venerdì 15 aprile 2016

GUERRE: FUGGIRE O ALLONTANARSI (e se fossero tutti migranti economici?)

Ieri mi sono fermato a chiacchierare con Egidio.
È proprietario, Egidio, un simpatico sessantenne, del piccolo supermercato di fronte la scuola dove sto lavorando. Ci vediamo praticamente tutti i giorni, assieme al figlio, la moglie, la figlia, e il rapporto è divenuto cordiale.
Così, capita che Egidio, o il figlio Tommaso, mi raccontino della difficoltà di gestione della loro attività e di tutti gli impicci burocratici che si frappongono tra loro e un sereno lavoro. Talvolta il discorso si allarga e si finisce, senza grandi pretese, alla macroeconomia (di cui Tommaso ho capito essere un vero appassionato), alla politica italiana o alla politica estera.

Ieri il discorso è caduto sui migranti, ed Egidio mi ha raccontato che suo nonno, durante la guerra, avendo anche una discreta posizione economica, prese la famiglia e la portò in Svizzera (dal Piemonte è un passo).
Il nonno tornò in Italia, in un primo momento solo per lavorare, poi per unirsi alla lotta partigiana.
Quando tutto fu finito, il nonno di Egidio andò in Svizzera, ariprese la famiglia e fecero tutti serenamente ritorno nel loro Paese. "Così si fa, secondo me - diceva Egidio - non che te ne vai e se la devono piangere gli altri, perché se tu te ne vai e altri non possono, vuol dire pure che tu puoi e altri no, e non è giusto".

Il ragionamento di Egidio era semplice e di buon senso, e con la semplicità e il buon senso, frutto di esperienze di vita, non si riesce a non essere d'accordo. Io, infatti, non lo sono (in disaccordo con lui), e il suo racconto pone tanti punti su cui dovremmo riflettere.

Per prima cosa la questione economica, che forse è determinante anche oggi per coloro che "fuggono" dalle guerre. Se infatti per quei terribili viaggi devi affrontare costi esorbitanti, è vero, come si dice, che vendi tutto, ma quel "tutto" lo devi pur avere. E chi ha pochissimo, chi non ha nulla, o chi anche vendendo non riuscirebbe a mettere insieme le cifre che servono, cosa può fare? È forse automaticamente discriminato perché povero e dovrà "schiattare" sotto le bombe?
Se la sig.a Merkel vuole solo i Siriani, perché già "alfabetizzati", un motivo abbiamo capito che c'era: quegli "alfabetizzati", infatti, abbiamo poi saputo essere per in maggioranza, ingegneri, avvocati... borghesi, insomma, che dunque oltre alla preparazione, avevano un minimo di possibilità monetaria per affrontare l'esodo. E un contadino, un operaio, uno spazzino? Dove sono rimasti costoro, dove sono, sono riusciti anche loro a fuggire? Può dunque esserci, in questo, un primo elemento tristemente classista. Come d'altronde - lo ammetteva lo stesso Egidio - era successo in Italia durante l'ultimo conflitto (fatto salvo quello che stiamo vivendo...), quando la Svizzera era la meta di coloro che potevano permetterselo. E anche di coloro che erano geograficamente ben posizionati. Difficilmente, è comprensibile, una famiglia di Bari o di Catanzaro poteva pensare di fuggire in Svizzera, problema, dunque, che si aggiungeva a problema. 

La mia opinione è che dalle guerre non si fugge, le guerre si combattono (anche noi, adesso, stiamo combattendo la nostra, sebbene in troppi non se ne rendano conto). E ci sono molti modi per combattere una guerra, non soltanto prendere un fucile in mano. Il primo punto è certamente l'opposizione ideologica, la non aderenza al regime. Combattevano i partigiani sui monti, ma anche coloro che facevano le staffette, ma pure coloro che in un qualche sperduto ufficio statale rallentavano l'iter di una pratica magari raccomandata da un gerarca... Ricordo un professore della Sapienza, un grande storico dell'arte, di cui, mi scuso, ora mi sfugge il nome, che raccontava che loro, giovanotti, per opposizione al fascismo avevano deciso di tacere tassativamente, anche tra loro, di qualsiasi conquista femminile avessero fatto. Nel regime "machista", quei ragazzi diciottenni, si opponevano così. 

Le guerre, dunque, si combattono, non se ne fugge. Se fuggi vuol dire solo che non ti importa della tua casa, della tua Patria, della tua terra, e per te un posto vale l'altro. Oggi abbandoni il tuo Paese, domani abbandonerai quello nuovo che ti ha accolto. Vogliamo dire che sei un apolide? Ma se sei apolide, oggi, sei il perfetto cittadino-consumatore desiderato dalla élite mondialista delle multinazionali, votato solo al "lavoro unico" sottopagato e schiavizzato, "consumo unico" globalizzato, "pensiero unico" senza confini. 
Se fuggi, dunque, non hai perso solo la guerra a "casa tua", ma quella in qualsiasi posto andrai perché non hai più nessun valore come cittadino. Ti sei donato come schiavo. 

Ma veniamo a noi e alla questione migranti. 
Li sentiamo dividere in "coloro che fuggono dalle guerre" e "migranti economici". Si tende a volere accogliere i primi e a pensare di respingere o selezionare o controllare i secondi. 
Solo che Egidio mi ha fatto riflettere. 

Ipotizziamo che tu non abbia il coraggio di combattere una guerra. Anche questa è cosa assolutamente lecita. Avere paura è un diritto sacrosanto dell'uomo. Soprattutto se hai moglie e figli e pensi di doverli proteggere. 
Ma la mia domanda è: nel momento in cui parti perché a casa tua c'è la guerra, pensi di tornare una volta che la guerra sia finita? 
Diciamo che la guerra dura sette anni. Io non voglio sapere cosa penserai alla fine dei sette anni. È possibile che tu, dopo un tempo così lungo, ti sia bene integrato, che i tuoi figli studino e abbiano un futuro sereno davanti a loro, e che tu abbia nel tempo deciso di rimanere. Questo, a mio vedere, è atteggiamento lecito e comprensibile, atteggiamento che io accolgo pienamente. 
Ma al momento di partire, cosa pensi? Parti pensando di tornare? 
Perché se parti pensando di tornare, non di "fuggire", ma di "allontanarti", come il nonno di Egidio, allora sei uno che fugge da una guerra; ma se pensi solo di spostarti, di trasferirti perché a casa tua c'è la guerra, allora, mi spiace dirtelo, sei un migrante economico come tutti gli altri. E i migranti economici sono "esercito di riserva del capitale", e come tali non possono condividere le mie stesse battaglie per i diritti sociali e per la democrazia. 

A noi, italiani o europei, la democrazia c'è costata lotte e sangue, i diritti ci sono costati lotte e sangue, se non pensi di lottare per democrazia e diritti a casa tua, potrai un domani pensare di lottare per democrazia e diritti nella tua nuova casa?
È quello che io chiamo "il tuo trasferimento", non "la tua fuga" a darmi la risposta, e allora non so se sono disposto a condividere con te la mia terra. Perché se, come adesso, si deve combattere per preservare diritti e democrazia, tu starai già dalla parte di un qualsiasi padrona che ti mette una elemosina in mano. 
Non sei mio compagno, sei concorrente nella spartizione della fame che il padrone cerca di imporci. 

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