mercoledì 12 dicembre 2018

Voglio sempre avere umana pietà

Lentamente si rimettono a posto i pezzi, e quello che un tempo ti pareva decisamente bianco o nero, oppure incomprensibile o credevi fosse perfettamente chiaro, la vita te lo mette sotto altra prospettiva. Sta solo a te decidere di non smettere di imparare o di metterti in discussione.
Grazie a Dio, il solo pregio che posso riconoscermi nella vita è quello di non avere mai avuto delle certezze assolute, e anche attraverso travagli o lunghe meditazioni mi è capitato sovente di cambiare idea. 

Sto conoscendo, invece, andando avanti con gli anni, alcuni che le loro idee di fondo non le hanno mai cambiate, e ora che il mondo palesemente si ribalta sotto i nostri occhi... ecco che rimangono spaesate. E soprattutto disperate. E questa disperazione per il toccare con mano il fallimento della loro ideologia li rende dannatamente aggressivi. Pensavi di avere di fronte un amico, hai di fronte uno che ti disprezza per il solo fatto di essere portatore del suo fallimento.
Voglio sempre avere umana pietà, comprensione e farmi carico di tutta la carità cristiana che posso. Non si tratta di perdonare, che è un atto alto al quale forse non sono ancora giunto, ma solo di comprendere e superare. 
Pazienteremo e attenderemo che anche questi amici oggi incattiviti, risolvano i loro problemi interiori. L'uomo è complesso, fatto di tante cose che chi può permettersi di giudicare e dire quali sono quelle giuste e quelle sbagliate? Ecco perché ringrazio Iddio di avermi sempre reso disponibile al cambiamento di idea, perché questo ha abbassato il mio livello di possibile cattiveria. Posso essere preso da ire, da raptus di rabbia talvolta anche incontrollata, ma da cattiveria credo di non essere mai stato preso. Ho anzi superato e perdonato e assorbito più di quanto io stesso potessi immaginare.
Di tutto questo sono profondamente contento. La vita mi ha ripagato in modi che solo io so, che se li raccontassi potrebbero sembrare sciocchi, e che dunque non racconterò perché quelle piccole cose per me sono importanti. Le tengo per me. 


Sì, lo capisco, a qualcuno dei miei ventisette lettori questo post parrà strano, e fondamentalmente incomprensibile.
Ma la vita è strana, e credo vada accolta per quel che è: una impalpabile miscela di stranezze, ci sono quelle che ti danno gioia e quelle che ti danno amarezze. 

Tutti preferiamo le gioie, ma nessuno può negare la presenza delle amarezze e il fatto che la loro esistenza aiuti a fare apprezzare le gioie.
Lo so, sto scivolando nelle banalità. Eppure abbiamo bisogno di banalità, abbiamo bisogno talvolta di ripeterci l'ovvio perché tendiamo a dimenticarlo e a volere sempre quello che è speciale, fuori dall'ordinario. Ma quando poi tutto è "fuori dall'ordinario" tutto torna ad essere ordinario, e allora un po' di banalità ci vogliono, per rimetterci con i piedi per terra.

Volevo raccontarvi di cosa avevo capito rivedendo il film sui Queen, di come ho mutato la visione... di tante cose. Volevo raccontarvi di come un amico può ferirci...
Ma facciamo così: sarà per un'altra volta, quando avrò scaricato la malinconia. Non mi piace scrivere sull'onda delle emozioni, in particolari sull'onda di quelle negative o quanto meno tristi: è roba che offusca il sentimento, rende sgradevole l'emozione.
Del mio amico sono certo che non vi importa, ma forse di come mi pare che sia cambiata la musica leggera a seguito di certi eventi (cosa che quando avevi venti o trent'anni non potevi comprendere perché ci eri dentro e ti mancava la visione d'insieme)... forse sì, forse vi interessa.
E per coerenza, lascerò qui queste poche righe ed eviterò anche la condivisione social.

