domenica 12 giugno 2016

LA SCRITTURA TROVATA: Goldoni o dell'incompreso (2)

Ripartiamo da un post del giugno 2015
Il tema trattato era Carlo Goldoni, come potrete verificare nel link, e il titolo, sul quale credo, anche dopo tutto questo tempo, si debba proseguire, era: LA SCRITTURA TROVATA: Goldoni o dell'incompreso. 

In finale di quel post potrete leggere:

"perché Goldoni scrive, si occupa, focalizza la propria attenzione sulla scrittura!
Ecco: era così complicato illustrare ai nostri studenti questo primo punto? Non mi pare.
“Bene – dirà il magno critico – ma questo lo abbiamo detto: Goldoni scrive in contrapposizione alla pratica del teatro all’improvvisa”, quindi dove sarebbe la differenza?”" 


Si può, dopo quella veloce disamina, giungere al secondo punto del discorso: perché Goldoni scrive. 
Parrà ovvio, ai nostri giorni, che un autore scriva. E infatti, la cosa era ovvia anche ai suoi tempi, sebbene con la storia della Riforma contro la Commedia all'improvvisa, la sensazione che si ha è quella di un teatro non scritto. 
Decine di testi ci sono giunti da quelle epoche, e se si sono persi sarà stato per un loro non particolare valore o per una abitudine propria di un teatro antico a "consumare" in un modo cui non siamo più abituati. 

È però sempre da quel passaggio dei Mémoires che dobbiamo ripartire per comprendere. 
La scrittura dell'epoca era fortemente (e anche giustamente) condizionata dalla scena, dall'azione viva e diretta dei comici. Quando si parla di improvvisazione, ci si riferisce a un teatro che non è improvvisato come si potrebbe immaginare. 




C'è forse, anzi sicuramente, un mito da sfatare: l'improvvisazione non esiste! 
Non esiste se non in una minima parte, in una percentuale dettata dalle circostanze o dall'arguzia del comico in un particolarissimo momento, o dal dover coprire un incidente. 
Narrasi che i comici, in primis dedicassero tutta la loro vita ad un unico personaggio (quando Goldoni deve mettere in scena Il servitore di due padroni, si affida ad Antonio Sacco, il più importante Arlecchino dell'epoca, e grande esponente della Commedia dell'Arte - che Goldoni nelle sue Memorie chiama "Sacchi" e col quale aveva già felicemente collaborato - il che, dovrebbe far riflettere sull'avversione di Goldoni verso il genere): questa pratica creava, evidentemente, una identificazione tra attore e personaggio, una pratica che se non era studio temporaneo su di un testo, come oggi accade, era costante su di un carattere, per "impossessarsi" della sua gestualità, del suo modo di parlare, delle parole che a quel personaggio potevano essere familiari, con una assidua e volontaria/involontaria costruzione di frasi che venivano a perdere il carattere di improvvisazione per come noi lo intendiamo;
in secundis (stando sempre con Totò!): i comici imparavano centinaia e centinaia di versi a memoria, onde potere avere sempre "parole pronte" per l'uso della scena, e anche questo mette in crisi il concetto di improvvisazione sempre per come noi lo intendiamo; 
terzo, le scene avevano il carattere dei "moduli", ossia lo schema della gag era precedentemente codificato, e dall'intesa che i comici prendevano durante le prove (l'improvvisazione non prevederebbe prove, ma sappiamo anche da, per esempio, Il teatro comico dello stesso Goldoni, che queste si facevano, e come!) accordi sul come condurre e sviluppare la scena; 
quarto: se vivo del mio lavoro attoriale, e ogni sera che lo ripropongo voglio esser certo del suo successo con il pubblico (altrimenti "non si mangia", ma non per come lo intendeva un certo Ministro), quale senso avrebbe il lasciarsi portare tutte le volte dalla incertezza della improvvisazione, quando ho avuto riprova più e più volte che certi meccanismi "funzionano"? Se ciò che faccio ho verificato avere una valenza scenica, ha senso rischiare di fare qualcosa di sbagliato e che non conduce al risultato? Evidente-mente NO! E anche qui il discorso "improvvisazione, per come noi la intendiamo", viene miseramente a cadere! 

