martedì 17 ottobre 2023

"E VONNO FA' ER TEATRO!", COME IL TEATRO ACCREBBE IN NOI L'AMORE

Arrivano, e mi dicono che vogliono fare gli attori. Bene, mi fa immensamente piacere. Così, cominciamo a lavorare.
Nel corso dei giorni mi capita di far riferimento ad autori, a registi, ad attori del passato o del presente, di teatro, cinema, talvolta anche di televisione, è una cosa normale, sarebbe come parlare di Leopardi senza far mai riferimento a Dante o a Petrarca, o di Picasso senza mai nominare Raffaello o Manet. 
Praticamente è impossibile: non puoi pensare di apprendere nulla senza avere come riferimento chi ti ha preceduto in quello stesso campo e spesso anche in altriAnzi, personalmente ho sempre sostenuto e continuo a sostenere, che per capire davvero la propria arte è bene guardare alle altri arti, alla danza, al canto, alla letteratura, ecc. Perché se vuoi essere attore e guardi esclusivamente alla recitazione, rischi di far la fine di colui che vuole osservare il dipinto tenendo il viso a due centimetri dalla tela; se invece guardi alle altre arti hai un effetto distanziamento che può aiutarti ad avere una visione complessiva. 
Conosco l'obiezione a questo punto: "Dunque, i giovani fan bene a non seguire il teatro, o gli attori". Assolutamente no, non fanno bene: osservare il dipinto nella sua totalità è decisamente utile, ma se vuoi capire come è dipinto devi avvicinare lo sguardo, e anche parecchio, talvolta usare anche una lente di ingrandimento. 
Perché il "come è fatto" è importantissimo, anzi è fondamentale!
Per chi soprattutto vuole intraprendere questo percorso artistico, abbracciare questa professione, farne il proprio lavoro, non conta tanto quel che le opere dicono, ma il come sono eseguite, interpretate, ri-create, messe in scena, recitate. Poiché la recitazione è un atto del come! 
Capisco possa sembrare una bestemmia, ma il "cosa" praticamente non conta. 
Per spiegarlo faccio sempre un esempio (già riportato anche su questo blog):

chiedo agli allievi
- Quante "Madonna con bambino" avete visto in vita vostra?
- Beh, tante...
- E perché alcune si ritengono migliori di altre, più belle, più emozionanti, interessanti o quel che vi pare? Eppure sono sempre il dipinto di una donna con un bimbo in braccio. Cosa fa la differenza se il contenuto è sempre lo stesso? 












Il testo di Amleto è sempre Amleto, "Sei personaggi" sempre "Sei personaggi" o, se preferite, la storia di un amore contrastato è sempre la storia di un amore contrastato, che sia in "Romeo e Giulietta", ne "La locandiera" o in "Fedra"!
Cos'è dunque che fa la differenza, tra la messa in scena di "Amleto" di Vittorio Gassman e quella di Gabriele Lavia? Certo non quel che il testo "Amleto" racconta, ma come io "racconto" quel testo, dove per "racconto" si deve intendere: come lo eseguo, come lo metto in scena, e soprattutto come ogni singolo attore recita il proprio ruolo.
I piani del "come" divengono, come potete immaginare, tantissimi, non complichiamoci per ora la vita e fermiamoci qui; consideriamo però, da attori o aspiranti tali, un singolo, ma determinante elemento:
la consapevolezza dell'importanza di quel "come" ti farà automaticamente salire di livello, da semplice interprete a creatore, ed è dunque proprio quel "come" a fare di te indiscutibilmente un artista.
Se poi piaci o no, se le tue creazioni piacciono o no, è un altro discorso. 

