lunedì 9 maggio 2016

9 MAGGIO 1978: ALDO MORO E LE 1950 LIRE

Per alcuni, fortunatamente non molti, oggi è la festa della Unione Europea. 
Per me, ed altri - chissà ancora quanti - oggi è una triste ricorrenza. 
Corre l'obbligo, innanzi tutto, di ricordare un giovane, Giuseppe Impastato, assassinato proprio in questa data, 9 maggio, dalla mafia, e il cui delitto rimase oscurato dal "fatto grosso". 
La morte di Impastato è, per certi aspetti, tristemente limpida: un ragazzo si è opposto alla violenza mafiosa, ne è rimasto vittima. Essa va ad assommarsi a quelle di tutti coloro che a quel sistema si sono resi avversi: un mesto esercito di anime pure cui mai memoria perenne riuscirà a rendere giustizia. A loro, nel loro coraggio e nella loro fede istituzionale, dobbiamo solo amore, a more perenne. 

Ma ci fu il "fatto grosso", quello di cui sembra si vada perdendo la memoria lentamente e inesorabilmente, ma che mai come in questo momento storico occorre tener vivo il ricordo e l'insegnamento. 
Il 9 maggio 1978, come quelli della mia generazione e della precedente sanno bene, fu assassinato il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. 
Non ci interessano i colori politici, sebbene io sia inguaribilmente democrisitano, e la mia storia politica si è fermata lì, come capii molti anni dopo. La sola cosa che ci interessa è l'uomo, la sua visione dello Stato, il suo sacrificio dal quale si deve ripartire per comprendere la Storia di questa nostra Repubblica. 

Non ho intenzione di proporvi uno studio o una analisi storica (non è la mia professione). 
Ci sono libri che chiariscono - anche se a volte paiono non essere capaci di unire i puntini, come "Il memoriale della Repubblica" di Gotor - e siti nei quali potrete trovare decine di interessanti informazioni, riflessioni e ricostruzioni - quelle maggiormente interessanti che ho trovato sono in Orizzonte48, blog del giudice Luciano Barra Caracciolo . A voi il compito di mettere insieme i pezzi, e i "perché" di quell'omicidio vi salteranno agli occhi quasi naturalmente. 

Per non dimenticare, ho scelto un breve pezzo da un libro che curiosamente non si trova nelle librerie e nemmeno su internet: "La nebulosa (del caso Moro)" a cura di Maria Fida Moro, figlia dello statista. 
Io ce l'ho. Perché casualmente - pare un assurdo - lo trovai in vendita in un bar di Imola. Sì, avete capito bene: sul banco del bar c'erano una serie di copie, ne comprai una. 





















È composto, il volume, da una serie di scritti di vari autori, da Flavia Amabile a Ferdinando Imposimato, Alma Daddario, Gigi Cavone, Silvia Fratini, Stefano Fratini, Nino Marazzita, Luigi Mascheroni e molti altri. 
Tra tutti, vi riporto fedelmente lo scritto proprio di Maria Fida Moro. L'evidenziazione di alcune parti con il grassetto è mia. 


Il tesoro del morto

Maria Fida Moro

Mio padre è stato spesso accusato – anche dopo la sua morte – di essere ricchissimo, in particolare da coloro che sembrano aver dimenticato che non è necessario uccidere chi si può comprare. Anzi se qualcuno volesse indicarci dove recuperare i suoi beni farebbe cosa gradita, ma, vistono che non esistono, sarà un po’ difficile.

Nelle tasche del vestito, che indossava al momento della sua uccisione, sono state rinvenute 1950 lire in monete da 100, da 200 e da 50. Questo sarebbe dunque il tesoro del morto! Ma al di là dell’ironia, c’è da annotare che mio padre aveva l’orrore del denaro in senso metaforico per quello che esprimeva e in senso fisico perché lo considerava sudicio, sporco. Ragion per cui teneva le monete nel borsellino e il borsellino nella borsa. Mai e poi mai mio padre avrebbe volontariamente tenuto delle monete in tasca. Quindi quelle 1950 lire hanno un significato ermetico e/o fantascientifico. Se qualcuno gliele avesse consegnate perché potesse telefonare una volta libero? Si tratta di un’ipotesi dell’irrealtà o di una immagine filmica? Ma non si può escludere a priori, e questo spiegherebbe un particolare altrimenti privo di senso. Inoltre, 1950 lire sembrano proprio una beffa, meno di un euro attuale, troppo poco per un cosidetto miliardario. E non è tutto. Alcuni degli effetti personali di papà, che si trovano in una delle famose borse trafugate a Via Fani il 16 marzo del ’78, sono stati ritrovati in un borsello insieme al corpo nel portabagagli della famosa Renault rossa il 9 maggio. Cito a memoria: fede, catenina, penna, orologio, portafoglio, portamonete. La mamma ha indossato la fede e ha messo tutto il resto in un cassettino nascosto (tipico dei mobili antichi) in una chiffonière che si trovava a destra entrando nella camera dei miei genitori. Il 13 novembre del ’78 un “ladro” si è introdotto in casa nostra, arrampicandosi lungo i balconi, le grondaie, i supporti dei rampicanti, da una finestra del terzo piano. Poi, passanto dalla scala interna, è salito al quarto piano, ha percorso indisturbato tutto il corridoio, è andato fino all’ultima stanza, quella dei miei genitori appunto, ha aperto al ribalta del mobile giusto, quindi il cassettino segreto e si è portato via tutto o meglio tutti gli effetti personali di papà. Ha lasciato però una busta contenente un milione di lire. Si è salvata solo la fede che la mamma portava al dito insieme alla propria. Poi ha preso tranquillamente l’ascensore, è uscito dalla porta principale dell’androne, è passato davanti alla guardiola della vigilanza dalla quale un poliziotto, insospettito, gli ha sparato dietro mancandolo. Da annotare il fatto che, in quel momento, eravamo in casa almeno in una decina, mentre il ladro agiva indisturbato e, come nelle commedie di Goldoni, ci siamo sfiorati senza mai incontrarci. Se avessimo provato quella scena diecimila volte non ci saremmo mai riusciti. Rimane la domanda “perché?”. Forse qualcuno pensava che potessero essere “segnati” in qualche modo e contenere di conseguenza delle indicazioni? Non era più semplice non restituirli? Oppure qualcuno li ha restituiti e qualcun altro se li è presi? Forse non lo sapremo mai. Mi dispiace doppiamente perché la mamma voleva dare quelle cose o parte di quelle cose a Luca, invece sono scomparse proprio come quando ero bambina sparì misteriosamente il Gesù Bambino del presepio. Questa notazione di carattere natalizio forse stona con il caso Moro, che ha cancellato per sempre la gioia del Natale dalla lavagna della mia vita.   

