mercoledì 29 agosto 2018

LE COLPE DI NOI TEATRANTI (IL DDL FRANCESCHINI) - LÌ DOVE IL TEATRO MUORE (4)

Per motivi miei ho letto e riletto il Codice dello Spettacolo, il DDL Franceschini diventato Legge il 22/11/2017 con n° 175
Trovo che sia una legge per troppi versi orrenda, che massacrerà ulteriormente il settore spettacolo dal vivo. 
La legge è fortemente improntata sugli aspetti economici ancor prima che su quelli culturali che le dovrebbero essere propri. Lo si riscontra dalle decine di frasi, o singole parole, che la costellano nelle intenzioni ancor prima che nella sostanza. 
"Il riequilibrio territoriale e la diffusione nel Paese dell'offerta e della domanda", "l'iniziativa dei singoli soggetti, volta a reperire risorse ulteriori rispetto al contributo pubblico", "razionalizzazione degli interventi di sostegno dello Stato", "determinazione dei criteri per l'erogazione e delle modalità per la liquidazione e l'anticipazione dei contributi a valere sul Fondo unico per lo spettacolo...", "rafforzamento della responsabilità del sovrintendente sulla gestione economico-finanziaria...", "ottimizzazione delle risorse attraverso l'individuazione di criteri e modalità di collaborazione nelle produzioni"... sono solo alcune delle frasi che si trovano nella Legge, e vi assicuro si potrebbe continuare a lungo.

L'aspetto economico è determinante al punto, che all'art 1 c. 3 si riconosce "il valore delle pratiche artistiche a carattere amatoriale, ivi inclusi i complessi bandistici e le formazioni teatrali e di 
danza, quali fattori di crescita socio-culturale". Ora, è ben chiaro che, per esempio, in situazioni di degrado sociale o territoriale, i complessi bandistici possono svolgere un importante ruolo per "togliere i ragazzi dalla strada o da brutte strade", e che lo stesso compito possono avere Prosa o Danza. Come sono certamente importanti il valore e l'azione del Terzo settore, quello del volontariato, dell'impresa sociale e del servizio civile ultimamente regolamentato con la Legge 106/2016, citata nel Codice dello Spettacolo. 
Ma si pone un problema: a prescindere dal fatto che il valore dei gruppi dilettanteschi poteva essere inserito proprio nella Legge 106 sul volontariato, ma qui si mischiano pericolosamente i piani. 
Il DDL Franceschini, infatti, ripete più volte che vanno preservate e riconosciute le professionalità dello Spettacolo, ma poi introduce il concetto di valore della amatorialità e del volontariato. Cosa c'entrano gli amatoriali con il volontariato? Beh, mi pare evidente: cos'è un volontario se non un dilettante che si prodiga per qualcosa che gli procura piacere, e lo fa gratuitamente. Così, un dilettante della cultura è al contempo un volontario della cultura. 
Leggetevi il testo, almeno un paio di volte come ho fatto io e vi sarà assolutamente chiaro. 
(Conosco l'obiezione: "Se un medico fa il volontario per curare le persone non è un dilettante". Infatti non lo è: è un professionista che decide di donare parte delle sue prestazioni. Le ragioni sono solo sue come lo sono quelle dell'impiegato che va ad aiutare gli anziani o a portare gli indumenti ai terremotati. Ma tutto questo c'entra con il mescolare i campi professionali? NO! Se in mezzo ai terremotati, l'impiegato lasciasse i vestiti e si mettesse affianco al medico che sta visitando delle persone per fare lo stesso, il medico lo caccerebbe. E gli daremmo tutti ragione! Perché il volontario non è un professionista che presta gratuitamente la propria opera.)   



Ma c'è un altro concetto che è stato introdotto dall'ex ministro Franceschini: la valutazione della Qualità Artistica, il codiddetto QA. A questo link trovate le varie Schede Q.A., e potrete divertirvi a consultarle.
La domanda spontanea è: "ma chi stabilisce questi "voti"?"; quella dopo è: "ma chi li dà?", e poi ci si comincia a chiedere "sulla base di quali criteri, e perché", ma soprattutto: "influiscono questi Q.A. sulla erogazione dei fondi?". Sì, influiscono. E qui sorge un problema enorme, e profondamente pericoloso, che in qualche modo si sente sotteso alla Legge, quasi come
un "inconscio del testo"


La mia impressione, infatti, è che con questa Legge, lo Stato voglia pian piano smarcarsi dal sovvenzionamento della Cultura, approdare a quello che in genere conosciamo come "sistema americano", dove le varie istituzioni vanno avanti con i sovvenzionamenti privati. Solo in questo modo posso spiegarmi le mille e mille complicazioni burocratiche che ormai incontrano gli operatori privati per richiedere il sostegno statale al punto che già molti vi hanno rinunciato. 
Un esempio grottesco è questo: nella domanda per la sovvenzione statale, da produrre entro la fine di dicembre si chiede di elencare i teatri in cui si andrà a fare spettacolo. Già questo denota una non conoscenza della vita del mondo della Prosa, dato che "le stagioni teatrali" si costruiscono e consolidano prevalentemente tra febbraio e aprile/maggio, quindi successivamente alla presentazione della domanda. In genere, dunque, i produttori mettono in lista i teatri con cui hanno un consolidato rapporto e nei quali sanno che tendenzialmente verranno accolti. Ma non basta: chi redige la domanda deve indicare... il numero di posti che ha il teatro!!!
Ma secondo voi, ha un senso questa cosa? Ma il Mibact non ha un archivio con le schede tecniche dei singoli teatri italiani?
E oltre tutto, ogni domanda è corredata da queste e similari informazioni, con la consueta produzione di montagne di carta e numeri inutili.

