sabato 10 agosto 2019

AMICIZIA PERSA, LIBERTA' DENTRO

Sta accadendo una cosa davvero spiacevole che a questo punto sento di voler comunicare sperando di trovare ancora in voi delle persone sagge e comprensive, e soprattutto delle persone davvero aperte così come in genere vi professate. 
Ho scelto di parlarvene dopo una lunga riflessione, perché la cosa mi produce non poco dolore, malinconia, fastidio, senso profondo di isolamento. Tutte cose che possono andar bene con gli estranei, dei quali alla fin fine chi se ne frega, ma non con le persone cui vuoi bene e che ti conoscono, e conosci, da una vita. 
Certo, è un tipo di situazione che potevo prevedere, frutto delle scelte che ho coscienziosamente fatto e che rifarei altre mille volte; dovevo e potevo aspettarmelo, e infatti me lo aspettavo, ma non nei termini in cui si sta verificando. Forse perché, così come credetti  un tempo in certe idee, ho continuato a credere che coloro che, come me un tempo, continuano a professare quelle idee che io non professo più, siano e restino davvero animate da un profondo spirito democratico, da una voglia di confronto, da un rispetto intrinseco dell’altro, anche se la pensa diversamente da noi. 
Tutti noi abbiamo avuto amici che la pensavano politicamente in maniera diversa, con loro ci siamo scontrati, abbiamo discusso, abbiamo cercato di convincerci vicendevolmente, ma questo non ha intaccato mai il senso di stima verso l’altro, e soprattutto – ed è questo il punto più grave, il vero punto doloroso – mai abbiamo trattato improvvisamente l’amico dall’alto in basso come un minorato mentale, un ignorante, un troglodita, per le sue idee, facendolo sentire improvvisamente privo della nostra stima e dunque del nostro affetto. Ché stima e affetto sono profondamente incardinate. 
Mio nonno materno era un vecchio ufficiale della Milizia fascista, ma la persona che più stimava in città era un vecchio deputato socialista, che nessuno gli doveva toccare altrimenti diventava una belva, e lo stesso era per quel deputato se qualcuno parlava male di mio nonno (i nomi non contano). Si possono immaginare due soggetti più lontani come pensiero politico, visione della vita e del mondo? Eppure era così. E questo stesso tipo di relazioni mi sono capitate tante e tante volte sotto gli occhi, per i genitori, gli amici, i parenti e anche, fino a un certo punto, per me stesso. 
Da un po’ di tempo a questa parte io non mi sento più libero, libero dentro, di potere esprimere le mie idee. Non con chiunque, che sarebbe una vera e propria assurda pretesa - ché sempre in un certo modo son fatte le relazioni umane - ma con le persone che immagino, presumo, penso, credo, ho creduto fino al momento della fatale rivelazione, mi vogliano bene. 
Vivo una sorta di abbandono, peggio ancora di senso del disprezzo, solo perché io la penso diversamente. Il risultato è che non parlo più, e con i miei amici non esprimo più liberamente il mio animo. Fingo. Sissignore, sappiatelo, fingo, per evitare prima inutili discussioni, poi la mortificazione di sentire un amico o un’amica trattarti improvvisamente dall’alto in basso. 
Inutile cercare di fare capire che anche io ho le mie motivazioni, che il mio approdare dove non avrei mai creduto anni fa di approdare, è frutto di un percorso, un percorso duro, faticoso, pensato, meditato; e forse un amico, che dice non solo di volerti bene ma di essere interessato profondamente alle vicende di questo nostro Paese, dovrebbe domandarsi per un momento come mai tu sia giunto lì, tu che quell’amico dice e ha sempre detto di stimare davvero, che ha tenuto in considerazione il tuo pensiero, i tuoi consigli, i tuoi giudizi. 
Invece questo non accade, sei solo oggetto di ludibrio, quando non di disprezzo, quando non di quella considerazione riservata ai poveri dementi. Potete immaginare come ci si possa sentire dentro nel momento in cui tu sei tranquillo, pensi di poter liberamente parlare perché di fronte hai un amico, una persona con la quale, qualsiasi sia la discussione, immagini che i rapporti non si deterioreranno, e invece trovi improvvisamente un vuoto, un abbandono che in un attimo si consuma accompagnato da un senso di superiorità che ti umilia. 
Sono cose lecite e comprensibili nei nemici. Ma gli amici, gli amici no. 