E torniamo adesso al nostro ragionamento di partenza: come puoi decidere, stabilire, identificare il tuo modo di raccontare se non hai un'idea, anche non approfondita, di come quella stessa storia è stata raccontata prima? Sarebbe nata "Guernica" così come Picasso l'ha dipinta se non ci fosse stata prima... la "Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello? E attento, anche se la storia che racconti ti pare nuova, stai pur certo che in un qualche modo che non ravvisi è stata di sicuro già raccontata prima. Prendi ad esempio il mito di Eros e Psiche: Cenerentola, La locandiera, Aminta, fino a La ragazza di Bube, sono tutte riscritture di quel mito. 
Dunque, il rapporto col passato, che qualcuno vorrebbe cancellare o riscrivere a proprio uso e consumo, è fondamentale per costruire il presente nonché il futuro. Siamo oggi quel che siamo perché veniamo da un certo passato, ignorarlo non offre possibilità di nuova creazione, ma limita il futuro della propria creazione, il più delle volte nell'illusione di aver "inventato" qualcosa di nuovo, ma in Arte, spiace dirlo, nulla si inventa.

Nulla si inventa, se non un come, un come che di per sé non è nemmeno pura invenzione, ma tale ci appare perché è il nostro come. Nulla si inventa poiché ciascuno di noi è il frutto di tutto ciò che ha visto e sentito, ecco perché nemmeno quel come è puro. Ha un solo punto di forza: è tuo, poiché frutto della elaborazione, conscia e inconscia, di ogni informazione che ti ha attraversato nella vita. Non è poco, anzi; solo che a questo punto devi chiederti come potrai costruire una tua espressione attoriale se non hai rapporto con l'arte della recitazione che ti ha preceduto? Da dove attingerai quegli elementi grammaticali consolidatisi nel tempo, e che non solo gli attori conoscono, ma il pubblico riconosce? Come capirai senso e tempo di una pausa se, molto semplicemente, non hai mai visto eseguirne una? 
La recitazione, come ogni altra arte, ha una sua grammatica, una sua serie di codici espressivi che, seppure non scritti, gli attori si tramandano da generazioni e la maggior parte delle volte se li tramandano semplicemente "eseguendoli", guardare gli attori semplifica l'apprendimento; oltre tutto non è disprezzabile la pratica, al principio, di imitare un attore che ti piace, facilita le cose, è come trovare delle orme sulla sabbia e imparare a camminare rimettendo i piedi in quelle orme, una volta acquisita "la pratica del camminare" andrai spedito per i fatti tuoi, accade dalla notte dei tempi e nessuno ci ha mai trovato niente di strano: Giotto avrà iniziato copiando Cimabue, Puccini imitando Verdi, Pirandello scrivendo poesie alla Leopardi... 

In conclusione, spero di averti dato delle buone ragioni perché tu possa comprendere che se vuoi fare questo lavoro, se vuoi abbracciare questa professione devi, e ribadisco devi, conoscere chi c'è stato prima di te. 
Quando eravamo giovani noi, correvamo a teatro o al cinema dove e come potevamo (soprattutto noi delle piccole città di provincia), ci facevamo raccontare dai più grandi, leggevamo vecchie cronache. 
Oggi un ragazzo ha a disposizione uno strumento straordinario: internet, con tutti i suoi canali dove sono diffuse e conservate le grande interpretazioni del passato, le vecchie messe in scena, le commedie che ai giorni nostri sono fuori repertorio. E tutto questo ce l'hai sul tuo fott..o telefonino, a portata di due click. Eppure non guardi, non cerchi, non vai a vedere... 
E allora mi chiedo: sicuro che la tua sia passione per questa arte? Sicuro che il tuo non sia solo un bisogno di attenzione, di apparire, di salire su un palco e essere visto, riconosciuto come esistente? Perché per far questo hai altri mille modi, non è proprio necessario tu faccia l'attore, che è una professione faticosa, difficile, amara. 
Essere attori è un dono, divenirlo una fatica. Forse è proprio questo: oggi la tecnologia non vi pone più nella condizione di fare fatica. 
Il problema è che la passione è fatica, l'amore è lavoro e fatica, il raggiungimento del piacere è fatica (come dovrebbe sapere chiunque abbia una esperienza sessuale). Abbiamo tolto a queste giovani generazioni il piacere di fare fatica, lo abbiamo fatto noi, ora possiamo solo dirglielo e stimolarli, ma sono loro a dover credere di poterlo fare e a volerlo fare. 
Era divertente, esaltante, emozionante organizzarsi, noi diciottenni, in quattro, cinque dalla piccola Salerno, prendere di domenica mattina un treno (un Espresso, mica un'Alta Velocità!), arrivare a Roma, mangiare quella cosa che ci pareva esotica come un tramezzino conservato sotto un leggero panno di cotone, poi andare al Teatro Argentina per vedere "La grande magia" di Eduardo, con la regia di Strehler, e ancora oggi ricordare, il passo dinoccolato e affascinante di De Carmine, la nettezza di Franco Parenti, le misteriose luci del maestro, un teatro affascinante d'oro e passato, e poi uscire e riprendere un treno per tornare a raccontare la tua avventura nella piccola città.
E c'era chi lo faceva con un concerto rock, chi per un museo, chi per un'opera lirica... 
Forse era quella fatica, quella impossibilità apparente di raggiungere le cose che accresceva la nostra forza, il nostro desiderio, il nostro amore. 

