martedì 26 luglio 2016

MA CHE VOR DI' L'ART. 48 DELLA COSTITUZIONE?

È dal giorno della Brexit che mi domando come si voti e come sia giusto votare. Una riflessione scatenatami dalle mille dichiarazioni, a mio vedere vergognose, di coloro che accusavano gli elettori inglesi di avere espresso il loro parere senza sapere, senza aver compreso e/o, peggio di tutto, senza avere la capacità di comprendere. 
Le accuse le abbiamo sentite tutti, erano pesanti, invasive, spesso con un atteggiamento di superiorità intellettuale disgustoso. 
Ma per quanto disgustose, esse meritavano una riflessione, almeno per avere, un domani, al replicarsi delle ingiurie, una risposta articolata e convincente. 
Ho letto una serie di articoli molto interessanti in proposito, e poi sono andato a riguardarmi l'articolo della nostra meravigliosa (lo voglio dire tre volte e apposta) Costituzione che riguarda proprio la questione "voto". 
È l'art. 48 e dice: 

"Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge."

La democrazia è una roba faticosa, ma parecchio faticosa, come la libertà.
Faticosa perché presuppone, e ti costringe ad attuare, il rispetto dell'altro nella sua totalità. 

Ed è questo il punto difficile: perché ciascuno di noi sicuramente conosce un certo signor X che reputa decisamente un cretino. Ma "il cretino", miracolo democratico, ha i nostri stessi diritti! Se no è finita, finita proprio nel senso che "l'ebreo non è come gli altri"... e via con simili degenerazioni. 
Quello che però regolarmente ci sfugge è che: io considero il signor X un cretino, ma è molto molto probabile che il signor X consideri me un cretino! Il che, sostanzialmente, annulla le differenze: poiché non si sa da quale punto di vista noi stabiliamo che il signor X è un cretino, e non si sa da quale punto di vista il signor X stabilisce che io sono un cretino. 
C'è poi il problema della informazione, o meglio, come ho sentito dire, "dell'essere bene informati". 
Sulla base di cosa noi stabiliamo che "alcuni non sono bene informati"? Molto probabilmente sulla base delle nostre informazioni. Ma questo deve farci presupporre la possibilità che ci sia sempre qualcuno più informato di noi. Dunque anche noi, per questi "ancor più informati", saremmo "non bene informati" (il che, se ci pensate, può facilmente innescare quella escalation che porta al "tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri"). 
Dopodiché, la cosa più fastidiosa che si sente sempre ripetere è "hanno votato con la pancia, hanno votato con la paura". E qui, credo, non mi nascondo, di cogliere una splendida sfumatura proprio nel nostro art. 48, e che è secondo me il punto che lo rende immenso. 
Mi domando: "Ma perché, la rabbia e la paura, in quanto sentimenti umani, in quanto capacità cognitive e vitali della persona umana, non sono comunque un pezzo del nostro giudizio, del nostro pensiero, e quindi anche del nostro voto? Possiamo noi pensare di escludere un pezzo di noi stessi dal voto, anche se votassimo solo sulla base di quello?". 
Se consideriamo "un pezzo di noi" più importante di altri, facilmente possiamo considerare che ci siano poi persone che sono più importanti di altre. Se "l'intelletto" è più importante della "pancia", allora chi ha solo intelletto è più importante di chi ha "pancia e intelletto" o solo "pancia"? Creare delle gerarchie all'interno di un uomo, non considerandolo più nella sua totalità, vuole dire, automaticamente, per estensione, considerare una società di uomini con delle gerarchie interne dove la totalità della comunità si perde e alcuni divengono più importanti di altri. 
Infine, ho sentito dire, e qui la contraddizione diviene pesante, un boomerang per "coloro che sanno", che qualcuno ha votato senza conoscere le conseguenze. A parte il fatto che coloro che frequentano tale affermazione paiono volontariamente escludere le "conseguenze positive" e soppesare solo le negative (e questo perché l'esito del voto a loro non piace, quindi vendono malamente tutto ciò che non si allinea al loro pensiero), possiamo affermare che: "conoscere le conseguenze" vuol dire far sì che il voto sia influenzato da un timore, da una paura, e quindi si finisce per votare in base a una emozione non più seguendo l'intelletto. Dunque, conoscere le conseguenze è "voto di pancia"!  

