martedì 30 ottobre 2018

SE IL MIUR LI CERCA, DOVE SONO I PROFESSIONISTI? (perché è ora necessaria un'agile svolta dando vita a un'associazione degli attori professionisti)

Chiedo in anticipo scusa a tutti se quello che racconterò non dovesse corrispondere al vero. 
Il fatto è che: questo mi è accaduto e questo vi dico. 
Perché per quanto abbia cercato sui siti istituzionali una conferma, non mi è stato possibile trovarne. Ed è molto probabile ch'io non sia capace. 
Così, attraverso questo raccontino, chiedo aiuto a voi, miei quarantasette audaci lettori, ché possiate fornirmi, se ce l'avete, un corretto riscontro. 

Un paio di giorni fa, passeggiando per il centro, incontro un conoscente, un ingegnere con la passione del teatro che ha una compagnia amatoriale. Mi dice dell'accordo tra il Ministero dell'Istruzione e il Fita cui la sua compagnia è associata. 
Questo conoscente (non posso dire sia un amico), mi invita a preparare un progetto per le scuole, che, mi dice, certamente verrà approvato. Alla fine dell'anno, poi, il MIUR valuterà i dieci migliori progetti, e questi saranno premiati con € 1500,00 l'uno. 
Mi mostro interessato e gli rispondo che nel giro di qualche giorno gli farò sapere. 

Ora, io spero vivamente che quanto raccontatami, vi assicuro con un certa qual baldanza, non sia vero. Ma come si dice: è assurdo quindi vuol dir che è vero! 
E così mi metto alla ricerca di una conferma, cerco, come si dice, di verificare la notizia... 
nulla. 
Ecco perché ho deciso di chiedervi aiuto. Su internet trovate decine di siti che rimandano al protocollo Miur-Fita, ma non una riga che spieghi come questo protocollo si attui. 
E invece credo sia importante saperlo. Perché se è così come mi è stato raccontato ci sono una serie di considerazioni da fare. 
A cominciare dalla paradossale situazione nella quale ci si può ritrovare: una compagnia amatoriale che dà lavoro a un attore professionista; per proseguire con la "valorizzazione della Cultura" fatta praticamente a costo zero (dieci progetti a 1500 euro l'uno, fa quindicimila leuri, se qualcuno mi vuole calcolare la percentuale sul bilancio del Ministero per non dire dello Stato...); finendo alla attuazione di un progetto "sfruttando" la passione di qualcuno, in questo caso il dilettante, e solleticandone l'ego ("ho vinto il premio!"); il tutto sempre - mai dimenticarlo - a detrimento del lavoro dei professionisti. 

Ma resta il problema: non avendo trovato un riscontro nei siti ufficiali, quel che mi hanno raccontato è vero???

Dopodiché, c'è una considerazione che va fatta a prescindere da tutto. 
Il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, ha stretto un accordo con la Federazione Italiana Teatro Amatori. Ma perché? Per un banalissimo motivo: 

Perché il Fita ESISTE!!! 

Gli attori professionisti possono dire quel che vogliono, ma qui c'è un dato certo e 
inoppugnabile: una associazione delle compagnie amatoriali ESISTE! 

Un'associazione degli attori professionisti 
NON ESISTE!!!

E questo è un altro dato certo e inoppugnabile. 

Dunque, rendiamoci conto: ammesso che il MIUR avesse voluto chiudere un protocollo con i professionisti, con chi avrebbe potuto farlo? 
Quello che penso di questo accordo e di tutto quello che ha guidato l'emanazione di una serie di normative sullo spettacolo dal vivo l'ho già scritto, per cui non credo che, pur esistendo, i ministeri si sarebbero rivolti direttamente ai professionisti. 
Ma credo anche che se un riferimento certo, giuridico, strutturato fosse stato presente, non avrebbero potuto ignorarlo. 