Chiaro a che livello siamo? 
E considerando che il FUS si riduce inesorabilmente di anno in anno... molti, stanchi di tutto ciò, hanno già rinunciato producendo il beato gongolamento di chi queste norme ha prodotto.  

Ma tornando allo Stato e ai suoi intenti, o meglio tornando ai governi di sinistra che hanno prodotto questa e altre leggi sul teatro in pieno delirio liberista (chi ricorda la "residenza teatrale" istituita da Veltroni - 1996 - con i progetti triennali?), diventa palese a leggere il testo di legge che l'intento è smarcarsi dal sovvenzionamento della Cultura. Non so cosa accadrà per i Musei, ma temo che chi elabora tali piani li voglia un giorno togliere alla mano pubblica e regalare al privato. Di sicuro la mescolanza di professionisti e dilettanti non fa altro che il gioco dell'impresa e dei Comuni che vogliono riempire le sale teatrali, e che senza più sovvenzione statale, possono serenamente contare su "manodopera" a basso costo, o comunque su di un comparto attori e tecnici messo in forte crisi dalla concorrenza dell'amatoriale (il quale - si spera non si debba ripetere ogni volta - non ha necessità di guadagnare dal teatro per vivere). 
L'esercizio della professione Culturale, nella visione che si trae dal questa Legge è quella di un Volontariato della Cultura, che arrivi dunque ad essere gratis. Pare quasi si voglia tornare alle confraternite stile Accademia dei Filiomati, degli Intronati o alle Camerate de' Bardi... Bel salto indietro!
I dilettanti, da appassionati senza colpe, divengono in tal modo una sorta di "truppe di riserva del capitale", così come i senza colpa della migrazione lo divengono per l'operaio o il contadino italiano. 

Ma il DDL Franceschini nasconde a mio parere qualcosa di ancor più "perverso": lo Stato non si smarca del tutto, mantiene la sua sfera di influenza su alcuni specifici "plessi produttivi", pochi e a gestione pubblica. Facile identificarli con i Teatri Stabili (di un tempo, oggi Nazionali, Tric, ecc.). La Legge, infatti, sembra fatta come considerando che il teatro si faccia ufficialmente e professionalmente solo in quelle sedi; ma non è tutto, l'esclusivo mantenimento di una sfera di influenza così importante, combinato con la discriminante Q.A., può produrre un mostro: "la cultura di regime". 
Non voglio dire che l'ex ministro Franceschini lo abbia fatto volutamente, ma se ben si legge, questo viene fuori, e se una legge fatta male può non venire male utilizzata da chi c'è, può sempre venire male utilizzata da chi viene dopo
Chi è, infatti, il solo che può stabilire un "criterio qualità"? Ma ovviamente il pubblico, con i suoi gusti, discutibili finché ci pare, ma sicuramente liberi (su cosa poi influenzi i gusti del pubblico bisognerebbe aprire un altro dibattito, ma nessuno si deve sentire superiore culturalmente e moralmente a nessun altro quando si trattano i principi). E quanto vale, in fondo, questo "criterio qualità del pubblico"? Tutto e niente. 

Se il legislatore si pone come colui che stabilisce il criterio di qualità, crea una discriminazione, un campo di azione dove chi vi rientra è ritenuto valido e gli altri sono fuori. Una discriminazione, quindi, che non colpisce tanto il gusto del pubblico quanto la libertà di espressione dell'Arte sancita dall'art. 33 della Costituzione, e citato evidentemente in maniera sbadata nello stesso Codice dello Spettacolo. 
Io lo so che voi state già pensando che il "buzzurro Salvini" userà questa possibilità di discriminare (vi conosco troppo bene miei cari colleghi), ma dovete riflettere e profondamente, almeno per una volta: oggi, secondo voi, sarà Salvini, ma domani potrebbe essere chiunque altri verso chiunque altro; e in Arte non può esistere un campo buono e uno cattivo, un campo dei giusti e uno degli ingiusti, in Arte ancor più che in qualsiasi altro campo, poiché limitare la libertà dell'Arte (e della Scienza) vuol dire limitare la Libertà dell'uomo. Chi si crede superiore moralmente e/o culturalmente non è un artista, e a mio vedere nemmeno un lavoratore dello Spettacolo, rendendosi oltretutto complice di una qualsiasi discriminazione domani, perché se hai discriminato tu oggi, autorizzi chiunque altro a discriminare domani.
Mi sorprende, francamente, che nessuno abbia rilevato la possibile incostituzionalità di questi elementi legislativi. Il che dovrebbe anche dirci quanto conta lo Spettacolo dal vivo, per i nostri governanti. 


