Se non ricordo male, Renzi era stato eletto da poco segretario del partito e già alcune sue proposte mi facevano rabbrividire.
Passato tutto questo tempo siamo a una sorta di redder ationem all'incontrario: tutto quello che si era supposto si sta proponendo e coloro che non avevano visto, che fingevano di non vedere, o che pur vedendo fingevano di non vedere, gli viene posto implacabilmente sotto il naso e devono, dunque, devono fare il conto finale, conto che, è evidente da una serie di dichiarazioni, avrebbero voluto evitare. Non costoro hanno atteso che il potere si trovasse di fronte le proprie responsabilità, ma è il potere ad averli costretti a una difficile scelta.
L'idea nemmeno tanto sottesa al pensiero renziano è quella che venne definita come "il sindaco d'Italia". Bene! Per me la legge sulla elezione del sindaco era e resta la madre di tutti i disastri, pensiero condiviso da pochissimi, talmente pochi da risultare praticamente ininfluenti.
E allora provo a rispiegarlo semplicemente riprendendo quelle parole di più di un anno fa e sperando che qualcuno, almeno uno, apra gli occhi e comprenda.
L'articolo completo è qui.
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Buona lettura.
"L’ultima proposta del nuovo segretario del partito di maggioranza relativa è la più inquietante. E siccome il main-stream continua a parlarcene come la risoluzione di ogni male sarà forse necessario aprire una seria, serissima riflessione con conseguente dibattito su di essa: portare il modello elezione del sindaco a livello nazionale, il cosidetto “Sindaco d’Italia”.
La
questione è realmente inquietante e merita un ragionamento articolato – mi
perdonerete – la cui necessità spero si diffonda come una epidemia negli anni
più bui del Medioevo.
Aprite
un qualsiasi quotidiano, una qualsiasi trasmissione tv e sentirete ripetere,
peggio dei pappagalli, che la sola cosa buona fatta dalla politica in questi
ultimi venti anni è la legge per l’elezione del sindaco.
Ma
ne siamo proprio sicuri?
Dal
punto di vista democratico è una legge che a me pare uno scempio. Si può, a conti
fatti, essere eletti sindaci con il 25%, ma anche meno, degli aventi diritto al
voto e prendersi in consiglio comunale il 60% dei seggi. L’opposizione
praticamente non ha margini di manovra, se non quello di urlare ogni giorno in
attesa di nuova elezioni. Ma come se non bastasse, anche la possibile
opposizione/dissenso interno viene a morire: tutto è nelle mani di un solo
uomo, che fa e disfa a suo piacimento, e nel caso “malaugurato” che un
assessore in disaccordo si dimetta, la giunta non va in crisi. Basta
semplicemente che il primo cittadino decida, metta una firma e nomini magari
sua sorella al posto del dissidente. Vi pare democrazia?
Questo
a livello ideologico, ma ci sono poi i fatti pratici. Abbiamo certamente
dimenticato che Catania, veramente sull’orlo del baratro, fu salvata dal
Governo centrale, che a Parma in una sola legislatura è stato prodotto un
debito di quasi un miliardo di euro, che Roma ha un bilancio che è una voragine
e non per colpa di un sindaco solo, che il debito di Salerno è superiore a
quello di Detriot e non ostante ciò il mitico De Luca continua a proporre nuovi
obbrobri urbanistici, per non dire della fine che ha fatto il mare (città di
mare dove si voleva costruire un parco marino finto, ricordiamocelo). Cosa è
accaduto a Genova quando il Comune ha prospettato la vendita dei trasporti
pubblici ai privati? Quelli di Firenze sono già passati di mano e per far cassa
il comune vi impone di pagare pure per entrare nelle chiese (€ 6,00 per Santa
Croce). Provate a chiedere a un torinese quanto paga per l’immondizia. Qualcuno
ha capito come funziona il sistema dei varchi per il centro a Milano? E il
nuovo ponte vicino alla Stazione Santa Lucia a Venezia dove rischiate le
caviglie ad ogni passo? Chi ha dimenticato gli sgomberi di Bologna? Come sta
Alessandria?
Apriamo
il gioco: ognuno ci aggiunga tutto ciò che gli viene in mente.
Resistono
i piccoli comuni, forse perché deve essere più facile “raggiungere fisicamente”
gli amministratori locali.
Si
parlò di grande “stagione dei sindaci”, ma cosa c’era, realmente, dietro.
Sicuramente il nostro stupore di cittadini nel vedere realizzate rapida-mente, cose
di cui magari la politica parlava da anni. La maggior parte, poi scoprimmo,
erano progetti tenuti nel cassetto.
Il
decisionismo dell’ “uomo solo al comando” sembrò farci respirare (ventennio –
uomo solo, come era possibile respirare?…). Ma già ai secondi mandati
cominciarono le delusioni, segno di una scarsissima visione politica, che è
sempre visione sul futuro a lungo termine. Svuotati i cassetti, finiti i
sindaci.
È
vero, una volta la faceva da padrone “l’immobilismo”. Ma anche in quegli anni
che oggi la propaganda di regime vuole a tutti i costi farci considerare bui,
si “facevano le cose”, forse più lentamente perché una giunta era sempre
ostaggio del partitino di turno, ma si facevano. Difatti non siamo rimasti
all’età della pietra, e potrete facilmente osservare che i Comuni che
funzionavano ieri, funzionano oggi (forse perché ancora vivono di quel fieno
messo allora nelle cascine), gli altri, i brutti e cattivi, tali erano e tali
sono rimasti.