PS - ho visto questo quadro, mi è piaciuto. 


domenica 2 dicembre 2018

WE ARE THE CHAMPIONS (Bohemian Rhapsody, un film tutto da amare)

Sono appena tornato dal cinema dove ho visto "Bohemian Rhapsody", il film su Freddie Mercury e i Queen. 
Non so nemmeno dirvi se sia bello o brutto, ma so di sicuro che è una emozione pazzesca, straordinaria, e questo è possibile che me lo faccia per sempre ricordare come un bellissimo film.
Ma che sia bello o brutto non ha quasi importanza.
Le cose che voglio dire sono altre, sono tutte quelle cui il film mi ha fatto pensare.
Come per ogni cosa ci sono in giro i detrattori, in casi come questi poi, di ricostruzioni bibliografiche, i puristi per cui il terzo pelo a sinistra della barba di Freddie era tagliato obliquo e non diritto saltano fuori come funghi.
Francamente, non ce ne frega niente: l'arte è reinvenzione al fine di creare emozione, altrimenti andate in una sala lettura di una biblioteca e... buon divertimento.

Nei giorni scorsi ho letto sui social post entusiasti di miei giovanissimi allievi, diciotto, venti, ventuno anni. Già in altre occasioni li ho visti carichi di passione per "cose dei nostri tempi", quando infatti Bohemian Rhapsody, il disco, usciva, io avevo poco meno di undici anni, e quando Mercury se n'è andato, nel 1991... beh, ne avevo tanti meno di adesso.
Osservo che sempre più spesso questi ragazzi postano o condividono canzoni di De André, o dei Beatles, o di De Gregori, oppure Rolling Stones o Pino Daniele, di David Bowie o Sting...
Mi pareva una cosa strana, e invece stasera, arrivando alla fine del film, quando vengono ricostruiti splendidamente quei venti minuti al grande concerto Live Aid del 1985, ho capito.

Il film è una pazzesca denuncia del totale fallimento della industria discografica mondiale.

Nel corsa pazza al profitto, si è totalmente uccisa la creatività, si è ucciso il valore della musica, la voglia di fare musica, di creare, di sperimentare, di proporre e rischiare, di durare nel tempo per la sola gioia di fare il lavoro che ci si è scelti: il musicista.
La terribile verità che ho visto emergere dal film è nella domanda:

dove sono i Freddie di oggi, i McCartney di oggi, i Pino Daniele o i De André?

E sia chiaro: non parlo di copie, ma di artisti che raccolgano sulle loro spalle le ansie e le gioie di questi nostri tempi, quelle dei nostri ragazzi di sedici o di venti anni e le sappiano raccontare, mettere in musica e in parole, in film e/o in racconti.
Vediamo gruppi che passano più veloci di meteore, cantanti di cui dopo un mese non sappiamo più i nomi, fenomeni da programmi televisivi che ci abboffano le orecchie di acuti e poi più nulla... vediamo solo fenomeni da baraccone. Presi, spremuti, buttati via.
Si sa che se scrivi un buon romanzo, poi la casa editrice ti fa un bel contratto per tre libri in tre anni. Ma un autore non è un juke box dove inserisci la monetina e viene fuori la musica. Ha bisogno dei suoi tempi, che talvolta possono essere sollecitati, a volte bisogna lasciare decantare.
Il risultato è che la creatività è morta, musica in giro non se ne sente più... e i nostri ragazzi impazziscono per artisti di un tempo in cui loro nemmeno erano nati, e si riconoscono in questi. Perché i nostri ragazzi non hanno più la fortuna che abbiamo avuto noi, di avere i loro cantori.

Ma non basta, ci sono tante altre cose nel film. Quella di Mercury è una storia forte di disperazione, amore, esaltazione, soddisfazioni e solitudine, di dissolutezza e ricerca ostinata della perfezione, di trasgressione forte come in quegli anni usava ed era forse anche un po' il clichè che gli artisti dovevano abbracciare. Ma erano anni forti, intensi, ribelli, dove c'erano i Live Aid, dove si vivevano emozioni collettive potenti, dove ti sentivi, nel bene o nel male, parte di "un popolo" emozionato e appassionato, con esperienze artistiche che ti restavano dentro e che oggi non so più dove i nostri ragazzi possano trovarle (e non penso solo alla musica, anche a teatro si correva a vedere delle cose eccezionali e/o folli, ma frutto di una passione palpabile).
L'ultima volta che sono andato a un concerto fu divertente. Sto parlando all'incirca del 2006, a Roma venivano i Depeche Mode. La mia fidanzata di allora prese i biglietti. Io saranno stati venti anni che non entravo in uno stadio se non che per una partita di calcio.
Mi ritrovai in una situazione surreale: ai lati del palco c'erano degli schermi enormi. Risultato, dopo un po' non guardavi più il palco ma gli schermi. Quindi ero venuto fino allo stadio... per guardare la televisione! Assurdo.
Inoltre, ai miei tempi quando ci piaceva una canzone, si dava fuoco all'accendino.
Lì ho visto centinaia di lucine di telefonini che stavano evidentemente facendo foto o filmati. C'era quindi una massa di persone che era venuta fino allo stadio, ma non seguiva nemmeno il concerto sui grandi televisori ai lati del palco, ma sul piccolissimo schermo del telefonino. E con tutto ciò, io devo pensare che sto seguendo un concerto dal vivo? Ma perché? E allora, se permettete, me ne vado alla Filarmonica, almeno è dal vivo sicuramente. Ai miei tempi si andava a sentire musica e non importava se il tuo artista amato era un puntino sul palco, perché tra te e lui non c'erano mediazioni di alcun genere, né visivo, né sonoro. Noi, mi spiace davvero tanto dirvelo, ragazzi miei, siamo stati maledettamente fortunati. E credetemi non vorrei dirvelo, vorrei che anche voi aveste le vostre fortune...

