazioni e movimenti, mediamente un lavoratore dello spettacolo italiano porta oramai a casa cinquemila euro l’anno, se i periodi di non attività sono predominanti, se ci sono enormi problemi nel percepire i compensi stabiliti, se le produzioni in particolare private hanno sempre maggiori difficoltà ad accedere alle sovvenzioni pubbliche, non ritrovano più quella quantità di piazze che un tempo erano la normalità lavorativa, difficilmente ricevono i compensi in tempi accettabili, e se pure molti teatri Stabili sono indietro con il versamento degli stipendi ai loro dipendenti, pagano con ritardi anche di un anno artisti e fornitori, devono mantenere macchine burocratiche che succhiano vampirescamente la parte preponderante dei contributi ricevuti… se insomma tutto questo e molto altro ancora, vuol dire solo che le politiche messe in campo in questi ultimi venti anni sono fallimentari. E senza appello!

A questo punto, per la salvezza di un settore così importante non solo per la Cultura ma anche per l’economia del Paese, è assolutamente necessario cambiare i paradigmi, cambiare rotta, cambiare politica culturale. E la ricerca della Continuità Lavorativa è la chiave della rinascita del Teatro italiano a tutti i livelli
Non soltanto può mettere d’accordo tutti, ma ripropone come centrale il valore storico del Teatro Italiano: la sua natura girovaga e non stanziale

Rimettere in moto la Continuità Lavorativa è possibile. Non per contratto però, come nell’ultimo e per me inconcludente CCNL siglato da parti che più nessuno rappresentano: perché è inutile pensare di imporre a un imprenditore “il contratto continuativo” quando egli non ha “spettacoli continuativi” da offrire ai suoi scritturati poiché non ha accesso ai teatri
Rimettere in moto la Continuità Lavorativa è possibile, invece, smontando i gangli arrugginiti del sistema, sciogliendone i nodi, evitando l’incancrenirsi di consorterie autoreferenziali e ritornando a una libera circolazione delle idee, delle attività artistiche e delle semplici e sane radici professionali
"Tornando all'antico". 

La rinascita culturale del nostro Teatro passa sicuramente da una azione di Liberazione e di apertura totale a tutte le idee, a tutte le proposte, a tutte le iniziative, restituendo al pubblico il solo giudizio insindacabile, rendendo assolutamente disponibili gli spazi, con un sostegno equo e accorto dello Stato per ciascuna attività, con una difesa e regolamentazione seria e profonda delle professionalità, stabilendo regole che vadano a vantaggio di tutti e non di pochi, ma soprattutto facendo in modo che il campo dell’arte non sia luogo di discriminazioni di stampo culturale e/o politico, di dimostrazioni di presunte superiorità morali e/o culturali, di appropriazione di una parte con l’intento di dettare l’indirizzo del pensiero. 

Il Teatro è il luogo in cui la Polis riflette su se stessa, dobbiamo fare in modo che torni ad essere un luogo di confronto libero e per tutti, in una parola di Democrazia. 


martedì 5 novembre 2019

Balotelli, perché non è razzismo

Buonasera, permettete che vi dica due parole sulla noiosissima questione Balotelli che in questi momenti riempie le pagine della cronaca come se fosse lo scandalo del secolo.
In realtà non lo è, e non è nemmeno lo scandalo della settimana, è solo l'ennesima dimostrazione di cosa sono le curve e di cosa sono i tifosi, e di quello che è diventato il tifo calcistico.
Già, ma in che senso?
Nel senso che verso Balotelli Mario, calciatore del Brescia, italiano notoriamente di colore non c'è alcun sentimento razzista.
Per capirlo vi basterebbe aver frequentato un po' gli stadi e avere minimamente osservato come si muovono le tifoserie.
Il tifo è una malattia, come il nome stesso dice, e tu che sei dall'altra parte non sei avversario ma nemico, in quella che è, a tutti gli effetti, una simulazione di guerra. Nell'ambito dello stadio sono da sempre concesse alcune cose che troveremmo in altri luoghi deplorevoli, proprio perché diviene il luogo deputato allo sfogo, allo scarico. Da questa concezione semplice fatta di parolacce e/o altre volgarità, la degenerazione è stata in realtà troppo facile. Probabile che tutto cambi nel momento in cui, siamo nel 1962, un tifoso della Salernitana, Giuseppe Plaitano, viene ucciso nello stadio di Potenza da un colpo di arma da fuoco.
Non è cambiato tutto in un attimo, ma da quel punto in poi troppe cose sono state tollerate, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando tifosi di due tifoserie avversarie decidono autonomamente che la partita si deve sospendere e ingaggiano una battaglia fuori lo stadio con le forze dell'ordine, loro vero nemico. Per motivi lavorativi passai la mattina dopo, verso le 7,30 nei piazzali antistanti l'Olimpico di Roma, e per quel che vidi, la devastazione di un vero campo dopo la battaglia, decisi che non sarei andato allo Stadio mai più.
E invece un paio di volte sono ritornato. Perché il tifo è una malattia, ed è più forte di te.