Tralasciamo per ora il discorso per cui se si vogliono risolvere le problematiche teatrali SI DEVE ASSOLUTAMENTE PARTIRE DA UN PUNTO: la costituzione dell'Albo dei Lavoratori dello Spettacolo; anche se io ne sono fermamente convinto - ho riflettuto a lungo su come si possa fare e questo vorrà essere materia di prossimi post - è una cosa decisamente complessa che non può in questo momento essere la priorità
Prioritaria è la costruzione di opportunità lavorative.
E proprio in tal senso può essere importante decisamente importante - e mi rivolgo qui anche agli amici di Facciamolaconta - avere una semplicissima associazione di attori professionisti. Una cosa agile, leggera, veloce, da fare subito, con pochissime regole, chiare e inappellabili, per cui se la direzione dice che non sei ammesso non sei ammesso, punto! Cosa possibile, a mio parere, proprio perché si parla di Associazione e non di Albo. 
Di Albo poi si parlerà, e magari una associazione così fatta può essere un punto di partenza (costo di iscrizione annuale, una cosa bassissima del tipo dieci euro l'anno, o un euro al mese...). 

A questo punto, una... AIAP (Associazione Italiana Attori Professionisti - il primo nome che mi è venuto, ma il nome è l'ultimo dei problemi) diviene necessaria
Necessaria per dare alle Istituzioni un riferimento strutturato anche giuridicamente. 
Ma ci tengo a sottolineare che per fare questa "AIAP o come ve pare", è necessario pure, in questo momento, farsi poche masturbazioni mentali, fare pochi dibattiti, cavillare poco e andare dritti sull'obiettivo dettato dall'interesse comune. 
Una associazione "sbagliata" si scioglie, un protocollo firmato da un Ministero... beh, è un po' più problematico buttarlo giù...   

PS - un giorno sarà necessaria anche una riflessione sul perché gli amatoriali sono così strutturati e agguerriti, come e perché presidiano il territorio e che rapporti possono avere con la politica in genere locale... 

sabato 27 ottobre 2018

UN SOTTILE MALESSERE (conversazione con un caro collega)

Oggi mi è accaduta una cosa strana, che non mi sarei aspettato: ho dovuto confortare un collega, ma un collega più grande di me, vivo mentalmente e politicamente, non una ameba strisciante di quelle che non si fanno domande, uno che si interroga e si domanda perché le cose vanno così come stanno andando. 
Il mio collega è uno che ha sempre lavorato, da quando è scoppiata la crisi anche più di altri, ma sono un paio di anni che anch'egli ha, purtroppo, cominciato ad arrancare, ed ora si ritrova senza prospettiva lavorativa. Come tanti di noi, ma nella mia testa il mal comune non è mezzo gaudio, è solo mal comune. Fortunatamente, egli ha cominciato a farsi delle domande prima di arrivare in fondo. 
Quelli così, in genere, non hanno grandi episodi di depressione, perché l'inquisizione li tiene svegli, allerta, e non gli permette di ripiegarsi su loro stessi. Eppure, con me si è lasciato andare e mi ha confessato di star male, di essere in ansia, di capire che quello che gli accade intorno, quello che in particolare accade nel nostro lavoro lo sta portando a star male, capisce che è vittima di un perverso meccanismo che lo induce al malessere, e questo, mi ha detto, non gli piaceva. 
Non ne ero meravigliato, per due motivi: il primo è che ci sono passato anche io, il secondo è che se uno è consapevole del malessere strisciante che di lui si sta impossessando, la situazione è meno grave di quel che può sembrare. 
"Vedi - gli ho detto - il motivo per cui sono grato ad Alberto Bagnai come a un fratello, e al suo blog con tutti quelli che lo frequentano abitualmente, è proprio questo, stavo per ammalarmi, con le stesse sensazioni che tu provi ora, e invece ho capito che non avrebbe avuto senso, perché non dipendeva da me; il sistema è costruito in modo tale, vedi, da farti credere che se ti impegni arriverai, ma poi, quando non arrivi, la colpa resta solo tua, perché la sensazione netta che il sistema ti rimanda è che non ti sei impegnato abbastanza; e invece non è così - capii - perché tu fai tutto quello che è nelle tue possibilità e anche qualcosa in più, eppure Il Sistema non ti fa passare; è la bufala della meritocrazia: tutti sono certi di essere meritevoli (perché nessuno direbbe di se stesso che non lo merita), ma questo comporta anche che poi tutte le colpe di un possibile fallimento ricadranno solo su di te. E invece non è così, non sei tu il colpevole, è Il Sistema che è fatto male o per meglio dire, è malato. Ed è contagioso, per cui il risultato è proprio questo: che alla fine sei tu che ti ammali." 
"Sì, è vero - mi ha risposto il collega - ci stavo ragionando proprio in questi giorni, tu fai mille sforzi, eppure ci sono una serie di cose che ti schiacciano, ti sopraffanno. E noi non siamo gente che non ha fatto nulla in vita sua, che non ha meritato, che non ha raggiunto risultati. Cazzo, abbiamo fatto ruoli, protagonisti, coprotagonisti. Quindi non avrebbe senso pensare che sei uno che non ha mai fatto un tubo, semplicemente ora ti stanno come espellendo piano piano, a mano a mano. Io, in questo momento, sono come un esodato. Ho qualche anno più di te, un tempo sarei arrivato finalmente alla pensione. Ora invece in pensione non mi ci mandano, ma non ho un lavoro, quindi non ho un reddito. Tecnicamente sono come un esodato. E siccome, oltre tutto, ho una compagna che invece lavora e guadagna discretamente, non posso nemmeno accedere a tutta una serie di forme di sostegno statale, perché fai l'Isee e praticamente non risulti povero, perché la tua famiglia ti può mantenere. Ma si può pensare alla soglia dei 60 anni di essere mantenuto dalla famiglia? Sei tu che dovresti mantenere la famiglia, o quanto meno dare il tuo giusto contributo."
"Concordo, sono nella medesima situazione. Questa cosa dell'Isee, sarà pure un parametro equo che hanno trovato, ma io la trovo irrispettosa della dignità personale."
"Ma certo, perché tu non puoi dare il tuo contributo alla vita di famiglia, e la cosa assurda che sei incatenato all'altra persona, come in uno stato di dipendenza, di sudditanza. Non so se riesco a spiegarmi."
"Perfettamente. Se un giorno ti svegli e capisci "non ti amo più", non te ne puoi andare perché... non hai una indipendenza economica..."