Se non puoi essere libero, libero dentro, con loro, qual è il senso di tutto questo? Se rimaniamo tutti delle monadi immutabili, fermi in un unico pensiero che tutti ci contiene e mai veniamo disturbati, scossi, scarrucolati da una diversità, da una progressione, da una inattesa adempienza, da una sorpresa, qual è il senso del nostro percorso in comune? Perché ci frequentiamo? 
Io, anche se in molti non ci credono, ho sempre appreso tantissimo dagli amici, nonché dalle donne con cui sono stato, e anche dagli scambi occasionali. Credo, anche se in molti non ci credono, di essere fondamentalmente fatto di questo, di tutto questo, di questo accumulo di idee e suggestioni, di ricordi e passioni. Amo il percorso che ho fatto e il dove mi ha portato, e ringrazio sempre tutti quelli che ho incontrato lungo la mia strada anche se qualcuno oggi non voglio più vederlo. 
Ma se non c’è questo, nelle nostre relazioni, se tutto si riduce a una cena insieme per dirci che siamo d’accordo su tutto, a che serve? Se non possiamo più scambiarci le parole e i pensieri, ma a che serve?
Vorrei ancora stare con i miei amici, discutere sinceramente e liberamente, libera-mente dentro, con loro, senza dovere nascondere che sono borbonico, che sogno la secessione del Sud, che sono sovranista, che sono un No-euro (e pure della prima ora!), che sono contro la UE, che ho votato per la Lega, che da meridionale ho convintamente votato per la Lega… e non sentirmi, per tutto questo, improvvisamente disprezzare dalle persone che conosci da trent’anni solo perché dici che vorresti la secessione del Sud come se fossi un minorato mentale rincoglionito, pazzo e stronzo. 
Credetemi, è una coltellata che ti arriva, e che fa dannatamente male, perché all’improvviso senti che è stato alzato un muro tra te e quell’amico/a, e quel muro lo ha alzato lui solo perché tu sei stato sincero. Ti senti improvvisamente abbandonato. Improvvisamente imprigionato.  
E il fatto che tu comprendi perfettamente che quella loro reazione isterica – poiché solo di isteria può trattarsi nel suo improvviso impennarsi, innervarsi, nel perdere le coordinate, nell’accecamento che osservi in loro o che ti si rivela, dopo, a mente fredda – il fatto che comprendi che quella reazione è dovuta al senso atroce di sgretolamento del mondo in cui hanno creduto, al fallimento delle ideologie che hanno abbracciato, alla perdita dei punti di riferimento che si erano costruiti, al senso profondo e inconfessato anche a loro stessi di sconfitta, tutto questo non mitiga il tuo dolore. 
Anche perché capisci che molto è legato al loro arroccarsi, alla loro indiscutibile chiusura, alla non accettazione dei fatti che la Storia ha messo sotto gli occhi di tutti noi senza tema di smentita. Il muro si alza per non accettazione della disfatta, anche a costo di perdere l’amico, di perdere l’affetto. 
Se parlare davvero, senza pregiudizi, fosse possibile, se scambiare davvero le opinioni fosse possibile, senza preconcetti, senza disprezzi, lontani da qualsivoglia senso di superiorità morale e culturale, forse tanti nodi si scioglierebbero. Invece no, e il dolore cresce in ciascuno di noi, restando tutti sempre più soli. 
Io ho fatto una scelta, delle scelte, e ne accetto le conseguenze, la solitudine che ne può derivare e alcuni inevitabili distacchi, ma non posso smettere di voler rivendicare tutte le cose che penso e in cui credo. 
Mi chiedo soltanto se nel profondo, nel profondo soprattutto della loro sempre sbandierata democraticità, i miei amici sono ancora disposti ad accettarmi per quel che sono? 
Oh, so bene che diranno tutti di sì, ora, a parole, diranno tutti di sì, ma vi assicuro che dopo quello che è accaduto in questi ultimi tre anni - dal referendum costituzionale in poi, per esser chiari – dopo i tanti abbandoni che si sono consumati lungo la mia strada, io ci credo sempre meno, sempre meno sento di potermi esprimere liberamente con i miei amici. E questo mi addolora. 
Fingo. Fingo, per evitare discussioni, per evitarmi la coltellata, e quel malinconico senso di perdita della libertà, libertà dentro.