Ecco, allora, che il nostro art. 48 diviene straordinario. Perché, credo, quando afferma che il voto è libero, non vuole dire soltanto che il voto deve essere svincolato da qualsiasi condizionamento esterno, ma deve sopra tutto essere libero dentro, libero dentro di te, e deve esserlo in maniera assoluta dentro di te, nella coscienza ancor prima che nelle relazioni esterneIl voto libero è l'uomo libero

La colpa, cari censori del voto altrui, inaciditi dal non vedere vittoriose le vostre idee, e dal non accettare la libera espressione che una democrazia, nel suo essere faticosa, comporta, non è di chi vota libera-mente, ma di chi non ha saputo spiegare, convincere, far nascere un diverso sentimento. Evidentemente non avete saputo far prevalere le vostre ragioni, espresse sia con la testa che con il cuore. Non avrete saputo parlare né all'intelletto né alla pancia. Perché questa è la sola arma possibile in democrazia: convincere. E di una vostra incapacità, volete incolpare il popolo? Mai cosa peggiore poté fare chi si pensò democratico. 

Di referendum in referendum, a quello italiano sulla riforma costituzionale io voterò nettamente NO. Se vincerà il Sì, la colpa sarà solo mia che non avrò saputo fare amare e comprendere le mie ragioni. Ingoierò l'amaro boccone in silenzio. E il popolo avrà sempre ragione. Altrimenti è finita. 
A meno che non vogliate proprio questo, voi: che la democrazia sia finita. 

venerdì 15 luglio 2016

NIZZA. NESSUNA EMOZIONE.

Nizza. Strage. 84 morti. Tra questi dieci bambini. Altri sono feriti in ospedale, molti in gravi condizioni.
Non c'è da fare cronaca (se vi serve, cliccate sul link). I fatti li conoscete ormai tutti. È da stanotte che i tg ci bombardano con notizie, affermazioni, smentite, opinioni e tutte le solite tiritere da buonismo di Stato che ormai conosciamo a memoria. Potremmo scriverli noi i testi dei talk show.

Il problema, per me, da quando stamane alle 6,45 ho sentito la notizia al telegiornale, è che non provo più alcun sentimento. In altri casi avrei sentito in me rabbia, dolore, costernazione, stupore... e invece, da stamattina, sono assolutamente indifferente.
Guardo semplicemente e crudamente i fatti per quello che sono. Null'altro.

Perché questa mancanza di "sentimenti", era la sola domanda che a un certo punto della giornata potessi farmi. E me la sono fatta. E mi sono dato anche una risposta. Non sarà perfetta, ma è la sola che spontaneamente mi è salita alla gola: "perché non vi credo più!".
L'unico sentimento che provo e il senso di rispetto profondo per quei morti. Ma per il resto, non vi credo più. Non credo alle vostre analisi, alle spiegazioni, non credo alle informazioni e alle ricostruzioni. Non credo a come raccontate "l'evidenza dei fatti". E vi dirò, con sincerità, che la vostra "evidenza dei fatti" non mi interessa nemmeno.
So soltanto che sul terreno ci sono 84 morti, di cui dieci bambini, e altri morti li seguiranno.
Il resto, è tutta una menzogna. E non mi interessa.

Perché è una menzogna?
Perché in tutti questi anni non avete fatto altro che raccontarmi storie che poi, a distanza di tempo, più o meno lungo, si rivelavano diverse, perché avete attribuito colpe a persone che erano innocenti o scagionato persone che poi erano colpevoli, perché avete perso il senso del dubbio, il valore del condizionale, la delicatezza della ipotesi, avete perso il valore della cronaca per abbracciare la malodoranza dell'opinione. Perché ogni cosa si trasforma in propaganda pro o contro qualcuno. Perché non c'è onestà in chi mi racconta le cose. Perché se i morti per voi fossero davvero morti non vi fermereste per mandare la pubblicità. Almeno una volta.

Sento subito tutti schierarsi, per una tesi o un'altra giocate come parti in commedia, senza avere nessun dato certo a supporto, per alimentare solo uno sterile dibattito cui regolarmente segue il nulla.
La gente muore. Le vesti si stracciano. E poi il nulla.
Cosa vi aspettate, che mi incazzi come una belva e me la prenda con gli islamici pronto a partire per una crociata che non mi appartiene? O che difenda il mondo multiculturale che volete per forza farmi credere bello e che non mi appartiene? O dovrei assumere il ruolo del saggio che guarda con distacco gli avvenimenti aspettando che i fatti si disvelino a noi? I fatti vengono mille volti distorti prima che mi raggiungano... su cosa dovrei meditare?