"O per lo meno un minimo di autonomia. Ora, io non ho intenzione di andarmene..."
"E nemmeno io..."
"...e c'è anche mio figlio, ecc. Ma capisci che questo fatto dell'Isee, dovrebbe fare giustizia sociale, e invece toglie dignità personale."
"E lo capisco sì. Pensa che io dovrei fare il processo alla Sacra Rota per il mio primo matrimonio, ho tutto quello che serve, motivazioni, testimonianze... tutto. Ma per forza di cose devo accedere al gratuito patrocinio. Solo che la mia Curia non lo dà se non gli porto l'Isee. E per farlo devo chiedere alla mia compagna di darmi tutte le sue carte, tutto, anche se ha un libretto di risparmio con duecento euro sopra, io lo devo sapere e portare i documenti a loro... E a me non mi va. Quella è una cosa mia, un problema della mia gioventù, che io voglio risolvere da solo, perché devo coinvolgere lei in un fatto che non la riguarda, un fatto di quando lei non c'era... E tutto questo pur essendo chiaro che il mio reddito ha bisogno della bombola d'ossigeno. Capisco che è una idea paradossale la mia, che uno dice pure: "Ma è la tua compagna, perché deve nasconderti le cose". Ma non è così..."
"Certo, è una tua forma di rispetto..."
"E il risultato è che la causa non parte... e pazienza, il Signore capirà." 

"Secondo me, pure lui ogni tanto guarda qua sotto e si chiede: "Ma che state a combinà?", nemmeno lui ci capisce niente, a volte".
E ci siamo fatti una risata. 

