lunedì 26 marzo 2018

SE IL CASO MORO RISCHIA DI DIVENIRE UN ROMANZO

In questi giorni ho perso un po' di tempo con il mio amico Luca Scognamillo a ragionare di un argomento che ci appassiona entrambi: il caso Moro. 
Considerando che l'uomo è fatto di tempo, perdere tempo con un amico è uno dei massimi privilegi che ci si possa concedere. Oltre tutto quello con Luca non è propriamente tempo perso soprattutto se si parla di Moro, per il semplice motivo che Luca sull'argomento ha letto tutto, ma proprio tutto, al punto, dico sempre per prenderlo in giro, che ha già letto anche la relazione finale della prossima commissione parlamentare! Sono quasi certo che solo Gero Grassi ne sa più di lui (del quale Gero Grassi si consiglia la visione della lunga intervista a Byo blu). 

Come era ovvio, in questi giorni di commemorazione della tragedia di via Mario Fani, abbiamo entrambi seguito le varie trasmissioni televisive, in particolare quella di La7 di Andrea Purgatori , quella di Rai3 di Ezio Mauro e quella di Rai2 di Vecellio per TG2Dossier. 
L'impressione che ne abbiamo avuta è la stessa che poi ci ha fatto sapere il 18 marzo dalla sua pagina Facebook ne ha avuto Gero Grassi. La qual cosa ci ha lusingato non poco.
Grassi scrive: "
Ho visto tutte le trasmissioni su Moro di questi giorni. Con le dovute eccezioni, penso ai giornalisti Gaeta e Frittella del Tg1, Vecellio del Tg2, Purgatori della Sette, Damilano dell’Espresso, De Tomaso della Gazzetta del Mezzogiorno, la certezza che ho, indipendentemente dalle posizioni, è che qui anche chi fa trasmissioni importanti o scrive su autorevoli giornali non studia e non legge. 
Hanno parlato di Moro e del suo omicidio come se la II Commissione Moro non ci fosse stata. Perché? Leggere e studiare comporta fatica e poi è facile sostenere oggi la posizione precedente. In alcuni casi è una posizione autoassolutoria in senso lato." 

A queste trasmissioni si è aggiunto un commento di Enrico Mentana che discutendo con i visitatori della sua pagina FB ha ad un certo punto chiosato (vado a memoria) che a via Fani c'erano le BR e basta, che il resto è solo esercizio per dietrologi e complottisti, nonché per i webeti, categoria cui il direttore è particolarmente affezionato avendola egli inventata. 

Che chi scrive su autorevoli giornali non studia è cosa che chi segue le vicende "euro" ha compreso da molti anni. Il dato caratterizzante è addirittura un altro: non lasciarsi mai sfiorare dal dubbio. E l'altro elemento che caratterizza i comportamenti di costoro è l'assertività.
La combinazione di tutti questi elementi, come si può facilmente comprendere, diviene esplosiva, sopra tutto nel momento in cui si procede dall'alto della televisione al basso del vostro divano, calando nelle vostre povere e indifese orecchie (che come diceva Marìas non hanno palpebre), e davanti ai vostri occhi, "verità" che non sapreste come controbattere. 


Qual è però, ci siamo chiesti con Luca, il motivo di tale comportamento? Perché negare cose che sono state accertate da inchieste ufficiali?
Nei servizi televisivi qualche cosa delle "nuove scoperte" in maniera più o meno estesa, si diceva, ma pareva che si desse una sorta di contentino a "complottisti, dietrologi e webeti" più che entrare davvero in nuovi spazi, nuovi mondi, nuovi possibili verità. Ma alla fine, in realtà, come Grassi rileva, non ci si discosta dalla narrazione precedentemente acquisita; si fatica a staccarsi dalla verità processuale che è quella dettata dai brigatisti e che è ormai chiaro essere quasi totalmente falsa. Perché i giudici di allora, pur di altissimo livello, abbiano acquisito come verità quella delle BR è proprio un pezzo del problema, ma per ora lasciamo stare. Altro interessava me e Luca, ci interessava il comportamento dei giornalisti. 


Siamo giunti a questa doppia conclusione che offro alle vostre riflessioni (senza averlo detto a Luca che mi bastonerà prima, poi mi perdonerà - lo so per cui ne approfitto). 
I motivi, noi crediamo, sono due: 
1 - il caso Moro è talmente ancora vivo tra noi che se si andasse a scavare sul serio molte teste salterebbero tutt'oggi; la tendenza è dunque quella a trasformare la cronaca in romanzo, a porre la verità su di un piano di narrazione tale, cioè, che lo distacchi da noi completamente quasi non fosse un caso avvenuto davvero: l'affaire Moro è racconto, libri, film, non è vita. 
2 - in un momento estremamente difficile per il main stream, un momento in cui il mondo che esso ha contribuito a costruire e determinare e sul quale ha scelto di giocare la propria esistenza sta letteralmente crollando sotto i colpi della rivolta popolare (non sapremmo come altri definirla), vedi le varie tornate elettorali in giro per il mondo e in particolar modo in Europa, costoro si pongono su di un piedistallo e utilizzando la stessa assertività di sempre si impongono (o cercano di farlo) ancora come i soli narratori della Verità; utilizzano, cioè, anche la più profonda tragedia della nostra Repubblica, quella sulla quale è certamente se non morta, ma rimasta pericolosamente imbrigliata la nostra democrazia, per riaffermare la la loro condizione di sacerdoti della informazione, di vestali della verità. 
Ingabbiati nel tristo ruolo che si sono scelti, lasciano in tal modo vedere la profondissima difficoltà in cui ormai si muovono e la consapevolezza del crollo imminente del sistema che hanno alimentato e dal quale sono stati alimentati. 
Non parliamo, voglio chiarirlo, di persone "vendute", ma dell'aver abbracciato una sorta di ideologia senza essersi mai posti il minimo dubbio sul valore della stessa. Si sono lanciati, come il generale Custer, supponentemente contro il nemico, ora vedono il loro esercito soccombere minuto dopo minuto, ma non ostante ciò vogliono riaffermare la loro posizione. Perché il vento sta cambiando, ma nessuno si illuda, la battaglia sarà ancora lunga e dura, e questi soldati, con la loro capacità di convincere le menti deboli, serviranno e serviranno ancora. Il Sistema frana ma non è ancora morto. 
Moro purtroppo sì. Dio lo benedica. 

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