La gran parte
della didattica teatrale italiana vive su un clamoroso equivoco: far passare
per “scientifici” termini che non lo sono. Soprattutto quella didattica che
“chiede soldi”, e il cui risultato principale è quello di creare mandrie di
poveri illusi che non avranno mai un vero futuro teatrale, forse lo avranno nel
rutilante mondo dello spettacolo, un futuro spesso breve, ma certamente no nel
mondo del teatro.
Energia,
psicologia del personaggio, calarsi nel personaggio, immedesimazione... sono
solo alcuni di quei termini. E, caso singolare, la stragrande maggioranza degli
stupratori di terminologia, citano sempre, costantemente, e constantemente a
sproposito Konstantin S. Stanislavskji.
Stanislavskji è
stato sicuramente un immenso Maestro, ciò di cui non sono sicuro è che sia stato
il più grande. La sua fama è tutta, ma proprio tutta meritata. C’è però da
chiedersi se, come Freud con la psicanalisi, se un pezzettino almeno di questa
fama non sia da attribuire al fatto che egli sia stato il primo. Cioè il primo
che abbia preso carta e penna e abbia cercato di metodologizzare, di dare un
ordine, di tirare fuori dalle secche della semplice e diretta comunicazione
pratica il mestiere dell’attore per dargli una forma ampiamente e pienamente
professionale.
Teorie, metodo,
idee, approccio, ecc. del Russo sono certamente interessanti e imporanti, ma
credo proprio che gran parte della sua gloria – come appunto nel caso di Freud
– gli vada riconosciuta per il fatto di avere messo il primo punto fermo, e
tutti, ma proprio tutti, dopo di lui, non hanno potuto prescindere dal
raffrontarsi con il suo lavoro.
Ebbene,
K. Stanislavskji, nella Introduzione al suo “Il lavoro dell’attore su se
stesso”, a chiare lettere scrive:
“Il mio libro
non ha pretese scientifiche. Il mio scopo è esclusivamente pratico. Voglio
insegnare agli attori principianti un corretto approccio all’arte […]La terminologia a cui ricorro non è stata
inventata da me ma nasce dalla pratica stessa, viene dagli stessi attori
esordienti. Sono loro che, nella fase stessa del lavoro, hanno definito
verbalmente le loro emozioni creative. La loro è una terminologia preziosa, in
quanto comprensibile e chiara a tutti gli attori principianti.
Non sforzatevi
di trovare delle basi scientifiche, il nostro è un lessico teatrale, un modo di
parlare da attori suggerito dalla vita stessa. È vero che noi ricorriamo a termini scientifici quali “inconscio” e
“intuizione” ma non le usiamo in senso filosofico, quanto piuttosto nel loro
valore più semplice e diffuso. Non
è colpa nostra se il nostro campo creativo è stato trascurato dalla scienza e
se ci mancano termini appropriati per descrivere in pratica il nostro lavoro
creativo. Per superare l’ostacolo siamo ricorsi a strumenti nostri, come dire,
fatti in casa”
Mi pare
abbastanza chiaro e non c’è molto altro da aggiungere. Solo, non vi dico “diffidate!”,
ma guardate con un minimo di distacco critico coloro che vi descrivono il
lavoro dell’Attore come una sorta di scienza e cercano di convincervi che basta
seguire un preciso metodo e tutti, ma proprio tutti potranno diventare Attori.
Spesso lo fanno
nel nome di Stanislavskji, spessissimo lo fanno mentre gli state elargendo una
cospicua retta mensile.
Sappiate che Konstantin
non avrebbe approvato.
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