Cerco di chiudere, ma il discorso è troppo importante e lungo per tagliare a casaccio. 

Qualche giorni fa, su una pagina Facebook dedicata agli attori, ho chiesto ai miei colleghi un parere su un passaggio del Codice. Non riporto qui la pagina per motivi di privacy, ché non mi va di avere rotture di scatole. 
Il mio testo era questo:

Salve.
CODICE DELLO SPETTACOLO. DDL FRANCESCHINI 22.11.2017 n 175
art1 c.4
4. L'intervento pubblico a sostegno delle attivita' di spettacolo favorisce e promuove, in particolare:
a) la qualita' dell'offerta, la pluralita' delle espressioni artistiche, i progetti e i processi di lavoro a carattere innovativo, RICONOSCENDO IL CONFRONTO E LA DIVERSITA' come espressione della contemporaneità.
Secondo voi che significa? Avrei altri cinquanta punti sui quali chiedervi una opinione... ma mi fermo qua. 

I commenti dei miei colleghi sono stati fondamentalmente che era solo fuffa, demagogia, parole scritte al vento, chiacchiere senza costrutto... e così la faccenda è stata liquidata.
Ora, io invece ho il maledetto viziaccio di pensare che se qualcuno scrive qualcosa in una Legge dello Stato un motivo ci deve essere

Trovo, girando su internet, questa pagina (importante) nella quale ci si interroga su come rapportarsi alla nuova legislazione. 
Altre critiche, più o meno articolate, ho trovato alla legge... 

Ma quello che profondamente mi ferisce, e che mi ha spinto a questa lunga (mi spiace) riflessione è che mi rendo conto che la mia categoria non si interroga, pensa poco, e naviga decisamente a vista. La sua prerogativa, che tante volte l'ha salvata nei secoli, ma che sta divenendo anche la sua colpa, è quella di essere come l'acqua e trovare accomodamento in ogni diverso recipiente
L'attore - diciamocelo chiaro - è colui che si lamenta finché non trova una scrittura. Una volta trovata tutto è semplicemente a posto e i problemi non ci sono più fino al prossimo periodo di non lavoro. 
E come l'attore, così le produzioni teatrali, con il risultato che nessuno protesta mai veramente se non di fronte alla riduzione di fondi
Il primo tema di cui intende occuparsi il gruppo di lavoro di Ateatro è, guarda caso: 
I fabbisogni finanziari richiesti dai nuovi impegni previsti dal Codice dello Spettacolo. 
E le prime rimostranze cui ha dovuto far fronte il neo ministro Bonisoli cosa hanno riguardato? L'esclusione di alcuni dai fondi del FUS
Sacrosanto, per carità! Senza denari non si cantano messe. 

Ma forse, se siamo giunti a questa situazione è perché si è sempre cercato di adattarsi, perché chi aveva la visibilità per dire una parola, caldo e tranquillo nella propria posizione, non l'ha detta! E continua a non dirla, e se la dice essa è completamente spoglia di qualsiasi consistenza e/o analisi approfondita dei problemi! 
La Verità pare questa: il Teatro Italiano non sa minimamente cosa sia la Politica, quando dovrebbe essere egli stesso sempre Politica, e gli attori i prìncipi dei cittadini della Polis!
Si resta perennemente nella superficialità come se il mondo intorno a noi non ci competesse e non ci interessasse. Al che bisognerebbe chiedersi come il mondo intorno possa interessarsi a noi. Ma ovviamente non lo si fa, costa fatica. E a noi piace svegliarci tardi.. 


Qualcuno ha approfondito, lo ha fatto, si è occupato, ha studiato, ascoltato e letto, indagando su meccanismi non propriamente dello Spettacolo ma che poi sullo Spettacolo influiscono. 
Resta inascoltato. 
Come inascoltato resterà questo appello alla riflessione, dopo, ovviamente, i diversi complimenti sui social.
Coi social non si mangia, con le Leggi dello Stato sì. 

1 commento:

  1. Caro Alfonso Liguori, mi occupo da anni di sistema e sottolineo tutte le pericolose genericità di questa legge e della riforma del 2014. Ciò che sta avvenendo riesce a smantellare la libertà di espressione. Io non sono uno di quelli a cui basta la scrittura per tacere. Ho un gruppo indipendente che mi costa una fatica enorme senza alcun sostegno previsto come dici dalla nostra costituzione. Se vogliamo fare un esposto alla corte costituzionale sono con te. Ho un'idea semplice per riaprire il FUS (che resta insufficiente) alla produzione artistica e non agli uffici che la gestiscono: basta vincolarlo al personale scritturato e ai soli costi di allestimento. A partire dal livello regionale poi, gli enti locali potranno sostenere economicamente in teatri Nazionali, i TRIC, etc... che hanno decine e decine di dipendenti fissi ed hanno costi di esercizio enormi. Vorrà questo governo inseire nel decreto attuativo della legge questa norma?

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