Ciò che non ritroviamo oggi scritto su carta, forse allora lo era (e quei fogli sono andati persi, ipotesi da considerare), e se non lo era materialmente, era da ritenersi scritto nell'accordo che i cominci prendevano tra loro. 
Mi disse una volta il bravissimo Vincenzo Salemme che l'improvvisazione non prendeva che uno scarso 5% dello spettacolo, e comunque, il "soggetto", cioè il passaggio improvvisato, veniva poi messo al vaglio, precisato, perfezionato e messo a copione. Dove "messo a copione" non significa necessariamente "scritto", ma nella sua definizione puntuale risulta come "scritto". 

Per fare un esempio a noi più vicino: nel Jazz, quando uno strumento parte per "il suo pezzo", tutti gli altri sanno che andrà da quella tonalità a quell'altra, che avrà un suo margine di libertà, ma poi, giunto ad altra tonalità, si ricondurrà alla fine della sua parte, e il fare "musica insieme" riprenderà. Si tratta di un accordo non scritto sul pentagramma che i musicisti hanno preso tra loro e conoscono. Possiamo considerare questa improvvisazione? 

La famosa scena di Totò e Peppino della Lettera si sa essere stata concordata a tavolino dai due, ce lo ha raccontato più volte Teddy Reno che divideva con loro il camerino. E dal racconto deduciamo che le parole saranno state anche inventate lì per lì, ma lo schema era stato completamente precostruito. Anzi: notate nella scena un punto chiaro, quando Peppino cerca di inserirsi con la improvvisazione "dell'insalata" e Totò lo ferma dicendogli di non fargli perdere il filo "che ce l'ho tutta qui", e indica la propria testa. Molto più che ipotizzabile che ci avesse pensato e ripensato prima. Addio improvvisazione! 

Che ne dite, vogliamo considerare chiusa questa questione dell'improvvisazione? Io direi di sì. 
L'improvvisazione ha senso, in teatro, al di là dei casi citati, solo come esercitazione, che ha il solo scopo di favorire l'abitudine alla concentrazione. 

A meno che... 
A meno che, per Teatro all'improvvisa Goldoni e i suoi contemporanei non intendessero proprio quel teatro "non scritto", che è fatto solo o prevalentemente di "scrittura scenica", un Teatro, cioè, per il quale non vi fosse un preciso testo scritto di riferimento. 
Anche questa ipotesi potrebbe cadere se pensiamo che prima di Goldoni esistono testi scritti fino a noi pervenuti. Penso, molto facilmente, al Ruzante, o agli scritti, importanti se pure "episodici", di Machiavelli, o di Ariosto, e poi il Bibbiena, Tasso, e sopra tutto gli Andreini
Dunque, anche la tradizione della scrittura teatrale esisterebbe prima di Carlo Goldoni. Cosa cerca, quindi, il Nostro? 




Riprendiamo quel passaggio, fondamentale, dei Mémoires, cap. VIII: "Scartabellando continuamente quella biblioteca trovai testi di teatro inglese, teatro spagnolo e francese, non ne trovai di teatro italiano. c'erano qua e là vecchie commedie italiane, ma nessuna raccolta o collezione che potesse far onore all'Italia. 
Vidi con dispiacere, che mancava qualcosa di essenziale a questa nazione, che aveva conosciuto l'arte drammatica prima di tutte le altre, non potevo concepire come l'Italia l'avesse dimenticata, degradata e imbastardita: io desideravo ardentemente vedere la mia patria elevarsi al livello delle altre e mi promisi di contribuirvi."