Alla fin fine, porto rispetto ai morti. Porto rispetto ai familiari. E posso solo portare un po' di silenzio.
Vorrei arrabbiarmi, ma arrabbiarmi con voi che mi avete tolto il senso profondo dell'emozione, che è forse la cosa più grave che potevate fare. Ma se lo facessi, vi darei partita vinta.
E poi non mi viene, rassegnatevi, è da stamane che l'evidenza mi schiaccia: non mi viene.
A Nizza è successo un fatto. Ci sono 84 morti. 10 sono bambini. Ci sono molti feriti, alcuni gravi. Forse la lista dei morti si allungherà. Spero di no.
Pace per quelle povere anime, una preghiera per i feriti.
Non so altro.

domenica 3 luglio 2016

"NON SIAMO CATENACCIO", ANTONIO CONTE E L'ERRORE NARRATIVO

Non ci sono più quei bei commentatori di una volta. La Nazionale di Calcio esce dal torneo europeo, sconfitta, per la prima volta in una competizione ufficiale, dalla Germania, e l’unico coro che ascoltiamo è quello di un bel sogno infranto dalla sfortuna; anche la frase “lotteria dei rigori” è risaltata fuori come il pane raffermo biscottato per la zuppa.
Gli unici cui sicuramente non si possono muovere critiche sono i giocatori, i quali indiscutibilmente hanno dato l’anima; ma qualche appunto alla gestione di questa squadra deve essere mosso.

La frase che connota il pensiero di Conte, e che penso sia da incriminare, il CT la pronuncia al microfono di Alessandro Antinelli alla fine di Italia-Spagna: “Non siamo catenaccio”.
Quando l’ho ascoltata son saltato sul divano, e avrei voluto replicare a Conte: “Perdona se “il catenaccio”, come tu lo chiami, ci ha fatto vincere quasi tutto quello che le nostre squadre, nazionale e club, hanno vinto; perdona se è la nostra peculiarità, quella che ci ha resi famosi nel mondo, ci ha costituito come scuola calcistica di livello mondiale che tutti gli altri ci hanno in un qualche modo copiato, brasiliani compresi; scusa se siamo come siamo fin dai tempi degli Oriazie e Curiazi o dalla disfida di Barletta”.
Qualche distratto commentatore ha riportato la frase come: “Non siamo solo catenaccio”, ma la frase del Commissario Tecnico non era quella, basta risentirla, perché riportare precisamente i fatti aiuta l’analisi.
Dove, a mio avviso, infatti, Conte ha sbagliato, rivelando la sua inconsistenza come commissario tecnico della Nazionale (gli faccio i migliori auguri come allenatore di club):
1 - la selezione degli uomini: troppi esterni e pochi centrocampisti da potere utilizzare in più ruoli;
2 – l’ostinazione ad utilizzare un modulo eccessivamente dispendioso per un torneo dove i tempi di recupero sono ristretti (ormai lo sanno anche i bambini): alla prova con la Spagna, intrisa di furore agonistico, difficilmente avrebbe fatto seguito una prova di pari intensità; agli italiani, nettamente superiori ai tedeschi (ce lo racconta tra l’altro lo scoramento da cui è stato preso a un certo punto il loro allenatore), una migliore freschezza atletica, e dunque mentale, avrebbe giovato;
3 - contro gli iberici il CT ha chiesto ai nostri una grande prova, e l’ha avuta; contro i tedeschi voleva una super prova, e per certi versi l’ha avuta (leggi “impegno e cuore”): fossimo andati in semifinale, cosa ci sarebbe voluto? E in finale? Una della caratteristiche del gioco del calcio è il dribbling, lo “scartare”: Conte avrebbe dovuto scartare il proprio credo; l’ostinazione non ha pagato, segnalando...
4 – ...scarsa elasticità tattica: se De Rossi e il suo sostituto Thiago Motta non sono utilizzabili, si doveva pensare a cambiare modulo, passando forse a un più semplice e equilibrato 4-4-2 che avrebbe dato maggiore tranquillità ai reparti e comportato un minor dispendio di forze; aggiungo che non sarà casuale se gli ultimi tornei internazionali sono stati prevalentemente vinti da chi usava la “difesa a 4”; forse il cambio di modulo andava considerato, a maggior ragione avendo un reparto che si è mostrato compatto e in ottima forma e che certamente è abituato alle modifiche;
5 – nella specifica partita, Italia-Germania, la non capacità di decidere i cambi quando necessari; era forse il caso di fare entrare Insigne a inizio supplementari? Ha avuto senso l’inserimento di Zaza al 120’ solo per battere un rigore e caricare così il ragazzo di eccessiva responsabilità? Sarebbe magari bastato farlo entrare cinque minuti prima consentendogli una sgambata;
6 – troppa Juve nella sua testa: già la difesa (sia pure ottima), poi giocatori di discutibile qualità come Sturaro, Insigne e El Shaarawy mai utilizzati  per un intero tempo, fino alla scelta finale di Zaza invece del sicuro rigorista Immobile... 

