domenica 12 gennaio 2020

TORNARE INDIETRO! (SE AMATE IL TEATRO, BUTTATE NEL CESSO I LIBRI)

Qualche sera fa sono stato a teatro a vedere uno spettacolo che non vi dirò. Anche perché non ne vale la pena: oramai sono tutti uguali, sciapiti, insignificanti.
All’inizio della mia carriera c’era un importante organizzatore teatrale che guardavo da lontano per motivi di timidezza, io ultimo arrivato, ma gli sentivo ripetere, per dire che uno spettacolo non riusciva a colpire lo spettatore, che non era in qualche modo compiuto: “Non c’è coito, non c’è coito!”. Ecco, gli spettacoli degli ultimi anni paiono essere affetti da profonda prostatite. E per dirvela tutta, all’Opera è lo stesso. La stessa noia!
Il motivo di questo diffuso torpore? È presto detto: la crisi economica.
Ma i soldi, da soli, sparsi a pioggia come un tempo, basterebbero a rivitalizzare un teatro comatoso?
No. Perché la crisi è figlia e madre di quello stesso problema che ci ha lentamente succhiato il sangue fino alla attuale destabilizzazione. La crisi è di idee, di filosofia, di un modo di intendere il teatro, di intendere lo spettacolo (non sono la stessa cosa!), con un criterio che oggi, dopo almeno 40 anni di propaganda culturale, sta mostrando tutti i suoi limiti. Se l’economia è nella merda è perché la filosofia che ha condotto la politica era merda! Spero che così vi sia chiaro. E la Cultura, nelle sue varie espressione artistiche, è stato veicolo di questa merda. E se ora si ritrova nella merda è solo colpa di quella merda che voi non avete voluto vedere per quello che era: merda!

Entrando nello specifico, cercherò di essere chiaro e semplice: quello che ha ucciso il teatro italiano è l’intellettualismo. L’intellettualismo, se si vuole rinascere, va preso e buttato nel cesso. Senza mezzi termini.
L’intellettualismo è stato il veicolo attraverso il quale quelli che non sapevano, e non sanno, fare hanno giustificato, e si sono visti giustificare da critici compiacenti, il loro non saper fare, il tutto con l’intento di imporre una linea culturale e dunque politica. 

Non so se riuscirò in un solo post a dire tutto quel che penso sul problema. Che è molto più profondo e vitale di quanto crediate. Di sicuro c’è in giro un “non saper fare” che devasta l’attività teatrale.
In questi giorni mi sono tornati in mente due aneddoti: il primo riguarda Mario Ferrero, il quale aveva al suo attivo oltre 200 regie tra teatro, televisione, radio; non aveva mai fatto Amleto. Ebbene, Mario diceva che se gli fosse capitato, avrebbe buttato a mare tutti gli studi, le analisi, i libri di critica e avrebbe voluto raccontare “la storia di uno che sta su una terrazza a fare la guardia di notte, arriva un altro e gli urla ‘chi va là’, e poi arriva…”. Nella sua asciuttezza, Ferrero indicava, circa 30 anni fa, che ci si stava rintorcinando sullo psicologismo, sull’intellettualismo, sul cervellotico, e nessuno faceva una cosa semplice ma sempre necessaria: raccontare la storia.
Uno dei grandissimi problemi con molta regia contemporanea è l’idea che il cosiddetto regista si porta in corpo che tanto il pubblico conosce la trama. Non è vero, non è detto, lo spettatore ha il diritto di non conoscerla, e soprattutto abbiamo dimenticato che paga perché gli venga raccontata una storia e non per leggersela a casa, e ancor più ricordiamo che NON paga per vedere le elucubrazioni di un signor nessuno sul palcoscenico. 

Allo spettatore, di quel che tu pensi di Amleto, o di quali “sensi ti stimola” non gliene frega un emerito cazzo! 

Al massimo quel che ne pensi può passare attraverso il racconto, attraverso le battute, i movimenti, le scene, i costumi ecc. e se sei bravo, ma proprio bravo, gli arriva. Ma perché tu sia bravo e gli arrivi, ti servono GLI STRUMENTI DEL MESTIERE.

