venerdì 15 aprile 2016

L'INCONSCIO DEL TESTO

Se cercate sul dizionario la parola "Sottotesto" scoprirete che non c'è. 
Ho cercato su più vocabolari "cartacei" ed anche on line. Nulla!
Eppure, è forse la parola più usata in teatro. 

Il termine è spesso frainteso anche fra gli addetti ai lavori (teatrali). 
Molti, infatti, confondono il termine "sottotesto" con la più banale "parafrasi". 

Possiamo invece specificamente delineare il Sottotesto come tutto ciò che dal testo emerge, lievita per descriverci, delineare, disegnare, mostrarci l'effettivo sub-strato che lo sorregge e ne costituisce l'impalcatura, il modello portante, la struttura viva e pulsante che, seppure non rappresentabile, ne esplicita ragioni, valori, motivazioni. In altre parole, "il Senso". 

Una trama sottile e non lineare che salta da una parola all'altra, apparentemente in modo disordinato, che si nutre di rimandi e di disallineamenti, di allusioni e riodini, una pagina bianca costellata di puntini che una volta uniti mostrano una inaspettata figura proprio come nel gioco famoso della enigmistica. 

La lettura, dunque, non può essere storicistica, se non in minima parte, ed è tutta interna al testo. 
Esso vive in se stesso e per se stesso, e non ha bisogno di strumenti altri (se è un vero testo) per stare in piedi, in un dialogo sempre complesso ma rilevabile che viene ad instaurarsi quasi tra l'autore e il suo inconscio, spesso nella inconsapevolezza dello stesso autore, che non saprebbe dare spiegazione di tutte le immagini che ha sentito la necessità di porre sulla carta. 

Chi ha affrontato la psicoterapia sente delle vaghe somiglianze con la propria esperienza. E ha ragione. 
Poiché il processo di destrutturazione, e poi di ricostruzione, è nettamente simile a quello che il terapeuta compie sul e con il paziente, cogliendo egli, forte dei propri strumenti professionali, parole che appaiono insignificanti al paziente, passaggi minimi cui non si darebbe importanza, disegnando un quadro sistemico che il paziente ignora, essendovi dentro, e accompagnandolo alla presa di coscienza. Portare "l'inconscio" al "conscio".

In tal senso, invece della parola "Sottotesto", preferisco usare la definizione "Inconscio del Testo". 

Il Teatro, come tutta l'arte, è cosa, però, che "si fa" e non di cui "si parla". 
Quale sarà, dunque, l'aspetto interessante di tale procedimento? 
Per la parte registica certamente quella di comprendere ragioni che altrimenti resterebbero occulte e cercare così i motivi della propria costruzione scenica. 
Per l'attore fondamental-mente, quella della presa di coscienza del senso che è sotteso al testo, alla battuta, alla parola, alla espressione. 
Quasi mai sarà possibile restituire al pubblico il senso completo di ciò che si è compreso. Ma questo, anche se parrà strano, non ha alcuna importanza. Ciò che conta è che lo spettatore senta, sicura-mente, che la recitazione dell'attore e alla messa in scena del regista siano invase da una pienezza espressiva, che la parola che ascolta, il corpo che vede muoversi, siano colmi di un pensiero vivo, pur se non identificabile. 
Cercare di comunicare "l'inconscio del testo" può voler dire sconfinare nell' "intellettualismo". 
Intellettualismo e Teatro sono nemici. 

Ricordando Pirandello, "Sei personaggi in cerca d'autore": 
"Ma un fatto è come un sacco: vuoto non si regge. Perché si regga bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato".

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