Che l'arte teatrale sia una dominante italiana è fatto riconosciuto nel mondo (e dunque - come potrebbe essere altrimenti - non riconosciuto in Italia, sic).
Cosa manca alla "mia patria", visto che, come lo stesso Goldoni riconosce implicitamente, non le manca certo "il Teatro" (e consideriamo che è da oltre un secolo nata nel nostro Paese quel nuovo fenomeno che già all'epoca del nostro caro Carlo è segno distintivo della nazione: l'Opera Lirica)?

Manca "la scrittura drammatica"

La nostra critica letteraria non ha mai ben compreso la scrittura teatrale, che funziona per modi, stili, canoni e criteri diversi da quelli della prosa e della poesia. 
Possiamo sintetizzare dicendo che i due elementi distintivi sono "Dialettica" e "Sintesi", sempre ricordando la lezione di Stanislavskji, secondo la quale in teatro non abbiamo il nostro linguaggio scientifico, dunque dobbiamo prendere in prestito i termini da altre scienze e adattarli alle nostra necessità.

Per "Dialettica" dobbiamo intendere il fatto che solo un personaggio può dire o parlare in un certo modo, le sue battute sono solo sue e non possono appartenere a un altro, e per questo si vengono di volta in volta a porsi in contrapposizione a quelle di un altro; che a sua volta avrà un suo "linguaggio" non interscambiabile. 
Insegnava ai suoi studenti in Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico che "se in un testo potete scambiare le battute di due personaggi senza che nulla cambi, non è Teatro". 
La "Sintesi" si esplicita, invece, in quella peculiarità della forma teatrale di passarci informazioni necessarie a ricomporre la storia, in maniera sintetica appunto, e indiretta. Solo per casi specifici e necessari alla conduzione drammatica, troveremo un personaggio che "racconta" un accadimento; buona tecnica invece vuole che i fatti debbano a mano a mano essere estrapolati, evinti dallo spettatore via via che l'azione scenica si dipana. 

Perfetto esempio, per capire queste peculiarità, è l'inizio de I Rusteghi proprio di Goldoni: 

ATTO PRIMO

SCENA I

Camera in casa di Lunardo.

Margarita che fila, Lucietta che fa le calze, ambe a sedere.

Lucietta - Siora madre.
Margarita - Fia  mia.
Lucietta - Debotto  xè fenìo carneval.
Margarita - Cossa diseu, che bei spassi, che avemo abuo?
Lucietta - De diana! Gnanca una strazza de commedia no avemo visto.
Margarita - Ve feu maraveggia per questo? Mi gnente affato. Xè deboto sedese mesi, che son maridada; m'àlo mai menà in nissun liogo vostro sior padre?
Lucietta - E sì, sàla? No vedeva l'ora che el se tornasse a maridar. Co giera sola in casa, diseva tra de mi: lo compatisso sior padre; elo no me vol menar, nol gh'ha nissun da mandarme; se el se marida, anderò co siora maregna. El s'ha tornà a maridar, ma per quel che vedo, no ghe xè gnente né per mi, né per ela. 


L'indicazione "camera in casa di Lunardo" è per chi legge e per chi dovrà mettere in scena la commedia. 
Il sipario si apre e vediamo due donne sedute, entrambe intente a lavorare. 
Poi una parla: "Signora madre". L'altra risponde: "Figlia mia". 
In due battute è incardinato il rapporto di parentela, e noi veniamo a conoscerlo. 
Ma non finisce qui: dalla battuta successiva sappiamo in quale "tempo" ci troviamo: dopo il carnevale. E volendo scendere anche a livello psicologico, questo ci dice anche che è finita la festa, e non c'è più una situazione di allegria. E continuando, scopriamo che le due donne non ne hanno goduto! Lo stato di tristezza che prima potevamo presupporre, ci viene così confermato. Confermato ancora dalla battuta successiva che ci dice che non hanno potuto vedere nemmeno uno straccio di commedia. 
Ma ecco che interviene un colpo di scena: Margherita ci dice di essere maritata da sedici mesi; la ragazza che le è accanto non può in alcun modo essere sua figlia, avesse pure dodici anni (è invece in età da marito come dopo scopriremo). Come si spiega allora lo scambio iniziale "Signora madre - Figlia mia"? 
Anche questo, come avete potuto notare dalla lettura, lo capiamo dal seguito del discorso... 
Da pochissime battute, insomma, ricaviamo: il rapporto di parentela, il tempo dell'azione, lo stato d'animo dei due personaggi, e cominciamo anche a presupporre il tipo di rapporto, certo non felice, che esse hanno con il terzo personaggio della scena, il padre, fin qui solo nominato ma terribilmente presente. 
Provate inoltre a mettere le prime due battute di Lucietta in bocca a Margherita, le prima due di Margherita in bocca a Lucietta, e osservate se il dialogo ha lo stesso senso logico. No, non ce l'avrebbe.  