E qui veniamo al secondo aneddoto, che riguarda una nostra somma attrice, Anna Proclemer: faceva uno spettacolo con una giovane, in quel momento in voga per via di qualche film scollacciato, gliela avevano messa accanto… e pazienza, la grande Anna sopportava, anche perché a un "mostro" di tal genere non viene nemmeno in mente di mettersi in competizione con una tizia qualsiasi che poi, come era ovvio, è finita nel dimenticatoio.
Ebbene, la giovinetta tutte le sere andava due ore prima di spettacolo in palcoscenico a fare dei training, concentrazione, esercizi, riscaldamenti, intense meditazioni e immedesimazioni…
Una sera, Anna, a tavola con amici, con la calma serafica di chi può permettersi di guardare dall’alto in basso, tirò fuori una delle sue battute al vetriolo: “Stanno lì due ore, si concentrano, fanno gli esercizi, i riscaldamenti, le cose… poi vanno in scena… e non succede un cazzo!”.
Qualche sera fa, a teatro, da spettatore privilegiato che può andare dietro le quinte prima di spettacolo a salutare i colleghi, mi è accaduto di vedere proprio quel che diceva la Proclemer: giovanotti e/o giovanotte che si davano a intensi esercizi di preparazione, poi, aperto il sipario, non si capiva che cazzo dicessero, perché e come, anzi, un paio non si sentivano nemmeno non ostante il rinforzino di microfoni che c'era in proscenio.

Allora, ragazzi, qui il problema è serio e, o lo affrontiamo di petto e senza preconcetti, o qualsiasi cosa penserete di fare per il teatro del futuro sarà perfettamente inutile. Perché quello che si sta dissolvendo è IL MESTIERE nella sua essenza, nella sua semplicità, nel suo valore profondo e storico. Se lo volete capire, bene, altrimenti non so davvero più cosa farvi.
Qui si sono messe su scuole e scuolette di teatro da dove escono masse di NON ATTORI, gente che crede che “ ‘a concentrazione” sia più importante del semplice (“semplice” non è “facile”) saper dire una battuta “tutta, forte e chiara” come dicevano i nostri maestri. Abbiamo maltrattato e vilipeso per decenni “l’intonazione”, ebbene il risultato è che si è perso completamente l’orecchio al suono, al COME viene detta una frase: COME che poi è anche un PERCHÉ. Non si vedono più in giro registi capaci di dire a un attore che la battuta è detta male e come andrebbe detta (senza otto ore di spiegazione, ma facendo!), che non sanno correggere e indicare un movimento, che non sanno fare il lavoro delle persone che dirigono. Strehler diceva che “un regista nasce attore e muore attore”. Oggi siamo davanti a una serie di mezze seghe intellettuali incapaci di guidare i loro protagonisti. E infatti, i nostri teatri sempre più ricorrono a registi stranieri, che in realtà non fanno altro che fare quello che noi italiani, fino alla fine degli anni ’90, facevamo tranquillamente e molto meglio di costoro.
E così come  per i registi il problema investe i MAESTRI nelle scuole. Dove ciascuno pensa di insegnare UN METODO prima ancora che un mestiere, un artigianato. Nella illusione, dispensata quella sì a pioggia, che seguendo quel tal metodo si sarà attori. NON è COSì!

E anche questa tendenza fa parte della merdosa ideologia di cui sopra: perché ciascuno insegna con l’intento di imporre, indirettamente, una propria visione del teatro.
Per cui avremo gli allievucci di Ronconi che vorranno convincere gli allievi che ER TEATRO esiste solo in quel modo, e così gli allievucci delle avanguardie, e poi quelli che hanno fatto ER CORSO in amerika o a pariggi o nella russie ecc. ecc. ecc.
In un modo o nell’altro tiriamo fuori allievi che sanno pensare tanto, ma non hanno la grammatica di base per fare, e se un giorno si trovano difronte a qualcuno che gli chiede una cosa specifica, vanno in crisi.

Sbattetevi quanto volete, con la politica, con la cultura, con l’economia, ma se non torneremo dannatamente indietro, a quando un qualsiasi capocomico insegnava i fondamenti del mestiere al giovane attore (“dilla così, alza la voce, respira qua, girati di là, vieni a favore pubblico, usa l’altra mano, esci così…”), non ne verrete a capo.
Se davvero volete bene al teatro, buttate nel cesso tutti i libri, e tornate a insegnare il mestiere. Sarà un gesto di vera democrazia - in un mestiere che non è democratico, grazie al cielo! - perché lascerete liberi gli allievi di maturare da soli il proprio percorso, di avere tutti la stessa grammatica di base a disposizione, di poter crescere ciascuno secondo le proprie inclinazioni.
Date loro “le regole del gioco”, poi lasciateli giocare. Se davvero amate il teatro. Se davvero siete democratici. Se davvero siete di sinistra! 
Resta una sola domanda: SIETE ANCORA CAPACI DI INSEGNARE IL MESTIERE?


ps - COME AVRETE POTUTO NOTARE, IN QUESTO POST NON CI SONO LINK, SE VI INTERESSA SAPERE CHI SONO CERTE PERSONE, CERCATE. cerea

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