Le accuse le abbiamo sentite tutti, erano pesanti, invasive, spesso con un atteggiamento di superiorità intellettuale disgustoso.
Ma per quanto disgustose, esse meritavano una riflessione, almeno per avere, un domani, al replicarsi delle ingiurie, una risposta articolata e convincente.
Ho letto una serie di articoli molto interessanti in proposito, e poi sono andato a riguardarmi l'articolo della nostra meravigliosa (lo voglio dire tre volte e apposta) Costituzione che riguarda proprio la questione "voto".
È l'art. 48 e dice:
"Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge."
La democrazia è una roba faticosa, ma parecchio faticosa, come la libertà.
Faticosa perché presuppone, e ti costringe ad attuare, il rispetto dell'altro nella sua totalità.
Ed è questo il punto difficile: perché ciascuno di noi sicuramente conosce un certo signor X che reputa decisamente un cretino. Ma "il cretino", miracolo democratico, ha i nostri stessi diritti! Se no è finita, finita proprio nel senso che "l'ebreo non è come gli altri"... e via con simili degenerazioni.
Quello che però regolarmente ci sfugge è che: io considero il signor X un cretino, ma è molto molto probabile che il signor X
consideri me un cretino! Il che, sostanzialmente, annulla le differenze: poiché non
si sa da quale punto di vista noi stabiliamo che il signor X è un cretino, e non si sa da quale punto di vista il signor X stabilisce che io sono un cretino.
C'è poi il problema della informazione, o meglio, come ho sentito dire, "dell'essere bene informati". Sulla base di cosa noi stabiliamo che "alcuni non sono bene informati"? Molto probabilmente sulla base delle nostre informazioni. Ma questo deve farci presupporre la possibilità che ci sia sempre qualcuno più informato di noi. Dunque anche noi, per questi "ancor più informati", saremmo "non bene informati" (il che, se ci pensate, può facilmente innescare quella escalation che porta al "tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri").
C'è poi il problema della informazione, o meglio, come ho sentito dire, "dell'essere bene informati". Sulla base di cosa noi stabiliamo che "alcuni non sono bene informati"? Molto probabilmente sulla base delle nostre informazioni. Ma questo deve farci presupporre la possibilità che ci sia sempre qualcuno più informato di noi. Dunque anche noi, per questi "ancor più informati", saremmo "non bene informati" (il che, se ci pensate, può facilmente innescare quella escalation che porta al "tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri").
Dopodiché, la cosa più fastidiosa che si sente sempre ripetere è "hanno votato con la pancia, hanno votato con la paura". E qui, credo, non mi nascondo, di cogliere una splendida sfumatura proprio nel nostro art. 48, e che è secondo me il punto che lo rende immenso.
Mi domando: "Ma perché, la rabbia e la
paura, in quanto sentimenti umani, in quanto capacità cognitive e vitali della
persona umana, non sono comunque un pezzo del nostro giudizio, del nostro
pensiero, e quindi anche del nostro voto? Possiamo noi pensare di escludere un
pezzo di noi stessi dal voto, anche se votassimo solo sulla base di quello?".
Se consideriamo "un pezzo di noi" più importante di altri, facilmente possiamo considerare che ci siano poi persone che sono più importanti di altre. Se "l'intelletto" è più importante della "pancia", allora chi ha solo intelletto è più importante di chi ha "pancia e intelletto" o solo "pancia"? Creare delle gerarchie all'interno di un uomo, non considerandolo più nella sua totalità, vuole dire, automaticamente, per estensione, considerare una società di uomini con delle gerarchie interne dove la totalità della comunità si perde e alcuni divengono più importanti di altri.
Infine, ho sentito dire, e qui la contraddizione diviene pesante, un boomerang per "coloro che sanno", che qualcuno ha votato senza conoscere le conseguenze. A parte il fatto che coloro che frequentano tale affermazione paiono volontariamente escludere le "conseguenze positive" e soppesare solo le negative (e questo perché l'esito del voto a loro non piace, quindi vendono malamente tutto ciò che non si allinea al loro pensiero), possiamo affermare che: "conoscere le conseguenze" vuol dire far sì che il voto sia influenzato da un timore, da una paura, e quindi si finisce per votare in base a una emozione non più seguendo l'intelletto. Dunque, conoscere le conseguenze è "voto di pancia"!
Ecco, allora, che il nostro art. 48 diviene straordinario. Perché, credo, quando afferma che il voto è libero, non vuole dire soltanto che il voto deve essere svincolato da qualsiasi condizionamento esterno, ma deve sopra tutto essere libero dentro, libero dentro di te, e deve esserlo in maniera assoluta dentro di te, nella coscienza ancor prima che nelle relazioni esterne. Il voto libero è
l'uomo libero.
La colpa, cari censori del voto altrui, inaciditi dal non vedere vittoriose le vostre idee, e dal non accettare la libera espressione che una democrazia, nel suo essere faticosa, comporta, non è di chi vota
libera-mente, ma di chi non ha saputo spiegare, convincere, far nascere un
diverso sentimento. Evidentemente non avete saputo far prevalere le vostre ragioni, espresse sia con la testa che con il cuore. Non avrete saputo parlare né all'intelletto né alla pancia. Perché questa è la sola arma possibile in democrazia: convincere. E di una vostra incapacità, volete incolpare il popolo? Mai cosa peggiore poté fare chi si pensò democratico.
Di referendum in referendum, a quello italiano sulla riforma costituzionale io voterò nettamente NO. Se vincerà il Sì, la colpa sarà solo mia che non avrò saputo fare amare e comprendere le mie ragioni. Ingoierò l'amaro boccone in silenzio. E il popolo avrà sempre ragione. Altrimenti è finita.
A meno che non vogliate proprio questo, voi: che la democrazia sia finita.