domenica 15 ottobre 2023

Ibsen, Casa di bambola: NORVEGIA LIBERA!

L'importanza di Henrik Ibsen nella storia della drammaturgia mondiale è nota ai più. Certamente l'autore norvegese ha avuto il merito di dare regola a una tendenza che si stava già esplicitando in altri autori e altre nazioni, quella alla cosidetta "quarta parete", quella modalità di scrittura, recitativa e di messa in scena secondo la quale l'attore-personaggio considera "non esistente" il pubblico, e lo spettatore è come uno che metta l'occhio al buco di una ideale serratura attraverso cui spia i personaggi e la loro storia. 
Per capirci, nelle commedi di Goldoni, per esempio, quando un personaggio ha un cosiddetto a parte, cioè si esprime in solitaria, magari in una riflessione che è di commento all'azioneparla con il pubblico, lasciandoci intendere che l'interprete/personaggio ha piena coscienza della esistenza dello stesso. Dalla seconda metà dell'800 in poi, dalle teorie del Naturalismo in poi per intenderci, diviene impensabile il solo credere che il personaggio di una azione del 1400 possa sapere che non solo è su di un palcoscenico, ma che in sala ci siano spettatori del 1800. Ecco che si fa avanti l'idea, in fondo semplice, che tra platea e palcoscenico sia come elevata una ideale quarta parete che isoli l'azione. 
Bene, dopo questo spiegone - consideri il lettore addetto ai lavori che parliamo anche ai non addetti, grazie! - torniamo al nostro Ibsen. 
Dirvi che amo questo autore... beh, non particolarmente. Riconoscere grandezza e importanza di un artista non vuol dire per forza amarlo. Henrik Ibsen è per me un importante autore di teatro, a tratti straordinario, ma diciamo che non lo preferisco particolarmente. 
Ultimamente, selezionando scene per fare esercitare i miei allievi, ho dovuto, per ragioni anche storiografiche, scegliere l'ultima scena di una commedia che francamente trovo noiosissima: Casa di bambola, ultima scena che teatralmente è scritta magnificamente e che si presta per fare esercitare giovani menti, alla ricerca della logica, alla sottigliezza del dialogo, alla pregnanza e presenza di uno scontro più psicologico che non di azione. Non è certo la sola scena che offre elementi di esercizio del genere, ma tracciando un percorso storico, perché escludere il grande norvegese. 

Una amica, Francesca Fancini, laureata in Lingue con prima lingua il danese, mi raccontò che quando Danimarca e Norvegia si separarono - erano un unico regno - i norvegesi, per crearsi una loro lingua fecero una semplice operazione: presero a pronunciare le parole così come erano scritte, lettera per lettera, distinguendo in tal modo il danese dal neonato norvegese. 
Posso facilmente immaginare che Ibsen, come primo grande autore di quella nazione, sia particolarmente venerato anche come un codificatore della lingua, come Dante lo è per noi o Shakespeare per gli inglesi. 
La storia della Norvegia dell'800 fino alla sua piena indipendenza nel 1905 è un po' più complessa di un divorzio consensuale, e con una rapida ricerca in internet, come io ho fatto, scoprirete aspetti molto interessanti su questa nazione passata dai danesi a una sorta di indipendenza, poi sotto gli svedesi, fino al raggiungimento pieno dell'obiettivo. 