Ora, chi ha vissuto gli stadi sa che il tifoso farebbe e direbbe qualsiasi cosa per innervosire, far saltare i nervi, offendere l'avversario. Il far play è una scemenza che non ha nessuna cittadinanza dentro lo stadio, di qualsiasi sport. Tu vai allo stadio per vedere la tua squadra vincere. Punto. Del bello spettacolo te ne frega nulla e poi nulla. E se la tua squadra gioca malissimo e vince tutte le partite per te va bene lo stesso e non ti passa nemmeno per la testa che giochi male.
Il tifoso vuole vincere. Chi vi racconta altro vi racconta stronzate oppure non è un tifoso.
In quest'ottica, per far perdere il controllo all'avversario usi tutte le armi a tua disposizione, anche il laser sulla faccia del portiere durante un rigore fa parte di quelle armi, anche agitarsi dietro la porta per distrarre l'attaccante che deve battere quel rigore fa parte di quelle armi. Gli insulti sono, è evidente, l'espediente più semplice, quello più a portata di mano.
Io ti offendo con ciò che ti offende. E' semplice, niente di complicato.
Dunque, se sei napoletano ti urlerò "colera, lavatevi, la puzza, il vesuvio..." perché quelli sono i tuoi punti deboli. Ma allo stesso tempo se sei un francese ti potranno urlare, come ho sentito: "Fatte nu bidet, zuzzuso" (fatti un bidet, sporcaccione); o ancora, al cinese o coreano o giapponese, tanto per il tifoso è lo stesso, magari diranno che sono una palla di riso piena di ... O magari sei un arabo di m...
Scatenatevi con la fantasia e ne troverete di tutte le specie: contro i brasiliani, gli argentini, i tedeschi, gli olandesi ecc. ecc. ecc.
E' anche comprensibile, a questo punto, che ci sono "categorie" che più facilmente possono essere colpite, tipo i meridionali, o gli africani, perché una serie di luoghi comuni sono già ampiamente costruiti e pronti all'uso.
Io ti offendo con ciò che ti offende. E allora, se sei africano ti farò il verso dello scimmione, il tristemente noto "Buh!". Ma non ti viene fatto perché io sono razzista. Infatti nessuno a mai fatto quel verso a Gullit, o a Seedorf o a Weah... O a Pelè, o a Eusebio.
Perchè il tifoso è stronzo, ma ha un pregio, se vede un Dio del pallone TACE!
Balotelli Mario è un mediocre giocatore spacciato per campione, questo il mio giudizio, ed è bersaglio di offese come tanti altri, perché quelle offese mirano a ottenere uno scopo preciso: fargli perdere le staffe. Che è quel che è successo!
State certi che a Gullit o a Pelè, se pure li avessero offesi, non sarebbe mai accaduto di avere quello scatto di rabbia. Perché il vero campione è prima di ogni altra cosa sicuro di sé e non ha bisogno della approvazione di nessuno. Lui gioca e basta. E ti lascia a bocca aperta. Lascia a bocca aperta noi che saremo pure tifosi imbecilli e violenti ma, come scrisse Gianni Mura parafrasando Galeano, siamo e restiamo "Mendicanti di bellezza": "Una giocata, una bella giocata per favore".

Nei versacci a Balotelli non c'è razzismo, come si vuol far credere per strumentalizzare, perché se fosse stato cinese o arabo avrebbe subito lo stesso trattamento pur di fargli perdere le staffe. Il tifoso è così che diventa il dodicesimo uomo in campo. Farà schifo, ma fa parte della battaglia. Non giustifico, offro una spiegazione.
E tu calciatore hai un solo modo per evitare gli insulti e zittire lo stadio: "Una giocata, una bella giocata per favore".

Se non sei capace, stai a casa.