giovedì 1 febbraio 2018

LA REPUBBLICA DEI GIORNALISTI

Sta accadendo una cosa che ha del paradossale, e che potete facilmente osservare, se non avete consuetudine con i quotidiani, assistendo ai vari programmi politici dei quali è disseminata la televisione italiana.
Siamo in campagna elettorale, e questo lo abbiamo capito tutti per forza di cose anche se non avessimo voluto saperlo. I politici si alternano nei vari salotti tv e snocciolano le loro proposte.
Queste proposte non nascono per caso, e sempre più hanno riscontro e dettagli espositivi in libricini, siti internet, brochure, manifestini ecc.
Non mi metto dalla parte di nessuno, perché il meccanismo che osservo sta colpendo tutti.
Ebbene, quasi sempre queste proposte - che vengono dalla stampa definite "promesse" e già questo è una chiara indicazione dell'atteggiamento mentale, ma ci torno dopo - queste proposte sono supportate da studi di esperti, analisi e dati. Ora voi vi aspettereste che un politico di parte avversa si scagli contro la proposta fatta dall'avversario e la contesti, la smonti, ne mostri la inconsistenza.
Non si fa a tempo. Non scherzo, non si fa a tempo. Perché prima ancora che il politico di parte avversa riesca ad articolare il discorso, c'è un giornalista che ha già stabilito che "non si può fare!".
Non so se avete capito, se mi sono spiegato bene: le proposte dei politici, di qualsiasi parte siano, sono bocciate dai giornalisti i quali stabiliscono quello che si può e quello che non si può fare, e in genere "non si può fare!".
A mia memoria, una cosa del genere non l'avevo mai vista, non mi era mai accaduto di vedere questa sorta di "partito dei giornalisti", che si oppone alle proposte della politica e mette la politica in un angolo, ne sminuisce il valore, spesso ne sottoscrive la inutilità. Si ha come l'impressione che ci sia un "gruppo di giornalisti padroni della repubblica". Capito, adesso, perché definire le proposte, "promesse", le svilisce? Perché per anni abbiamo sentito che "i politici non hanno mantenuto quello che hanno promesso in campagna elettorale", con una critica che era sviluppata al passato; oggi si va direttamente sul futuro: se sono promesse state pur certi che come hanno sempre fatto non le manterranno.
Non si può, alla fin fine, non chiedersi: a chi giova?
Perché se è vero che i giornalisti sono dei dipendenti... il loro "partito", in questo caso lavorerebbe per chi?
Ovviamente da anni i giornalisti si affannano anche a deridere la categoria dei "complottisti", categoria creata ad hoc in questi decenni, perché i complotti ci sono sempre stati, le corti ne erano piene... soltanto oggi ci si meraviglia e si stigmatizza il fatto che qualcuno ipotizzi che dietro un certo comportamento ci sia qualcosa di strano.

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