martedì 12 aprile 2016

L'ILLUSIONE NEL CINEMA AMERICANO

"Ci avete fatto caso?". Il buon Aldo Fabrizi cominciava quasi sempre così i suoi monologhi di satira del tempo in cui faceva l'avanspettacolo in quella Roma della guerra.
Ebbene, facevo caso, negli ultimi tempi, che il cinema americano, quello di maggiore fruibilità, ha pesantemente intrapreso il percorso del "complottismo". Decine di film in cui protagonista non occulta è la CIA, o l'FBI, nei quali si dipanano misteriosi intrighi, si correlano pesantemente "poteri forti", influenza della finanza, guerra, vendita di armi, sangue sui diamanti, spaccio di droga a livelli planetari, senatori super corrotti, avvocati venduti, spie senza scrupoli e chi più ne ha più ne metta.
I riferimenti al quotidiano, al mondo che ci circonda e sovrasta sono frequenti quanto il sale nell'acqua per la pasta.
Rivedevo, qualche giorno fa quel bel film che si intitola "Network", per noi italiani "Quinto potere". Già lì si parlava, e siamo nel 1976, di arabi che si comprano mezza Inghilterra e centri nevralgici dell'economia statunitense. Da allora fino ai giorni nostri centinaia di pellicole che parlano e mostrano complotti su complotti.
Che il cinema americano abbia sempre avuto una vocazione complottista? Non credo.
Credo, invece, ci sia un altro problema e sopra tutto un altra finalità.



Arrivati ai nostri giorni, dove tanto apertamente si parla di complotti e complottisti, di strane trame e di interessi celati dietro una miriade di operazioni politiche e non, la gente sia ancora lì a guardare il cinema americano, eppure non riesca a... unire i puntini.
Ci si aspetterebbe che, viste tutte queste storie, qualche dubbio, nel mondo reale ci venga, che ogni tanto ci si chieda se magari per quel dato accadimento non ci sia una diversa spiegazione e non si possa ritrovare un interesse occulto. Eppure tantissime persone, fruitori abituali di quel cinema, non prendono in considerazione, nel quotidiano, certe possibilità. E se lo fanno, avviene con quell'aria di rassegnata sufficienza che già dice che è così e non c'è nulla da fare.
Da fare c'è sempre qualcosa.
Ma lasciando "il fare" per ora da parte, mi domando come questo sia possibile.

È possibile, a mio vedere, perché il cinema americano è sempre, costantemente, implacabilmente rassicurante. Voglio dire che: ti posso mostrare le cose più feroci, l'intrigo più perverso e assurdo, violento e schifoso, ma alla fine, fateci caso... la Giustizia trionfa sempre.
Il buono vince sempre, e se non vince, il cattivo, comunque, subisce una punizione. Che sia morte accidentale, arresto, sparizione, suicidio, che sia il pubblico ludibrio o anche il solo svergognamento in privato... la Giustizia arriva sempre.

Il dramma, l'ansia che ci può cogliere, la sfiducia o la speranza, sono sempre, alla fine, cancellati con un possente colpo di spugna, a volte equilibrato, a volte esagerato anche, ma sempre liberatorio.
Il "lieto fine", insomma, tipico della commedia, è stato rigirato e subdolamente innestato anche nel versante drammatico, rendendo - e qui è l'aspetto interessante - il cinema americano palesemente funzionale al sistema di quel Paese.


Ci pare, da qui, così bella l'Ammmerika, terra di libertà e di opportunità, di spazi ampi e respiro largo, la terra dove "chi vuole può". La cronaca ci racconta chiaramente che non è così.
Ma noi, paradossalmente, non crediamo alla cronaca, e crediamo ai film. Perché la cronaca colpisce la nostra intelligenza e/o i nostri sentimenti. Il film colpisce il nostro inconscio, lo scuote e lo risistema, lo spettina e ri-pettina.
E in fin di tutto, quello che ci resta è la sensazione di quieta, la sensazione che l'eroe non solo esiste, ma vince, e sopra tutto porta Giustizia.

Giustizia. Lo scrivo con la maiuscola appositamente. Perché la giustizia della realtà ci appare piccola e piena di falle, a volte ingiusta, spesso debole, incapace il più delle volte di soddisfare il nostro bisogno interiore.
Quella del film americano è una Giustizia, grande, implacabile, che arriva sempre puntuale e soddisfa ogni nostro bisogno, la nostra sete.

Noi siamo decisamente più disincantati, il nostro cinema, quello europeo intendo, racconta di amare verità spesso e volentieri, mostra finali irrisolti, porge amarezze, mostra la vita nel suo essere dura e acre.
Il mito americano, il mito di un popolo giovane, troppo giovane praticamente bambino rispetto a noi, anzi neonato, continua ad alimentarsi di lieti fini, e a propagandare il sogno americano. Le eccezioni sono talmente poche da mostrarsi irrilevanti. E il sogno, quando ci si cala nella realtà è palesemente un incubo.

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