A questo va aggiunto un altro aspetto: il Teatro è il luogo di una scrittura funzionale al Teatro, ma non necessariamente della "bella scrittura". Perché la scrittura appartiene ai personaggi, al loro modo di parlare, e non è detto che questo modo di parlare sia sempre raffinato o grammaticalmente corretto. Facile capire che un contadino ignorante non avrà lo stesso linguaggio di un avvocato, un borghese di un contadino. 
Pur non teorizzato fino al '900, sono i personaggi a "dettare le parole allo scrittore", e come mi diceva Giuseppe Patroni Griffi, "loro dicono quello che vogliono loro e non quello che vuoi fargli dire tu". L'idea non era nuova se si pensa a quello che nella prefazione ai Sei personaggi scrive, del suo travaglio creativo, Pirandello: 

"E, così pensando, li allontanavo da me. O piuttosto, facevo di tutto per allontanarli. Ma non si dà vita invano a un personaggio. Creature del mio spirito, quei sei già vivevano d'una vita che era la loro propria e non più mia, d'una vita che non era più in mio potere negar loro.Tanto è vero che, persistendo io nella mia volontà di scacciarli dal mio spirito, essi, quasi già del tutto distaccati da ogni sostegno narrativo, personaggi d'un romanzo usciti per prodigio dalle pagine del libro che li conteneva, seguitavano a vivere per conto loro; coglievano certi momenti della mia giornata per riaffacciarsi a me nella solitudine del mio studio, e or l'uno or l'altro, ora due insieme, venivano a tentarmi, a propormi questa o quella scena da rappresentare o da descrivere, gli effetti che se ne sarebbero potuti cavare, il nuovo interesse che avrebbe potuto destare una certa insolita situazione, e via dicendo.
Per un momento io mi lasciavo vincere; e bastava ogni volta questo mio condiscendere, questo lasciarmi prendere per un po', perché essi ne traessero un nuovo profitto di vita, un accrescimento d'evidenza, e anche, perciò, d'efficacia persuasiva su me. E così a mano a mano diveniva per me tanto più difficile il tornare a liberarmi da loro, quanto a loro più facile il tornare a tentarmi." 

Sintesi felice trovo proprio Patroni Griffi nell'esergo alla sua più importante commedia "Metti, una sera a cena": 
“Il teatro si basa su colonne, e queste colonne sono i personaggi; quindi il teatro si basa sugli attori.” 

Il binomio attori/personaggi è intrinseco e imprescindibile per la vita teatrale. E lo era stato anche per Goldoni. Al punto che è deducibile dalla lettura delle sue Memorie che i testi che noi troviamo stampati non siano l'assoluto frutto del suo lavoro, ma del suo lavoro poi portato in palcoscenico, provato con gli attori, con loro perfezionato, mediato e modificato secondo le necessità... insomma, prima di arrivare alla stampa, il testo è passato per la bocca e il corpo degli interpreti. Da qui, possiamo comprendere perché la sua scrittura sia così meticolosa, carica di punteggiatura, e riferimenti scenici, precisa, e perché trova vita solo sulla scena. Alla sola lettura, infatti, il testo di Goldoni si ha la sensazione che resti come indietro, che non riesca mai a venire incontro al lettore, ma ha bisogno che il lettore vada con la propria immaginazione verso di lui, vedendo la scena nel suo svolgersi. Fu Molière a scrivere in una sua prefazione che se non si è capaci di immaginare il teatro in azione mentre si legge un testo, allora meglio non leggerlo. Ciò vale per tutti gli autori teatrali, dunque anche per Goldoni. 
La verità è che per recitare bene un autore come Carlo Goldoni basta saperlo leggere. 

