mercoledì 14 ottobre 2015

PROSSEMICA IN TEATRO E PER GLI ATTORI - UNA RIFLESSIONE COLLETTIVA.

Oggi, in teatro, molti usano il termine "prossemica". 
Di cosa si tratti lo trovate qui, o anche qui
A mio parere la definizione del vocabolario già di per sé fa molto ben comprendere di cosa parliamo. Anche se vi ho lasciato il link, ve la riporto (Treccani): 
"Il termine inglese proxemics, derivato di proximity, "prossimità", è stato introdotto dall'antropologo americano E.T. Hall negli anni Sessanta del 20° secolo per indicare lo studio dello spazio umano e della distanza interpersonale nella loro natura di segno. La prossemica indaga il significato che viene assunto, nel comportamento sociale dell'uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi di carattere etnologico e psicosociologico. Nell'impostazione filosofica della fenomenologia, il riconoscimento dell'intenzionalità della coscienza conduce alla nozione di una spazialità umana non geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al di fuori del rapporto costitutivo con il mondo." 
Oggi, in teatro, molti usano il termine "prossemica", dicevo. Personalmente, la prima volta che lo sentii fu nei primi anni '80, da Vittorio Gassman, il quale, a distanza di tempo, ci mostra ancora una volta quanto fosse maledettamente avanti. 
Quella che voglio lasciare qui adesso, è una riflessione rivolta soprattutto ai miei colleghi attori, i quali, in realtà, da secoli mettono in pratica tale elemento della semiologia, della antropologia e della psicologia, occupandosi di rapporti tra corpi nello spazio tutte le volte che semplicemente "mettono su una scena". 
Ma la domanda diviene: nella vita reale si è studiato come si relazionano le persone nello spazio, se siamo intimi tendiamo a stare vicini, se il rapporto è formale intercorre una certa distanza, ecc. con tutte le variazioni dovute alle specifiche abitudini geografico-sociali; in teatro questo esercizio delle relazioni è finto e ricostruito, ed entrano  in gioco una serie di variabili sceniche che possono scavalcare o ribaltare i rapporti della vita reale, ampliandone o riducendone l'intensità. 
Sappiamo benissimo, ad esempio, che non necessariamente per recitare una scena d'amore i due attori dovranno essere vicini, potrebbero stare ai due lati del palcoscenico ponendo una grande distanza tra loro, eppure il pubblico capirebbe che si tratta di una scena amorosa. O due personaggi in una scena di rapporto formale essere posti molto vicini, e non perdere per questo la formalità che sempre il pubblico potrà chiaramente percepire. 
Mi e Vi chiedo dunque, essendo fortemente interessato alle vostre riflessioni: possiamo noi dire che in questo campo proprio della finzione, il teatro (e ricordiamo che "finto" non significa "falso"), la prossemica scavalca quasi se stessa, si amplifica, per divenire, oltre che relazione tra i corpi, anche relazione tra le voci, in modo che si possa, per noi attori, parlare anche di "prossemica vocale", e quindi, tanto per restare al nostro esempio, due innamorati posti lontano nello spazio risultano "intimi" pure per un determinato uso "intimo" della vocalità? 
E aprendo il teatro anche sulla possibilità, per lo spettatore, di "leggere l'interiorità", il pensiero del personaggio rappresentato, si può considerare come esistente anche una "prossemica del pensiero", pur se quest'ultima resta fondamentalmente legata al singolo personaggio e alla sua circoscritta interiorità? 
Non pongo in discussione gli studi fin qui fatti, che sono e restano importantissimi, e che tanto ci possono fare comprendere anche sulle diversità sociali in questa epoca di integrazioni volontarie o forzate; solo sto chiedendomi e chiedendo a voi, nella possibilità di una meditazione collettiva e ad alta voce: il Teatro, nella analisi di se stesso, l'Attore, nella analisi di se stesso, e nel continuo sviluppo di una metodologia del lavoro, possono e devono considerare anche questi aspetti? 
Io credo di sì, anche se questa idea è ancora una specie di nebulosa nel mio pensiero. 

Salvo poi sapere che gli attori continueranno a fare "tutto" e bene, pur nella più totale inconsapevolezza, come è giusto e sano che sia.     

1 commento:

  1. Proprio stasera dialogavo con un amico attore e regista il quale asseriva che il teatro senza tecnica è un teatro mutilato e che non si può dire di fare teatro se non si sa parlare di prossemica. La mia idea invece è molto vicina alla sua nebulosa e come diceva Eduardo il vero teatro non si fa con la tecnica ma con il cuore e la fantasia. Porto la mia vita nel teatro, le mie rughe, i miei silenzi parlanti, le mie paure, i miei entusiasmi, io e gli altri in una prossemica ogni volta da riinventare. Grazie

    RispondiElimina

dite pure quel che volete, siete solo pregati di evitare commenti inutili e volgarità.