Guardatevi intorno: oggi le nostre vere star, quelle che ancora vanno in giro a riempire gli stadi, sono degli ultra cinquantenni, sono i Vasco Rossi, i Baglioni, Sprigsteen, i Rolling Stones (avete idea di quanti anni abbia Mick Jagger?)... non ci sono più momenti di grande aggregazione collettiva, non c'è rischio, non c'è ricerca... non c'è niente altro che il bussines, il consumo, il consumo veloce e a tutto spiano, con il risultato che la qualità è sparita dai radar.

E allora è chiaro che di fronte a una storia potente, sfrenata, appassionante come quella dei Queen e del suo leader Freddie Mercury, i nostri ragazzi si lasciano prendere da un meraviglioso entusiasmo.
E fanno bene!
Ecco, mi piacerebbe dire ai miei ragazzi: ribellatevi, o per lo meno non state al gioco, mettete in scacco chi vi vorrebbe solo consumatori, affinate il gusto, studiate, ascoltate... Non c'è bisogno di scendere in piazza per fare la rivoluzione, basta non fare quello che il potere subdolamente vorrebbe indurvi a fare. La storia di Mercury ve lo dice chiaro: ha fatto di tutto, anche troppo, per essere quello che voleva, a voi basterebbe almeno non fare quello che vi vogliono far fare.
E siatene orgogliosi, siate orgogliosi sempre di non essere omologati. 

Beh, non so se sia bello o brutto, ma a me è piaciuto tanto, e vi dico: andate a vedere Bohemian Rhapsody. Io ho cominciato a piangere durante il secondo tempo e continuato fino alla fine dei titoli di coda. 

E ora, se volete, godetevi con me questi venti minuti di puro sangue e sesso.



a proposito, io non ho mai amato i Queen quando ero giovane, li trovavo troppo commerciali, ma stasera... Grazie Freddie, grazie ovunque tu sia per ricordarci ancora che eravamo e siamo una generazione straordinaria: 

We are the champions 



(addendum del 9/12/2018: per accompagnare degli amici che volevano vedere il film in lingua originale sono stasera tornato a vederlo. Confermo in toto quanto già scritto, aggiungendo che:
- anche stavolta a fine film è scoppiato l'applauso
- ho ripianto come un vitello
- ancora una volta la gente non si è mossa dalle poltrone fino alla fine dell'ultimo titolo di coda per ascoltare l'ultima canzone
- gente che piangeva dovunque
- che una degli amici è una ragazzi di 22 anni ed era entusiasta, affascinata... appena a casa ha aperto wikipedia per leggere la biografia di Mercury

ma soprattutto: rivedendolo è stato ancora più chiaro quanto sterili siano la polemiche dei puristi, per il semplicissimo motivo che il più intrinseco pregio del film è che è stato costruito per tirare il più classico cazzotto nello stomaco allo spettatore, per suscitare una scossa, una emozione profonda, e ci sono perfettamente riusciti, dalla sceneggiatura, alla regia, agli attori, al montaggio... è come una torta in cui tutti gli ingredienti sono miscelati alla perfezione e il risultato è sublime. Queste cose non si ottengono con la storiografia e le filologie, ma sapendo usare l'arte, mettendo da parte qualsiasi intellettualismo e seguendo quella ben più articolata e profonda intelligenza dell'uomo che è banalmente identificata con l'istinto, costruire ascoltando la propria sensibilità: quello che sanno fare solo gli artisti. Per tutti gli altri c'è sempre la critica... )