Era
vero immobilismo? Sentivate mai parlare, nei “secoli bui” di Comune a rischio
default? Già solo questo dovrebbe spingerci a riflettere visto che alla fine
pagano sempre i cittadini.
E
già, perché, un altro leitmotiv di questo ventennio è che scegli uno, poi se
non ti ha soddisfatto non lo voti più e scegli un altro. Peccato che nel
frattempo quel primo abbia avuto la possibilità, indisturbato, di creare una
voragine nei bilanci, che poi dovrà essere comunque riempita dalla collettività,
senza che nessuno gliene chieda conto. Forse, affianco alla responsabilità
civile dei magistrati bisognerebbe introdurre quella dei pubblici
amministratori: hai fatto “il buco”?, ci metti il 10% di tasca tua. Ma questa
politica arriverà mai a una tale proposta?
La
proposta è invece quella di ampliare questo scempio alla Nazione.
E
qui è necessario chiedersi il perché.
La
parola tormentone è “stabilità”. Lo è stata fin da quando la legge per i
sindaci venne proposta. L’intento pareva sano, i risultati li sappiamo. L’inno
alla “stabilità” è la colonna sonora dei nostri anni. Ma cosa nasconde?
A
mio vedere, l’incapacità dei politici di essere tali e di “fare politica”. Se
ci riflettiamo la politica è una sorta di “filosofia applicata”, una conduzione
delle cose concrete, della vita di tutti i giorni, considerando le questioni su
di una visione a lungo termine, il tutto sulla base di una ideologia portante
che ne determina la qualità o il tipo di scelte. Questa visione contemporanea
tra breve e lungo termine deve prevedere la “gestione della complessità”,
complessità dalla quale non si può prescindere perché la società è
complessa, ancor più quella di un Paese la cui storia è caratterizzata dalla
riunione di migliaia di storici campanili.
La
coscienza di tale compessità contempla un ulteriore elemento: la consapevoleza
che nel momento in cui hai risolto o sei sul punto di risolvere un problema
ecco sorgerne subito un altro. Poiché essa, la complessità, è in continuo
divenire.
E
questa gestione comprende contemporaneamente l’azione e la riflessione, il cui
punto di contatto politico diviene, quasi sorprendentemente, la mediazione, o per
meglio dire un altro elemento che la propaganda ha denotato solo come brutto,
sporco e cattivo: il compromesso. Cioè, la ricerca del punto di incontro.
Questa
pratica richiede fatica, costanza, pazienza, tempi certamente lunghi, ma lunghi
ed efficaci possono essere i risultati perché frutto sì dell’azione ma anche
della riflessione che in un tal tipo di esercizio politico si produce quasi in
maniera endogena.
Porto
ad esempio Salerno, la mia città: non era quella di Alfonso Menna (dal ’56 al
’70) un epoca in cui “si facevano le cose”? Se questo Primo Cittadino è rimasto
nella memoria dei salernitani, un motivo ci dovrà pur essere visto che la
“efficace e meravigliosa” legge dei sindaci non c’era.
Negli
ultimi trent’anni, invece, la politica ha deciso di modificare il proprio
linguaggio, senza considerare (o forse malevolmente sapendolo) che cambiando
quello avrebbe anche mutato anche il suo corpo. Si è adagiata nelle spire
mortali della comunicazione pubblicitaria, in particolare di quelle della
televisione, ha velocizzato e sintetizzato il suo linguaggio, e velocizzandolo e
sintetizzandolo lo ha svuotato di significato. Lo slogan sui manifesti, il
titolo sul giornale, la frase a effetto, fino al twitt, sono diventati la
politica!
Per
superare la vecchia politica, e ritrovare un nuovo abito in cui mascherarsi si
è scelta la via della “semplicità”, del parlare come parlano i cittadini, si è
scelto di abbandonare il “politichese” per indicare una nuova frontiera, che
altro non era che un trompe l'oeil, poiché “semplice” è il frutto di un
percorso, di una sintesi, non il frutto di “facile”. Nella confusione tra
questi due termini, semplice/facile, si è creata la mostruosa modificazione del
“corpo”.
Il
nuovo sistema comunicativo ha abbracciato mortalmente anche gli elettori, la
cui soglia di attenzione ad un ragionamento è scesa vertiginosamente dai ben
noti venti minuti a poche decine di secondi. Il “corpo” elettorale decide e
sceglie ormai in base alla simpatia, a uno slogan, a una camicia bianca o
azzurra, a una immagine televisiva.
Spegnendo
l’articolazione del discorso e la capacità di ascolto si è spenta anche la
capacità di ragionamento. E spegnendo il ragionamento si è spenta la capacità
di gestire la complessità.
La
politica è rimasta vittima di se stessa, il suo corpo è divenuto esile, debole,
incapace di accogliere “i colpi della avversa fortuna”, refrattario alla
pazienza, alla mediazione, all’ascolto, alla mediazione, al compromesso, e
sente tutto ciò che si intromette sul suo percorso come una camicia di forza da
cui liberarsi.
Perse
le forti braccia che le consentivano di pilotare la nave, ecco che la soluzione
diviene… la “favola” della sta-bi-li-tà, prendere il 60% della rappresentanza
democratica, con un 25% di voti sugli aventi diritto. Attivare, per il corpo
fragile, la regola del decisionismo senza mediazioni, senza ascolto, senza
compromessi. Mani libere.
La dittatura è già
dentro ognuno di noi."
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