Perché per fortuna noi ridiamo ancora, sorridiamo ancora, in barba a tutto, in barba al mondo, in barba agli uomini che ci hanno tolto un pezzo di tempo che avremmo potuto usare per fare forse qualcosa di buono, o per lo meno di onesto. 
La mia consapevolezza è che non potremo dire che "ci rifaremo" perché il tempo non torna. Potremo solo essere nel presente e vivere tutto quello che c'è da vivere, fino in fondo. 
Anche questa nostra faticosa risalita. 
Sorridi, compare, noi ci facciamo domande, noi in qualche modo ce la faremo, è sicuro. 

lunedì 15 ottobre 2018

LA PREBENDA DEL TEATRANTE

È evidentemente un momento di grandi cambiamenti, di pulsioni, tensioni, ribaltamenti. Comunque la si voglia vedere, qualcosa sta accadendo, e sta accadendo a livello internazionale. Nulla, appare sempre più chiaro, è racchiuso nel nostro piccolo mondo, e mai come adesso si può letteralmente vedere quanto una cosa che accade negli USA o in Germania finisce per influenzare la nostra quotidianità. 
Il globalismo è nei fatti. La sua gestione, invece, è una decisione politica. 
Perché questo benedetto globalismo c'è sempre stato, non è una caratteristica del nostro tempo. 
Si muoveva con ritmi diversi, perché legati a quella della vita in cui i fatti si sviluppavano, ma cos'è Marco Polo che va in Cina, il commercio delle spezie, le guerre per il predominio su certe rotte, l'invasione di altri territorio perché ricchi di alcune materie prime... cos'è tutto questo se non globalismo? 
Il problema è la gestione politica del fenomeno: puoi lasciartene assorbire totalmente e far sì che ogni tuo ristorante diventi un McDonald, porre dei limiti per una equa suddivisione degli spazi, impedire alla multinazionale di arrivare sul tuo territorio... In ogni caso si tratta di scelte politiche. 

Ultimamente anche la mia categoria, gli attori, è in gran fermento. E questo dato non può che essere accolto positivamente, anzi felicemente. In trenta e più anni di frequentazione del mondo teatrale, ho visto spesso gli attori cercare di compattarsi intorno a una qualche rivendicazione sacrosanta, ma regolarmente tutto finiva in una bolla di sapone. Perché? Perché fino a un certo punto c'è stato "pane per tutti", e quando hai la scrittura ogni altro problema passa in secondo piano. "Quando torno dalla tournée ci penso", pareva essere lo slogan del teatrante medio nei tempi andati (oltre tutto non c'erano nemmeno cellulari e computer), e regolarmente "le grandi battaglie" finivano come tutti i pater... 
L'attivismo di oggi, dicevo, è sicuramente forte, e si sviluppa in più direzioni. C'è da un lato chi fa delle precise richieste di tipo professionale, una serie, cioè, di modifiche alle leggi che riconoscano le specificità lavorative della categoria attoriale; c'è chi rivendica il valore della Cultura nel Paese, puntando su un piano puramente concettuale; e c'è chi si affanna in incontri con politici locali e talvolta nazionali rivendicando la necessità di maggiori investimenti. 
Ecco, questi ultimi sono quelli che suscitano in me il maggior sentimento di tenerezza. 
La mia opinione è che ciascuna delle macrocategorie che ho indicato, richiede interventi su elementi importanti, fondamentali; non tutti si pongono il fondamentale interrogativo: "Perché siamo giunti a questo punto?", o quando se lo pongono - è la mia impressione - o non vanno a fondo, o non affrontano il problema in maniera adeguata. È invece - questa sempre la mia opinione - di vitale importanza comprendere i motivi che hanno condotto alla devastazione attuale. Che non sono solo le leggi che sono state fatte, ma il motivo per cui sono state fatte. Su questo, mi spiace dirlo, ragionano in pochi. 
Ma quelli che continuano a chiedere alla politica più investimenti - dicevo - sono quelli che mi fanno maggiore tenerezza. Perché la sensazione che si ha a leggere i resoconti degli incontri o alcune loro esternazioni, è di un qualcuno che viva totalmente sganciato dalla realtà. 
"Il Governo DEVE investire in Cultura"... siamo d'accordo. 
"La Regione DEVE investire in Cultura"... e siamo ancora d'accordo.
"Il Comune DEVE investire in Cultura"... e arisiamo d'accordo. 
Fortunatamente per costoro le Provincie sono state "abolite" dal Governo Renzi, così si possono risparmiare un passaggio (meno fortunatamente per chi non sa più a chi rivolgersi per l'erogazione di determinati servizi). 