Ora: Casa di bambola fu una commedia che suscitò un grandissimo scandalo. Questa storia di una moglie che rifiuta il suo ruolo nel matrimonio, sia come consorte che come madre, e lascia tutto per una indipendenza senza certezze, per questo salto nel vuoto, sconvolgeva la morale del tempo al punto che al debutto in Germania Ibsen dovette modificare il finale poiché l'attrice si rifiutò di rappresentare questa madre degenere. 
Ebbene, ascoltando le parole di Ibsen dalla viva voce degli allievi, sono stato attraversato da un pensiero: siamo proprio certi che dietro la storia di Nora, scritta ad Amalfi, durante un viaggio di Ibsen in Italia nel 1879, all'Hotel Luna (c'è ancora la targa fuori a ricordo), 


ci sia solo la ribellione della donna che cerca la propria piena realizzazione il femminismo ante litteram, il sovvertimento dell'ordine morale costituito? 

Le ultime parole di Nora mi paiono di una strepitosa chiarezza, c'è in esse un anelito a una libertà che non si fa alcun problema per quel che sarà, sono le parole di chi preferisce tutto, anche la miseria, alla subordinazione, alla dipendenza, alla servitù. 

NORA (...) Sta bene, Torvald. I bambini non li voglio vedere. So che sono in migliori mani che nelle mie. Come sono ora io non valgo nulla per loro.
HELM. Ma più tardi, Nora, in seguito....
NORA. Posso forse saperlo? Non so mica cosa sarà di me!
HELM. Ma tu sei mia moglie, non soltanto ora ma anche....
NORA. Senti, Torvaldo. Quando una donna lascia la casa di suo marito come faccio io stanotte, allora, egli resta, secondo quanto ne so io della legge, liberato e dispensato da ogni obbligo verso di lei. Comunque sia però, io ti libero da ogni vincolo. Tu non devi sentirti menomamente incatenato, come non intendo d'esser legata io. Deve regnare la più ampia libertà da ambo le parti. (...)

Ho selezionato un solo passaggio esemplificativo, ma ascoltando tutta la scena (e questa edizione è straordinaria, con attori magnifici come Giulia Lazzarini e Renato De Carmine) ogni cosa pare uscire dalla nebbia: sotto sotto non è impensabile che il discorso di Ibsen sia volto all'anelito di libertà della sua nazione, della Norvegia. E non credo sia casuale che l'ispirazione giunga allo scrittore proprio in quel viaggio in una Italia che ha raggiunto la propria unità da poco tempo, quasi che il respirare questo senso di aria nuova spinga a cercarne altra e più pura per se stessi. 

Quanto questo aspetto sia rappresentabile non so, anzi, credo proprio che non lo sia, ma se c'è una verità in questo mio pensiero, prenderne consapevolezza aiuta sempre chi deve recitare il testo. 
Perché "un fatto è come un sacco, vuoto non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato", è la antica legge del teatro, della recitazione, che Pirandello ha così magnificamente sintetizzato: non tutto possiamo far capire al pubblico, come Lorenzo Salveti ci insegnava alla "Silvio D'Amico", ma il sapere è percepito dallo spettatore, un sacco pieno desterà sempre più interesse di un sacco vuoto. 

lunedì 9 ottobre 2023

LA TRISTEZZA DI "FARE SESSO"!

Non se ne può più dell'espressione "fare sesso", fa il paio con "faccio teatro". E' una espressione asettica, clinica, deprimente, al limite del volgare. Ai miei tempi di diceva "fare l'amore", oppure si usavano una serie di locuzioni o di forme dialettali. 

Cos'è "fare sesso"? Il nulla. La rappresentazione di una azione senza piacere, di un relazione senza godimento. 

Gli amatoriali dicono "faccio teatro", che non vuol dire nulla. Fai teatro come fai ginnastica, fai la spesa, fai le pulizie di casa. O si è attori o non lo si è, non esiste il fare teatro, se non per un dilettante. E così è "fare sesso", perché non sei in quella cosa, la fai, e il farla non contempla la tua totale presenza. Fai l'amore, se sei capace, fallo anche per una sola notte, o per una sola ora, anche con una sconosciuta/sconosciuto, senza limiti e senza inibizioni. 

Si fa l'amore perché si cerca l'amore nell'atto stesso della suo farsi, e facendolo quasi sempre lo si trova. 

