lunedì 17 ottobre 2016

FORMAZIONE PROFESSIONALE: SE AI GIOVANI MANCA UN PEZZO.

Chiacchieravo giorni fa con un amico musicista, diplomato in Composizione, in Canto, M° di coro, insomma uno serio, mica un improvvisato, come oggi ce ne sono, che conoscono quattro note e fanno musica col programma del computer. 
A un certo punto, la discussione è caduta su quella categoria ossessivamente presente nelle nostre vite, pure quando quella categoria eravamo noi stessi: "i giovani". 
Tra lo ieri e l'oggi, in verità, una differenza la notavamo, e la notavamo nella loro attuale incapacità di affrontare sfide e problemi del lavoro che loro stessi si sono scelti. 
Oltre ad una certa diffusa pigrizia, cui spesso fa da contraltare una certa diffusa iperattività, osservavamo la costante mancanza di strumenti adeguati per affrontare e risolvere (o cercare di risolvere) le questioni pratiche che un percorso lavorativo ti può proporre; ma non quelle eccezionali, attenzione, quelle semplicemente quotidiane. 
Eppure, i soggetti di cui ragionavamo sono persone che hanno studiato; cosa manca, dunque, loro? 
Al che è nata una domanda: le persone che hanno studiato sono "preparate"?

Lungi da noi il volerci interrogare, davanti a un risotto e un bicchiere di vino, con metodologie sociologiche, antropologiche, scientifiche, filosofiche e/o politiche. Anzi, è molto probabile, visto che eravamo in un bar, che le nostre siano molto state chiacchiere da bar. Che facevano anche un po' vecchietti, del genere "ai miei tempi". 
È decisamente curiosa questa tendenza dell'uomo a rimarcare la differenza tra l'oggi e lo ieri: quando ero un giovane appena diplomato all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "S. D'Amico" in Roma (l'unica!), sentivo gli attori più anziani dire: "Eh, ma ai miei tempi, l'accademia era un'altra cosa...", e pensavo che io mai sarei caduto in questa inutile litania, invece poi è successo... anche io ho cominciato a dire "ai miei tempi... i nostri insegnanti erano un'alta cosa... l'organizzazione di allora era fatta meglio...". 
Non so se con queste frasi vogliamo affermare all'altro che anche noi siamo stati giovani, o mettere una distanza tra noi e loro che ponga il rispetto che devono all'anzianità e alla professione acquisita e praticata, o lasciarci piacevolmente velare dalla malinconia. Fatto sta che una riflessione questo curioso meccanismo in cui vedo che tutti prima o poi cadiamo, ha bisogno di una riflessione... 

Comunque sia, la nostra chiacchiera da bar qualcosa di buono, una ipotesi fondata credo l'abbia prodotta. 
I nostri giovani... saltano un passaggio! 
Quale sia il motivo per cui ciò accade sarà oggetto del nostro prossimo risotto, intatto il dato rilevato è che un tempo si studiava, poi si apprendeva "il mestiere", quindi si avevano tutti gli strumenti o per essere un affidabile professionista o addirittura per lanciarsi in una esperienza creativa propria. 
Perché quello che ci era chiaro e che chiaramente ci veniva insegnato è che lo studio non basta a fare la professione. 
Oggi, per fare un esempio, molti giovani che escono da Scienze della Comunicazione, sono certi di essere giornalisti. Ma non hanno mai visto una redazione, non conoscono il baillame quotidiano del lavoro, l'accendersi improvviso di un problema cui velocemente bisogna dare risoluzione, ecc. 
Oppure escono da una scuola di teatro, o di musica, e si lanciano nel fare "il loro gruppo", ma mancano di tutta una serie di informazioni e/o esperienze su quello che può essere un aspetto produttivo, organizzativo, su come gestire un gruppo, sulle problematiche sindacali piuttosto che sulle relazioni con... la gestione trasporti scene, per esempio. 

Quello che oggi accade (e prometto che davvero indagheremo sui perché) è che il secondo passaggio si scavalca, viene a pie' pari saltato, ingolfando il mercato del lavoro di professionisti senza professione, di persone che hanno certamente dimestichezza con la materia, ma che non conoscono la quotidiana pratica del mestiere poiché, semplicemente, non l'hanno appresa dai più anziani. Con una aggravante: entrati con questa mancanza nel mondo del lavoro, qualora si ritrovino davanti un anziano che cerca di fargli capire o segnalargli che hanno una "gamba più corta", essi si risentono, si offendono, si rivoltano in malo modo come se tu anziano avessi commesso un delitto di lesa maestà! 

La nuova riforma del Teatro prodotta dal Ministero a guida Franceschini, incentiva, ad esempio, i gruppi formati da giovani. A parte che sua Eccellenza il Ministro dovrebbe spiegarci come si sceglie la soglia discriminante tra gioventù e vecchiaia, per cui a trenta anni sono giovane, a trenta e un giorno sono anziano, e questo indipendentemente da se ho cominciato a fare l'attore a diciotto o a ventinove anni e undici mesi, se i compagni che con me costituiscono la compagnia sono miei coetanei o se io sono l'unico maggiorenne, se tutti gli altri hanno formazione e io no, ecc. ecc. ecc. A parte tutto questo e molto altro ancora, sua Eccellenza il Ministro dovrebbe forse comprendere che certe professioni non prevedono il concetto di start-up, che sono storicamente fatte in altro modo, che creando una discriminazione legata all'anagrafe si sono creati, solo negli ultimi mesi, gruppi di giovani super scritturati e gruppi di quarantenni/cinquantenni super disoccupati... 
Forse ci vorranno altri risotti per sviscerare anche questi aspetti, ma la mia netta impressione è che ci sia una volontà precisa di creare fratture culturali che certamente devono portare benefici a qualcuno o a qualcosa, magari un progetto distruttivo di una cultura nazionale da sostituire con una cultura generalista-mondialista allineata al pensiero unico globale. 

In conclusione - e scusate le divagazioni - io e il mio amico musicista abbiamo stabilito che uno dei seri problemi del nostro tempi e delle nostre professioni è che i giovani saltano un pezzo, saltano il secondo gradino, e questo non va bene e non potrà andar bene. Perché l'impoverimento professionale porterà sicuramente a un impoverimento della qualità e quindi della diffusione di idee che il lavoro può produrre; porterà a un impoverimento della forma, o a vantaggio di una sostanza che non ha senso, o a vantaggio di un concetto inconcludente e inconsistente di forma, generico e supportato sempre di più dal "lo famo strano". 
Accostate a ciò il fatto che la perdita di professionalità porterà automaticamente a una perdita di dignità della professione, poiché se passa il concetto che non devi apprendere sul campo, e dunque sulla tua pelle, il mestiere, ma ti basta la frequentazione di libri (o magari video), chiunque abbia accesso a un libro potrà dirsi tuo pari. 

Ero giovane, e stavo appresso ai vecchi per imparare, per sapere, per sentire raccontare storie, per conoscere la Storia e per guardare negli occhi coloro che l'avevano vissuta; non lo so come andrà domani il mondo, anche se sono certo che prima o poi tutti avranno la necessità di un sostanzioso passo indietro; l'unica cosa che so per certo, e perdonate l'orgoglio e la presunzione, è che so che ho fatto bene.    

1 commento:

  1. Tutto peggiorerà e di brutto. Ma è delizioso vedere gli sprovveduti impiccarsi con le loro manine, un po' come quelle pecore sceme che si impigliano in un fil di ferro e più si agitano, più si strangolano. Impagabile.

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