Già. Ma se le Istituzioni i soldi non ce li hanno?
Il convincimento di costoro è che i soldi ci siano ma non vengono investiti nei loro settori quasi per una forma di infantil dispetto. Pare quasi una scaramuccia tra bambini: "Dammi il pallone", "Non ce l'ho", "Non è vero, lo hai nascosto", "No, non è vero...", "Sì, è vero, dammelo...". 
Deve essere per questo che mi fanno tenerezza, come tutti i cuccioli. 
E se fosse vero che i soldi non ci sono? Non sarà forse il caso di chiedersi il perché non ci siano? 

In verità, l'azione di questa frangia è più pericolosa di quanto si immagini, poiché dà alla politica una immagine della categoria decisamente misera, da accattoni, e non di professionisti o di imprenditori attivi e vitali, pronti a rischiare e ad assumersi delle responsabilità, ma solo alla ricerca di una sussistenza, mascherata dal discorso culturale.
Trovo encomiabili le azioni di altri gruppi che agiscono, per esempio, per il riconoscimento professionale della categoria degli attori, perché in qualche modo cercano di modificare il sistema, un'azione dalla quale tutti trarranno giovamento e per un periodo lungo.
Il contributo momentanea e non strutturale, invece, legato al politico di turno e alle situazioni contingenti, darà ossigeno oggi, ma domani si tornerà in affanno, e pian piano la sola destinazione è quella dell'oblio. 

Spero vivamente che costoro non trovino sponda nella politica (tanto, denaro in giro non ce n'è) e che si debbano ritrovare spalle al muro a chiedersi almeno per una volta: "Ma perché i soldi non ci sono?".   

giovedì 11 ottobre 2018

NON PRENDETEVELA CON I GIOVANI (è questo il mondo che gli abbiamo consegnato)

Dunque il 6 di ottobre c'è stata la grande manifestazione per la Cultura. Mi dicono sia stato un successo, ma soprattutto ho il piacere di comunicare che mi ero sbagliato: la protesta non è stata strumentalizzata. Semmai un po' ignorata dai Media, ma comunque non strumentalizzata contro l'attuale Governo. 
Mentre un risultato importante i manifestanti lo hanno ottenuto, con una audizione in VII Commissione, Commissione Cultura, al Senato della Repubblica, nella quale i vari gruppi partecipanti hanno potuto presentare le loro istanze. 

Una cosa bella, un momento alto della nostra democrazia. 
Al quale non ha partecipato, come hanno evidenziato alcuni senatori presenti, il Partito Democratico. 
Le motivazioni sono diverse, ci è stato detto in un orecchio, per esempio il fatto che la manifestazione sia stata giudicata da qualcuno un po' troppo grillina; ma molto probabilmente, come da altra "soffiatina", perché il principale "imputato" era proprio il PD con le sue riforme, e nello specifico l'ex ministro Franceschini. Siccome il piddino non si smentisce mai (vedi alla specifica voce del Glossario), non ammette colpe o errori, si ritiene perfetto in pensieri opere e parole... semplicemente non ascolta e rifiuta il confronto. 
Poco danno, tanto ormai il re è nudo. 