Alla fine di questo lungo ma non esaustivo discorso, cosa vuole, insomma, il nostro Goldoni Carlo? 
Credo lo avrete capito: creare, formalizzare, codificare per la lingua italiana la scrittura teatrale, la scrittura drammatica. Goldoni Carlo codifica la drammaturgia nella lingua italiana. 
È questa la sua straordinaria importanza, al di là dei temi trattari, delle storie di vita che ci racconta, del mondo che rappresenta, del portato storico e culturale che ci tramanda, al di là del quadro in movimento che ci lascia di una meravigliosa Venezia e di altre città italiane, vere o immaginarie, al di là di modi di fare, dire, di comportarsi, di regole sociali, di amori, disastri economici, vizi personali o gioie, divertimenti e malinconie, al di là dei potentissimi e raffinatissimi scavi psicologici. 



La sua importanza non è solo grande nel teatro nostro e nel teatro mondiale (per una serie di cose che forse in altra occasione vi racconterò), è grande nella Letteratura italiana, e nella letteratura mondiale, al pari di Shakespeare, di Molière, di Cechov, di Pirandello. A mio gusto, con questi compone il grande quintetto del teatro di tutti i tempi, esclusi i grandi tragici greci. 

Se consideriamo che la critica non ha mai ben inquadrato la scrittura drammaturgica, possiamo comprendere come ingiustamente sia stato relegato solo al suo settore: il Teatro. 
Ma il Teatro è molto di più di quanto la nostra critica abbia compreso e voglia comprendere. 
Ed in questo, la sua scrittura è alta quanto quella della poesia e della prosa. 
Se la codifica della nostra poesia è Dante, se la codifica della nostra prosa è Manzoni, la codifica della nostra scrittura drammatica è Goldoni. 
Senza di lui il quadro della Letteratura nazionale non è completo, resta monco come un cavalletto traballante. 
L'incomprensione verso il suo lavoro è stata tale che venne anche accusato di "scrivere male". Ci volle un piccolo saggio di Pirandello per scrollargli di dosso questa infamia. 
E nemmeno bastò, dato che pure Pirandello fu accusato della medesima cosa. Ma il buon Luigi cercò (e lo fece benissimo per chi voleva intendere) di spiegare che la scrittura per il teatro non segue gli stessi criteri delle altre scritture, sopra tutto nello stile dei linguaggi, legati a personaggi e azione scenica, come ho umilmente cercato anch'io di farvi comprendere. 
Ma non bastò. 
Ad oggi, ancora, Goldoni resta sconosciuto alla nostra Letteratura, mentre dovremmo venerarlo come gli inglesi venerano Shakespeare e i francesi Molière. 
Non potrà mai accadere fino a che il Teatro non sarà realmente considerato Cultura (realmente! con tutto ciò che ne consegue), e non spettacolo. 

"Vidi con dispiacere, che mancava qualcosa di essenziale a questa nazione, che aveva conosciuto l'arte drammatica prima di tutte le altre, non potevo concepire come l'Italia l'avesse dimenticata, degradata e imbastardita: io desideravo ardentemente vedere la mia patria elevarsi al livello delle altre e mi promisi di contribuirvi.
Vi riuscì! 



Nessun commento:

Posta un commento

dite pure quel che volete, siete solo pregati di evitare commenti inutili e volgarità.