Ma insomma, di cosa è stato vittima Antonio Conte?
a) Di una storia che abbiamo già visto e conosciuto, e che replica un difetto degli Italiani: non imparare mai dalla propria Storia. Esiste il “calcio all’italiana”, ce lo riconosce il mondo; “calcio all’italiana” che dai tempi di Viani, passando per Rocco, fino a Bearzot e poi anche Sacchi, e Zoff, e Lippi, ha dato i suoi frutti conoscendo di volta in volta una sua “naturale” evoluzione. Quando si è voluto “scartare” da ciò che siamo, quando si è voluta forzare quella “naturale evoluzione”, qualcosa non ha funzionato. “Cambiare Verso”, come usa dire di questi tempi, si può, basta sapere netta-mente da dove si viene e quale senso ha, in rapporto al passato, questo invocato cambiamento.
b) Di un errore narrativo che ne ha condizionato il pensiero: “Non siamo catenaccio”, riducendo ai minimi termini tutta la filosofia calcistica che questo Paese ha sviluppato nel corso dei decenni, è dare una falsa immagine del calcio italiano, che ha inventato quel modo di giocare per creare un diverso modo di sviluppare proprio la manovra di attacco, facendo i conti con le proprie caratteristiche e di volta in volta con le proprie possibilità, non a caso siamo “il paese della tattica”, della strategia combinata con tecnica e cuore. Dire “Non siamo catenaccio” è negare l’esistenza di Piola, Baggio, Mazzola padre e figlio, Rivera, Riva, Conti, Totti, Domenghini, Antognoni, Del Piero, Vialli, Mancini, Bettega, Rossi... se questi attaccanti sono esistiti – aggiungeteci tutti quelli che vi vengono in mente – ci hanno fatto divertire, hanno segnato e vinto partite su partite, come può essere che il nostro calcio sia stato “solo catenaccio”? Abbiamo sicuramente amato questa squadra per il cuore, forse non proprio per il gioco espresso, inconsistente, ad esempio, proprio in fase di attacco, e “Il catenaccio”, caro Conte, è solo un pezzo della Storia, tentare di proporci una “lettura distorta” di chi siamo noi italiani, ti è, nei fatti, tornato indietro come un boomerang.  
Prendersela con Pellè o Zaza - diciamocelo, cari tifosi - ha poco senso: ogni giocatore ha i propri modi di affrontare la tensione. Se Pellè avesse segnato e l’Italia passato il turno, staremo a divertirci con “la spavalderia del simpatico ragazzo”. Personalmente non avrei nemmeno fatto ritirare il rigore a Bonucci: evidente che entrava nel dilemma “come prima o diversamente?”.
Antonio Conte, nella conferenza stampa del post partita, si è lamentato di essere stato lasciato solo. Ma avrebbe dovuto saperlo che il comandante, il condottiero è sempre solo, sopra tutto nelle proprie scelte, e si fa carico di ogni cosa, nel bene e nel male. Anche questo è il sintomo di una non adeguata esperienza per guidare la Nazionale. 



Un merito al CT va certamente dato: avere fatto innamorare i nostri ragazzi di loro stessi, delle loro capacità, delle loro possibilità e della loro forza, riaffermando, sia pure inconsapevolmente, ancora una volta, che “l’italietta” non esiste, che una Nazionale che vince quattro mondiali, è regolarmente ai vertici, crea sempre timore reverenziale negli avversari, ha una filosofia calcistica che il mondo studia, che quando meno te lo aspetti risorge dalle proprie ceneri, che perde più per demeriti propri che per meriti altrui, non ha nulla di “-etta”. Ma si sa: lo sport preferito degli Italiani è parlar male degli Italiani, e il calcio non può esentarsi dall’unico vero tratto distintivo della Nazione.
Augurando a Conte una splendida carriera da allenatore, sono certo che Ventura saprà far fruttare tutto quello che di buono è stato fin qui costruito, e che “l’Italietta” prima ancora che gli altri stupirà se stessa.    

Addendum (4 luglio, h 11,00): 
un caro amico mi fa notare che ho mal riportato la frase di Conte, "Non siamo catenaccio"; è vero, verissimo. Ho bacchettato i commentatori e sono caduto nel loro stesso errore. La frase esatta la trovate qui, e come potete facilmente rilevare è: "L'Italia non è il catenaccio". 
Peggio me sento! 
Non a mia scusa, ma va detto che quel che volevo riportare è la distorsione sistematica delle informazioni. Basta un avverbio, "solo", per cambiare tutto il senso di una frase, e l'avverbio "infiltrato" lo ricordo benissimo, e ricordo anche chi lo ha pronunciato, ma evitiamo ulteriori polemiche. 
Peggio mi sento perché a maggior ragione quel "non è" si presenta come negazione ancor più forte di una storia calcistica nazionale. Il "non siamo" poteva anche riferirsi alla sola compagine guidata da Conte, il "non è"... si sparge su tutti e su sempre. 
Forse, l'amico Enrico, avrebbe quasi fatto meglio a non segnalarmelo...