venerdì 4 marzo 2016

LA DISTRUZIONE DELLA MEMORIA TEATRALE: TEATRO DEL CONSUMATORE, TEATRO DEL CITTADINO. (i bandi degli stabili per indigeni)

Rilevo ci sono molti colleghi perplessi di fronte ad una serie di bandi di concorso emessi dai teatri stabili (se ancora si chiamano così...) italiani.
Nei bandi si legge praticamente sempre che sono rivolti ad attori residenti o nati in regione.
Tale regola aveva avuta una sua precedente sperimentazione con la istituzione delle Film Commission.
Qualcuno contento c'era subito stato, ed erano i "quasi amatoriali" o gli amatoriali/dilettanti puri, i quali potevano vedersi proiettati nella fiction televisiva standosene comodamente a casa e continuando a fare il loro lavoro vero, quello che gli dà il sostentamento ordinario. Certo che erano contenti: il passaggio televisivo, sia pure breve, gli consentiva di essere riconosciuti dalla dirimpettaia di pianerottolo come "attori", e allargando la loro piccola fama locale ampliava il loro mercato, sempre rimanendo comodamente a casa.
Gli attori veri sentirono subito puzza di bruciato.
Anche perché, da quello che possiamo comodamente rilevare tutti, agli indigeni erano destinati regolarmente i ruoli di contorno. I protagonisti, quelli grossi, veri, regolarmente arrivavano da fuori, erano scritturati su parte e molto spesso senza nemmeno passare da provino.
Qualcosa, capimmo subito, che non funzionava. La regola era fatta, immediatamente aggirata o scavalcata da relativo codicillo interno, e le opportunità di lavoro per i professionisti diminuivano.

La nuova normativa per i teatri sta creando le medesime condizioni lavorative.

Ci si potrebbe chiedere cosa ci sia di male. Ebbene, al di là delle opportunità che diminuiscono (ed è ovvio, perché l'offerta ti si restringe su base regionale), la cosa più grave è la concezione che si ha e si deve avere del Teatro.
Teatro che nella nostra secolare tradizione è sempre stato "di giro", composto di Compagnie che andavano di città in città, di provincia in provincia, di regione in regione. Noi (altro che Schengen, non avevamo alcun bisogno di Schengen, che fosse Italia o fosse estero) eravamo naturalmente senza confini, e la nostra casa, la nostra patria era solo il palcoscenico, tutto qui. Dove c'era un palco eravamo a casa. Perché, oltre tutto, avevano sempre saputo che per fare Il Teatro, avremmo dovuto lasciare casa, abbandonare le origini, dedicarci anima e corpo a quella tua scelta di vita: una sorta di vocazione missionaria.

Ora, è come se si cercasse di innestare nella nostra mente, nel nostro animo il concetto che il Teatro lo si fa sotto casa, che la "brutta vita girovaga" è finalmente finita, e che puoi essere uguale a un qualsiasi lavoratore, a un qualsiasi cassiere di banca.

"E che ci sarà di male?", chiederanno sempre quelli di prima.
In verità poco, se non fosse per il fatto che deve animarci un sospetto: quando una nazione vinceva una guerra condotta magari per decenni contro una rivale, quello che più gli premeva era cancellarne completamente la memoria, eliminare tutti i segni, i simboli che potessero ricondurre alla sua esistenza; possiamo noi dunque ipotizzare che in questa continua rivoluzione che la normativa teatrale (che è normativa culturale prima ancora che di spettacolo) sta subendo da anni (chi ricorda le "residenze teatrali" di Veltroni?) ci sia in realtà una volontà di cancellare una memoria, una tradizione un portato culturale, di cassare quelle differenze che fanno del teatro italiano un fenomeno diverso da quello tedesco o inglese?

A mio parere sì, se leggiamo la rivoluzione apportata in ottica decisamente più ampia, che non solo attraverso l'istituzione dei Teatri Nazionali con la loro azione specifica sul territorio tende a mettere sotto scacco il teatro privato di giro, ma sopra tutto se la inquadriamo nella complessa e costante modificazione che sottilmente si sta imponendo alla nostra società, al nostro sistema sociale e di vita, cancellandone i parametri faticosamente costruiti nei decenni, a forza di lotte e sangue, nella prospettiva del Nuovo Ordine Mondiale, quello che mira al TTIP, che mira a trasformarci tutti da cittadini a consumatori.
Se da un lato, a livello economico, si impongono azioni come il bail-in, dall'altro, a livello culturale, non si può che tendere alla cancellazione della memoria e delle radici. Le nostre sono quelle delle Compagnie di giro, e non mi pare strano che proprio quelle, e la loro abitudine, si vadano a colpire.

Trovo sempre curioso che in una prospettiva di allargamento del mercato, di liberalizzazioni, di privatizzazioni, si lavori invece a "chiudere la cultura", a costruire pochi "centri di potere". Da un lato "si apre", con gli effetti devastanti che sappiamo, dall'altro "si chiude", con effetti devastanti per i lavoratori che ai lavoratori stessi sono già noti sia pure nella mancanza di una acquisita consapevolezza delle ragioni.

Ce lo hanno insegnato le religioni che il Potere passa anche attraverso il controllo del sesso e della cultura. La sessualità è fintamente libera, è diventata "fluida", passando a un superamento delle morali, anche quelle minime, che aprono a nuovi consumatori e nuovi mercati. La cultura deve essere posta sotto controllo e dunque circoscritta nel suo raggio d'azione.

Il tutto si condisce con l'idea del "è facile": faccio sesso con chi voglio e come voglio, così come faccio teatro sotto casa "senza tanti sbattimenti".
Ed è quando sei convinto che "è facile", come collegarti ad internet, che sei fottuto, che sei diventato un consumatore e hai smesso di essere un cittadino.  








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