Nel corso dei giorni mi capita di far riferimento ad autori, a registi, ad attori del passato o del presente, di teatro, cinema, talvolta anche di televisione, è una cosa normale, sarebbe come parlare di Leopardi senza far mai riferimento a Dante o a Petrarca, o di Picasso senza mai nominare Raffaello o Manet.
Praticamente è impossibile: non puoi pensare di apprendere nulla senza avere come riferimento chi ti ha preceduto in quello stesso campo e spesso anche in altri. Anzi, personalmente ho sempre sostenuto e continuo a sostenere, che per capire davvero la propria arte è bene guardare alle altri arti, alla danza, al canto, alla letteratura, ecc. Perché se vuoi essere attore e guardi esclusivamente alla recitazione, rischi di far la fine di colui che vuole osservare il dipinto tenendo il viso a due centimetri dalla tela; se invece guardi alle altre arti hai un effetto distanziamento che può aiutarti ad avere una visione complessiva.
Per chi soprattutto vuole intraprendere questo percorso artistico, abbracciare questa professione, farne il proprio lavoro, non conta tanto quel che le opere dicono, ma il come sono eseguite, interpretate, ri-create, messe in scena, recitate. Poiché la recitazione è un atto del come!
Cos'è dunque che fa la differenza, tra la messa in scena di "Amleto" di Vittorio Gassman e quella di Gabriele Lavia? Certo non quel che il testo "Amleto" racconta, ma come io "racconto" quel testo, dove per "racconto" si deve intendere: come lo eseguo, come lo metto in scena, e soprattutto come ogni singolo attore recita il proprio ruolo.
I piani del "come" divengono, come potete immaginare, tantissimi, non complichiamoci per ora la vita e fermiamoci qui; consideriamo però, da attori o aspiranti tali, un singolo, ma determinante elemento:
la consapevolezza dell'importanza di quel "come" ti farà automaticamente salire di livello, da semplice interprete a creatore, ed è dunque proprio quel "come" a fare di te indiscutibilmente un artista.
Se poi piaci o no, se le tue creazioni piacciono o no, è un altro discorso.
Nulla si inventa, se non un come, un come che di per sé non è nemmeno pura invenzione, ma tale ci appare perché è il nostro come. Nulla si inventa poiché ciascuno di noi è il frutto di tutto ciò che ha visto e sentito, ecco perché nemmeno quel come è puro. Ha un solo punto di forza: è tuo, poiché frutto della elaborazione, conscia e inconscia, di ogni informazione che ti ha attraversato nella vita. Non è poco, anzi; solo che a questo punto devi chiederti come potrai costruire una tua espressione attoriale se non hai rapporto con l'arte della recitazione che ti ha preceduto? Da dove attingerai quegli elementi grammaticali consolidatisi nel tempo, e che non solo gli attori conoscono, ma il pubblico riconosce? Come capirai senso e tempo di una pausa se, molto semplicemente, non hai mai visto eseguirne una?
La recitazione, come ogni altra arte, ha una sua grammatica, una sua serie di codici espressivi che, seppure non scritti, gli attori si tramandano da generazioni e la maggior parte delle volte se li tramandano semplicemente "eseguendoli", guardare gli attori semplifica l'apprendimento; oltre tutto non è disprezzabile la pratica, al principio, di imitare un attore che ti piace, facilita le cose, è come trovare delle orme sulla sabbia e imparare a camminare rimettendo i piedi in quelle orme, una volta acquisita "la pratica del camminare" andrai spedito per i fatti tuoi, accade dalla notte dei tempi e nessuno ci ha mai trovato niente di strano: Giotto avrà iniziato copiando Cimabue, Puccini imitando Verdi, Pirandello scrivendo poesie alla Leopardi...
Quando eravamo giovani noi, correvamo a teatro o al cinema dove e come potevamo (soprattutto noi delle piccole città di provincia), ci facevamo raccontare dai più grandi, leggevamo vecchie cronache.
Oggi un ragazzo ha a disposizione uno strumento straordinario: internet, con tutti i suoi canali dove sono diffuse e conservate le grande interpretazioni del passato, le vecchie messe in scena, le commedie che ai giorni nostri sono fuori repertorio. E tutto questo ce l'hai sul tuo fott..o telefonino, a portata di due click. Eppure non guardi, non cerchi, non vai a vedere...
E allora mi chiedo: sicuro che la tua sia passione per questa arte? Sicuro che il tuo non sia solo un bisogno di attenzione, di apparire, di salire su un palco e essere visto, riconosciuto come esistente? Perché per far questo hai altri mille modi, non è proprio necessario tu faccia l'attore, che è una professione faticosa, difficile, amara.
Essere attori è un dono, divenirlo una fatica. Forse è proprio questo: oggi la tecnologia non vi pone più nella condizione di fare fatica.
Il problema è che la passione è fatica, l'amore è lavoro e fatica, il raggiungimento del piacere è fatica (come dovrebbe sapere chiunque abbia una esperienza sessuale). Abbiamo tolto a queste giovani generazioni il piacere di fare fatica, lo abbiamo fatto noi, ora possiamo solo dirglielo e stimolarli, ma sono loro a dover credere di poterlo fare e a volerlo fare.
Era divertente, esaltante, emozionante organizzarsi, noi diciottenni, in quattro, cinque dalla piccola Salerno, prendere di domenica mattina un treno (un Espresso, mica un'Alta Velocità!), arrivare a Roma, mangiare quella cosa che ci pareva esotica come un tramezzino conservato sotto un leggero panno di cotone, poi andare al Teatro Argentina per vedere "La grande magia" di Eduardo, con la regia di Strehler, e ancora oggi ricordare, il passo dinoccolato e affascinante di De Carmine, la nettezza di Franco Parenti, le misteriose luci del maestro, un teatro affascinante d'oro e passato, e poi uscire e riprendere un treno per tornare a raccontare la tua avventura nella piccola città.
E c'era chi lo faceva con un concerto rock, chi per un museo, chi per un'opera lirica...
Forse era quella fatica, quella impossibilità apparente di raggiungere le cose che accresceva la nostra forza, il nostro desiderio, il nostro amore.