Chi fa sesso trova solo una forma di masturbazione più complicata perché deve pure contemplare "il godimento della mano".

domenica 1 ottobre 2023

MINISTERO DELLA CULTURA, UN ANNO DI SANGIULIANO. VOTO INSUFFICIENTE!

Mi disse un vecchio dirigente RAI: “Se vogliono dei buoni politici, devono venirseli a prendere qui dentro, soprattutto tra i giornalisti”. 
Ero solo un giovane attore, non ancora avvezzo ai linguaggi del mondo, e non capii bene cosa intendesse. Ma come tutte le frasi strane, sibilline, che lì per lì non capisci, ti restano nella mente. 
Stava per esplodere Mani Pulite, c’erano stati i primi arresti, e in ogni dove era normale parlare o accennare alle miserie e agli splendori della politica. 
Dopo un anno di Governo Meloni ancora non ho capito come sia venuto fuori per il dicastero della Cultura il nome di Gennaro Sangiuliano, ma una cosa è certa: mentre vedevo il neo Ministro avvicinarsi al tavolo del giuramento, la frase di quel dirigente mi è balzata subito in testa. 

Dodici mesi sono un tempo ragionevole per fare un primo bilancio. Voto 5, quel cinque che, come si dice nei consigli di classe, può sempre arrivare a 6 se il ragazzo si impegnerà un po’ di più. 
Non ho notizie di interventi per il mondo del Teatro di Prosa né per quello della Lirica, niente si sa per il martoriato mondo degli archeologi, poche notizie sul Cinema, e qualche intervento c'è stato sui Musei. 
Per il resto, tante polemiche, ma va anche detto che il mondo della intellighenzia italica, composto quasi totalmente da “intellighenti de sinistra”, quando governa il centrodestra apre una polemica per qualsiasi cosa, e nella maggior parte dei casi sono inutili polemiche, mentre nessuno bada alla sostanza. 
Ma tornando al nostro: si è applaudito alla iniziativa dell’Alta Velocità che ferma a Pompei. Con franchezza, non mi è parsa una cosa molto azzeccata pensando a turisti che da Roma prendono un treno, scendono, visitano e vanno via. Facile immaginare che l’indotto della cittadina campana non ne avrà piacevoli ritorni, gli alberghi, per esempio, o le trattorie. Decisamente non apprezzabile invece, come le varie associazioni di categoria hanno già segnalato, la norma che stabilisce in 60 le giornate lavorative perché i lavoratori dello Spettacolo possano accedere ai sostegni al reddito: chi fa il nostro lavoro sa bene che mettere insieme quel numero di giornate in un anno è ormai divenuto difficilissimo per la maggior parte dei lavoratori; la norma dunque è impopolare ed alimenta la inimicizia della categoria: è convenuto? Il Ministro è stato ben consigliato? 
Interessante l’opera, invece, di “raddoppio” di alcuni importanti musei italiani, Brera, Uffizi, Archeologico di Napoli… aprendo altri spazi dove potranno essere viste opere che per ora sono nei sotterranei, e questo, negli intenti del Ministro porterà sicuramente un beneficio alle casse delle nostre pinacoteche, sicuri, però, che sia tutto, ma proprio tutto giusto?

