venerdì 30 novembre 2018

UN PICCOLO PREMIO IN QUESTI TEMPI GRIGI (per "Enrico solo")





Cari ventisette amici, forse adesso ventinove, che mi seguite con affetto (e vorrei sapere perché), in questi tempi di tenebre e paludi, almeno una piccola soddisfazione personale è arrivata e la prendiamo con gioia quale viatico per migliori percorsi futuri.
Come potrete vedere nel link sono tra i vincitori del premio "Autori Italiani 2018", concorso indetto dalla storica e prestigiosa rivista di teatro "Sipario" diretta da Mario Mattia Giorgetti, in collaborazione con la Fondazione Teatro Carlo Terron.
Così, il 6 dicembre 2018 alle h 15,30 sarò con gli altri selezionati al teatro Manzoni di Milano per la cerimonia di premiazione. 

Mi fa piacere per diversi motivi: il primo è che la mia povera Patrizia che mi sopporta nelle mie esaltazioni e/ abbattimenti quotidiani merita questa piccola gioia che infatti è dedicata a lei.
Poi perché il Manzoni fu il primo teatro dove ho recitato a Milano nella lontana stagione 1989/90, con "Dolce ala della giovinezza" di Tennessee Williams, con Rossella Falk e Lino Capolicchio per la regia di Giuseppe Patroni Griffi.












Ero giovane e inesperto e nulla ancora sapevo del Teatro e della sua vita di tournée, inoltre ero a Milano per la prima volta, così, quando fummo nel residence, la sera, a cena, a un certo punto guardai la finestra e la vide terribilmente opaca, al punto che esclamai: "Madonna, come è sporco 'sto vetro"; aprì la finestra per guardare il vetro nella parte esterna e mi accorsi che era la nebbia, la famosa nebbia che "c'è ma non si vede", e invece la vidi benissimo tra le risate dei colleghi.

Da ultimo, come dicevo, perché questi per il nostro mestiere sono tempi cupi, molto cupi, ed avere anche un piccola soddisfazione è una boccata di ossigeno che ti fa almeno sperare che qualcosa ancora si possa risolvere e riprendere la retta via, non solo per te stesso ma per tutti i veri teatranti.
Voglio confidare in Dio e credere che così sarà.
Per intanto, ringrazio la commissione selezionatrice del premio e tutti coloro che hanno voluto leggere in anteprima questo testo dandomi i loro consigli (in questo caso molto pochi per la verità perché devo dire che, caso unico, mi è venuto bene subito).

A proposito, voi vorrete sapere, giustamente, di cosa si tratta.
Ebbene, è una curiosa storia: si tratta di Enrico IV di Pirandello, 25 anni dopo la prima chiusura di sipario, che fu nel 1922. Siamo quindi nel 1947, fascismo finito, monarchia finita, guerra conclusa e Repubblica italiana neonata. Il povero "Enrico" però, che dopo l'omicidio del Barone Belcredi la famiglia ha deciso di segregare in quella villa quasi irraggiungibile tra i boschi e i monti dell'Umbria, di tutto quando accaduto in realtà sa poco, anzi quasi nulla. I venticinque anni, per lui, sono passati in solitudine e meditazione.
Nella nuova democrazia italiana, una troupe della radio va raccogliendo le strane storie degli anni bui appena superati. Giunge così fin dentro la villa per registrare la testimonianza di questo curioso signore. Egli racconterà la sua storia finalmente in maniera libera e ormai con la piena coscienza del suo dramma, delle sue colpe, degli errori che ha commesso; ma ha anche conservato la bellezza del pensiero, dell’ironia, del gioco, e un’identità che si era dissolta, frantumata nella tragedia, si ricompone nella volontà di essere sempre e comunque nella vita. 

Perché l'ho scritto? Perché amo profondamente Pirandello e perché mi dava quasi fastidio che le riscritture, in teatro, siano sempre dei personaggi della grande classicità. Ma proprio in quel "Dolce ala della giovinezza", Peppino Patroni Griffi ebbe a discutere con Lino Capolicchio, che aveva i suoi normali dubbi di attore rispetto alla costruzione del personaggio, e gli disse: "Caro Lino, voi attori siete convinti che i grandi personaggi siano solo quelli del passato, come Amleto o Edipo, e invece questi sono i nostri grandi personaggi della modernità, e magari tra duecento anni sarà questo l'Amleto di riferimento". Bene, io amo Enrico IV, è il personaggio che mi ha aperto le porte del teatro e della recitazione, e tante volte mi sono divertito a pensare: ma che accade dopo che si è chiuso il sipario? 
Perché allora parlare sempre delle Clitennestre o degli Amleti? Così ho cominciato a immaginare e poi a scrivere. Spero che un giorno ci sarà chi voglia raccontarci la sua visione di Blanche DuBois, o di Vladimiro e Estragone. Sarebbe divertente. 

A proposito, il titolo: "Enrico solo". 
Il 6 dicembre, in contemporanea con la premiazione, sarà pubblicato sulla rivista e sul portale della rivista www.sipario.it. Vi resterà per 12 mesi, e speriamo che non solo il mio testo ma anche altri dei premiati, trovino qualcuno che voglia metterli in scena.
Sarebbe un bel segnale per tutti noi teatranti. 

Ci vediamo a Milano. L'ingresso è libero.

E grazie ancora a Sipario. 
E a Patrizia.