Lancio imprudentemente una ipotesi, e ve la lancio in un linkOsservate le date, osservate i numeri. 
Se volete dire che sono complottista, fate pure. 

E c'è un secondo elemento che profondamente mi scuote: sappiamo che nelle sue lettere, Moro insisteva, richiamava, parlava spesso di suo nipote Luca, il nipotino di due anni: "sarebbe per me una tragedia morire abbandonandolo", "La mia pena è Luca. Lo amo e lo temo senza di me. Sarà il dolore più grande."
Vi ho riportato un solo passaggio, ma questi richiami a Luca, così intensi così insistenti, mi hanno sempre stupito. 
Nel senso che il piccolo Luca, per quanto un nonno lo possa amare (cosa più che naturale), aveva comunque i suoi genitori. Sarebbe drammaticamente cresciuto senza il nonno, ma certo non "abbandonato". 

Trent'anni sono passati, in quel momento, dalla costituzione della nostra Repubblica. E cosa sono trent'anni di fronte alla Storia? Nulla, poco, pochissimo... forse sì e no un paio di anni, forse niente di più di un bambino di due anni con tutta la vita davanti. 

Nella sue lettere si legge ancora: "Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?". 
Comprensibile, visti certi suoi dissapori con l'amministrazione americana, il richiamo agli USA. Ma, mi chiedo, cosa c'entra la Germania?
E ancora, in quegli stessi giorni tragici, in un articolo per l'Unità del 19 marzo (dunque solo tre giorni dopo il rapimento), Enrico Berlinguer scrive: "Viviamo giorni gravi per la nostra democrazia, abbiamo parlato di pericolo per la Repubblica. È un giudizio politico che parte dalla consapevolezza delle forze potenti, interne e internazionali, che muovono le fila di questo attacco spietato contro lo Stato e le libertà repubblicane". 

Da semplice cittadino che si occupa delle cose della sua Nazione, la sensazione netta è che "Luca", oltre che l'amato nipote, sia, nell'inconscio del "prigioniero", il riflesso, il simbolo, l'immagine di quella fragile democrazia, di quella piccola Repubblica che il popolo italiano, attraverso alcuni suoi uomini coraggiosi e migliori, andava costruendo. Moro pare sapere che, morto lui, tutto crollerà, che la deriva del Paese sarà lenta ma inevitabile. 
Abbiamo perso la guerra, siamo una colonia, ci vengono imposte delle direttrici su cui camminare. 
Il caso Moro fu non di portata nazionale, ma mondiale, quasi un esempio da dare al mondo di come sarebbe andata a finire per chi si fosse opposto, sia pure con l'arguzia, la pazienza, la capacità di districarsi tra una situazione e l'altra che era proprio del solo statista (oltre De Gasperi) che la nostra Repubblica abbia avuto, di come sarebbe andata a finire per chi si opponeva al progetto del vincitore. 

"Luca" siamo noi, "Luca" è la nostra giovane Repubblica. 
Da lì in poi tutto è lentamente, ma costantemente precipitato, in un modo che, come il libro di Gotor chiaramente illustra, Aldo Moro aveva ampiamente previsto. 

Abbiamo perso "il padre", siamo nelle mani "del patrigno". 
Forse il TTIP comincia da molto lontano. Ce lo dirà a Storia. 
Per ora, io non dimentico e faccio ipotesi, collego fatti, in attesa che la scienza della Storia mi dia sicure risposte. 

Spero che tu riposi in pace, Presidente, ma temo non sia così... la mia preghiera per te, la tua, per favore, per "il piccolo Luca". 

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