Certo, è passato solo un anno di cinque e come detto il ragazzo potrà puntare alla sufficienza. Cos'è che in realtà non va? Proprio quell’atteggiamento politico-rai che tende a voler "tenere buoni rapporti con tutti", a non inimicarsi nessuno, e alla fin fine a non prendere mai una chiara decisione. Qualcuno lo definirebbe un atteggiamento democristiano. Io, da vecchio e mai pentito sostenitore dello scudo crociato, trovo che sia invece semplicemente un atteggiamento che non porterà da nessuna parte, che non farà il bene della Cultura italiana e che farà sì che il Ministro Gennaro Sangiuliano non lascerà di sé alcun particolare ricordo. 
Resta infatti un mistero come un ministro di un governo indiscutibilmente politico si sia tenuti intorno tutti i direttori, dirigenti e quant’altro che sono il prodotto dei lunghi anni di gestione Franceschini. È ipotizzabile, eccellenza, che la scelta, ad esempio, delle 60 giornate lavorative per attori e tecnici, sia stata fatta da chi, conoscendo l’ambiente, sa che in quel modo avrebbe scontentato tutti? Nulla è invece stato fatto per verificare se il Codice dello Spettacolo, legge del 2017 dell’ex Min. Franceschini, fosse in qualche modo da modificare. Né si è pensato di mettere mano alla organizzazione dei teatri italiani, in particolare di quelli pubblici che, tranne Catania, son tutti gestiti da uomini di riferimento della sinistra. Anche in questo caso vogliamo non inimicarci nessuno?
Le nomine, poi, di alcuni consulenti… diciamo che francamente hanno lasciato il tempo che han trovato: saranno anche personagg* alla ribalta, ma non sempre “l’ambiente” li considera il meglio nel loro lavoro. Sembrano più nomine di facciata, quasi pubblicitarie, che non la reale ricerca di un esperto consulente e consigliere. 

Ma la vera nota dolente, caro Ministro, è l’approccio al mondo della Cultura che pare non esser diverso da quello di Franceschini. 
Per anni la sinistra italiana ha eretto barricate perché la Cultura non aveva un suo ministero così come accadeva in Francia, poiché era scandaloso che la Cultura fosse mescolata col vil Turismo, era il segno della insipienza culturale del mondo democristiano. Il vecchio Turismo e Spettacolo fu così spacchettato alla prima occasione utile (Governo Ciampi 1994). 
Come fu e come non fu, nel 2013, proprio un governo di sinistra, governo Letta, rimise insieme i pezzi, e dopo l’esperienza del Min. Bray, Franceschini è stato il dominus del dicastero per un interminabile periodo durante il quale ha marcato i settori in un modo che parrebbe non modificabile. In particolare – lo si legge tra le righe del Codice dello Spettacolo – il ri-accorpamento dei dicasteri Cultura e Turismo (oggi nuovamente divisi, lo sappiamo) contiene una visione della Cultura, in particolare degli eventi spettacolo, non come produttori di lavoro e di formazione del cittadino, civiltà, di sapienza, di crescita collettiva, ma come situazioni atte ad attirare turisti! Una Cultura, dunque, non intesa come valore in sé, ma come banalissimo volano economico. 
Cosa questo ha comportato l’ho scritto altre volte e non lo ripeterò ora

Ebbene, la visione di Sangiuliano pare ad oggi essere la stessa di Franceschini. Comprensibile che il turista contribuisca con un minimo obolo al mantenimento delle nostre opere d’arte, ma pensare tutto il nostro patrimonio artistico come fonte di guadagno, pensare ancora alla nostra cultura come “il nostro petrolio” (una delle stupide frasi che hanno rovinato l'economia del Paese: "Turismo e Cultura sono il nostro petrolio", ma i Paesi che vivono di turismo sono Paesi servi, senza futuro e dipendenti in toto dall'estero!), pensare alla nostra cultura come il nostro petrolio, dicevo, ha già prodotto nel settore i suoi disastri. E soprattutto, a mio immodesto parere!, l’errore è concettuale, culturale: caro Ministro, permetta, noi non conserviamo i nostri beni per fare soldi, noi conserviamo i nostri beni perché sono la nostra Storia, la nostra memoria, perché sono la concretizzazione di ciò che siamo, se questa opera di conservazione, conoscenza, diffusione sarà fatta bene, il guadagno sarà una logica, facile e nobile conseguenza. Se ci ricorderemo sempre di chi siamo, arriveranno anche i danari, altrimenti i danari arriveranno e passeranno con il respiro di una moda. Quel che io credo è che non si viene in Italia per visitare il Colosseo, ma per conoscere una Nazione che conserva il Colosseo come un impagabile gioiello che è parte indiscutibile della sua stessa natura. 

Non serve, caro Ministro, cambiare un nome con un altro per segnare il cambio di passo, vanno modificate le logiche, va ricercata una nuova filosofia, che spesso per essere attuata ha bisogno di scelte nette e magari impopolari, sia pure impopolari solo all’interno del suo Ministero. 
Ella, Eccellenza, quanto è disposto a intraprendere un reale via di cambiamento?