Qualcuno ha mestamente notato che alla manifestazione non c'erano giovani attori, che si è provato a coinvolgerli, ma chi ha tentato è stato "guardato come un marziano che parlava un linguaggio antico e incomprensibile". 
Confesso che non mi meraviglia. Mi spiace molto, moltissimo, ma non mi meraviglia. Da anni ormai, gli obiettivi delle giovani generazioni di attori non sono i nostri e con franchezza non si sa più nemmeno bene quali siano. Io per lo meno non l'ho capito, se mai l'ho capito, e sicuramente non lo comprendo più. Forse la notorietà, nemmeno il successo, ma la notorietà. 
Non è colpa loro, è il mondo che gli abbiamo consegnato, anche noi, che avevamo la loro età quando "tutto è cominciato", colpevoli di non avere compreso, di esserci anche noi disinteressati, di aver guardato solo al nostro ombelico... Colpevoli di essere stati, insomma, come loro. 
Forse con una sostanziale differenza: il nostro era ancora il mondo dello Stato Sociale, una serie di cose erano praticamente scontate, come l'efficienza della scuola, della sanità pubblica o del sistema pensionistico, checché se ne dicesse; insomma, se non ci fosse proprio andata bene, sapevamo, quasi inconsciamente, di poter contare almeno su una mano amica che in qualche modo ci avrebbe sostenuto; l'effetto di tutto ciò era che nella nostra esistenza il danaro non era propriamente così importante. I soldi certamente contavano, averne faceva più piacere che non averne per mille motivi facilmente immaginabili, ma a quanti di noi veniva in mente, a meno di trent'anni, che forse era il caso di farsi una pensione integrativa o una assicurazione sanitaria? i nostri pensieri principali erano dedicati ad altro, soprattutto al lavoro e al piacere che ne traevamo, complice anche un'altra consapevolezza: c'erano spazi di vita per tutti. 
In fondo, a guardarlo bene, il nostro mondo non era competitivo, e questo, a differenza di quanto potrebbe credersi, liberava e moltiplicava la creatività. L'urgenza creativa era una necessità dell'anima e non della sopravvivenza quotidiana.
Oggi, invece, questi ragazzi sono immersi in un mondo che è assolutamente basato sulla competitività (che per sua natura non comprende la socialità se non come "elemosina"), e tutto quello che li salva e li salverà è solo il danaro. Chi ne avrà, potrà risolvere la maggior parte dei suoi problemi, altrimenti sarà una vita di serie e continue difficoltà. 

Essi sono immersi in questo mondo, ne sono impregnati, totalmente, e con grande difficoltà arrivano a rendersi conto che il loro nemico non è il collega con cui si ritrovano in competizione, ma il sistema nel suo complesso che li ha posti in una competizione perenne. 
Il mondo in cui sono nati e cresciuti non prevedeva già i diritti dei lavoratori, o se li prevedeva li andava annacquando e/o sbriciolando, sono stati prima "generazione mille euro" e oggi sono "generazione riders", la cui massima prospettiva è andare all'estero, divenire migranti, divenire sradicati nella illusione di essersi costruiti una vita migliore. 
Il distacco che questi giovani hanno con noi è prima di tutto culturale, e dunque linguistico, come notava giustamente il collega del post su FB; per loro, noi, che abbiamo solo 50 anni, siamo già antichi e incomprensibili. Come potete pensare che sappiano cos'è un "comitato di Compagnia" quando non hanno mai visto una vera Compagnia?! Come si può immaginare che partecipino a manifestazioni sui diritti quando non li hanno mai visti i diritti; sarebbe come chiedere ai "riders" di manifestare per il ripristino della scala mobile. 
Tutto quello che questi giovani conoscono è la rabbia

L'operazione cercata dal potere globalista di sradicare, di troncare i legami di fondo con le proprie origini culturali è quasi riuscita, e in questo quasi c'è la nostra possibilità di rimettere tutto nella giusta carreggiata. E al di là di quello che certe ideologie politiche possono avere fatto alla nostra professione, dovremo un giorno, noi "antichi e incomprensibili", interrogarci profondamente su cosa abbiamo fatto noi alla nostra professione, ché se è certo che la politica ci ha fatto molto male, molti, troppi di noi hanno fatto nulla per evitarlo (anche perché non avrebbero mai messo in discussione la loro parte politica), mentre gli altri restavano indifferenti. 
Ancora oggi, di fronte a questa palese debacle trovo colleghi il cui unico interesse è vedere come possono rimediare una scrittura, senza domandarsi perché non la trovino e perché non la trovino per come un tempo era, lunga e correttamente retribuita. Non sono tanti, ma ancora ci sono... e con franchezza sono situazioni nelle quali c'è poco da fare: o non ci arrivano o non ci vogliono arrivare, in entrambi i casi ci si perderebbe tempo. Chi opera per un cambiamento lo fa anche per costoro e non ha alcun problema nel farlo, perché tutti hanno diritto, tutti. 
Con i giovani, però, possiamo prendercela fino a un certo punto, semmai, come il collega nel post, dispiacerci, ma non altro. 
Siamo noi che in qualche modo abbiamo contribuito alla creazione del "casino", a noi, finché ne avremo le forze, tocca porvi rimedio, prima ancora che a loro. Tutto quello che va in questa direzione, come la bella audizione in commissione Senato, è un ottimo passo.