Or drizza ‘l viso a quel che si ragiona
Puccini si arrabbiava
quando gli “spacchettavano” il Trittico.
E aveva ragione! L’opera, seppur divisa
in tre episodi e composta non consecutivamente, ha una sua unità, netta.
Solo l’irriverenza, infatti, il gusto per il
paradosso e la battuta fulminante, la sfrontatezza, di un toscano potevano
immaginare di costruire una Divina
Commedia in musica, che oltre tutto ritrovasse il suo Paradiso attraverso un personaggio dell’Inferno dantesco,
utilizzando uno schema e una
corrispondenza estremamente semplici:
1 –
Tabarro/Inferno
2 – Suor
Angelica/Purgatorio
3 – Gianni
Schicchi/Paradiso
Il Trittico fu composto durante la Grande Guerra e il
carteggio ci dice quanto Puccini sentisse come terribile l’evento. In lui non
si ritrova quella attrattiva per gli ideali patriottici o per il “bel gesto”
che esaltarono altri artisti o intellettuali italiani. Per Giacomo, la guerra è
solo guerra, ed è un inferno dell’anima.
La scelta de Il Tabarro è precedente il conflitto, ma la totale articolazione
del lavoro si compirà durante la ’15 -’18, e attraverso questo percorso, che definiremo “para-dantesco”, Puccini indica una via di rinascita, di rigenerazione, la fiducia in un futuro
migliore, a patto che l’uomo sappia abbandonarsi
alla forza vitale dell’arte… la Storia ci dice che solo venti anni dopo i
popoli si ritrovarono in un nuovo conflitto.
In
questo viaggio dall’Inferno al Paradiso, l’elemento
guida, quasi l’Io narrante, è quello femminile, da Giorgetta ad
Angelica a Lauretta.
Partiamo dalla fine, da Lauretta, e da una indicazione dal testo. L’idea comune, infatti, è
quella di una ragazza ingenua, ma l’elenco personaggi ci dice che ha 21 anni, età in cui, stando
all’epoca della trama, una donna era fin troppo avanti per maritarsi e avere
figlioli. Lauretta è dunque donna
adulta, e nettamente determinata. Il suo “O mio babbino caro” è non solo il vero nodo drammatico di “Schicchi”, ma il punto di risoluzione di tutto il percorso del Trittico. Lauretta
non implora il padre, come sembrerebbe, ma ne determina la decisione, esplicitando, pur nella dolcezza,
l’ineluttabilità della sua scelta. Il suo “buttarmi in Arno” non è minaccia, ma
avvertimento.
Tutto ciò anche considerando i 21 anni in epoca pucciniana,
poiché da questa spinta del femminile,
che cerca e vuole il proprio completamento, nasce il travestimento, la
finzione, il gesto teatrale di Schicchi
che porterà alla felicità dei due giovani, alla fiducia in futuro “affacciato”
sulla “ricca, splendida” Firenze. E in questo gesto, oltre Gianni, ognuno è
coinvolto, costretto in un segreto, in una finzione acquisita come Verità, in
poche parole: Teatro; in poche
parole: il Paradiso e la speranza sono legati all’atto più antico e completo dell’umanità, quello teatrale, quello da
cui tutto nasce, in cui tutte le arti e tutte le risposte che l’uomo cerca sono
già contenute. Per questo la chiusa di Schicchi non è affidata al canto, ma a
quel declamato alto che rimanda all’origine della cultura occidentale, e Gianni, compiuta la sua opera, non ha più nulla da cantare: tutto è ormai nelle mani dei due giovani.
Ma se Lauretta è
compimento del percorso, da dove eravamo partiti? Da Giorgetta, da quella chiatta sulla Senna che tanto ricorda la barca
di “Caron dimonio, con gli occhi di
bragia”, e la piccola brace, della pipa e del fiammifero, sono parte
dell’inganno che costerà la vita a Luigi e - si resta nel dubbio - a Giorgetta,
novelli Paolo e Francesca, in un
ambiente oscuro, fondo, al di sotto dello scorrere del vivere umano. In alto
lontano una Notre-Dame imponente, platani lussureggianti, amanti che dolcemente
si salutano; invece, per andare alla chiatta di Michele si scende, in basso, come
nell’Inferno, un inferno in cui gli uomini sono condannati ad eterna pena,
e dove i pochi elementi lieti sono richiamo a un passato ormai solo sognato, come la casetta desiderata dalla
Frugola, o la Belleville dei due amanti. Per tutti, in scena e in platea, il ricordo felice degli anni in cui viveva
d’amore e per amore moriva Mimì, piccola tenerezza che il musicista concede
prima di tutto a se stesso, quando “era gioia la vita”. Giorgetta è costretta
al suo inferno, non può uscirne - i due amanti, curiosamente, non parlano di fuga, ma solo di
desiderio - e il suo inferno ha un punto di inizio chiaro: la morte del figlio. La gioia della
maternità le è stata negata e con essa il futuro. Giorgetta non guarda al futuro,
non ha futuro.
Il figlio morto è il punto di raccordo con la straziante storia di Suor Angelica. L’atto centrale del Trittico è forse il più
interessante e pregno di richiami,
nemmeno tanto mascherati, al poema
dantesco (“liberamente al desiar precorre” per “liberamente al domandar
precorre”, preghiera di Bernardo alla Vergine). La seconda cantica del Poema è
certamente la più umana poiché in essa vi è il Tempo. Infiniti Inferno e Paradiso, il Purgatorio si distingue
per la necessità del tempo, che scandisce l’attesa del passaggio delle anime, e
nel XXVII canto, come a insistere sull’incidenza del Tempo, giunge il tramonto,
poi la notte, e Dante si addormenta, sognando di una donna, Lia, che coglie
fiori per intrecciare una ghirlanda.
Il convento vive nella scansione del tempo: da quello della
preghiera a quello del lavoro, fino ai tre giorni l’anno della fontana dorata
dal sole. Ed Angelica, che si occupa di fiori e di erbe coltivate per curare, e
dalla cui conoscenza scaturirà il rischio della sua perdizione assoluta, conta ore e giorni che l’hanno separata dal
suo bambino, nell’attesa di una qualche notizia. “Giunto alla sommità del
Purgatorio, giunto al paradiso terrestre, Dante è abbandonato da Virgilio, e si
trova solo, e lo chiama” (J. L. Borges), ma in quel momento, in suo soccorso
giunge una donna, Beatrice, che dopo averne impietosamente declinato i peccati,
gli apre la via per il Paradiso. Angelica
riconosce il suo estremo peccato, il tentativo di suicidio, e invoca la Vergine, che accolto il
pentimento compie il miracolo. L’apparizione del bambino ha funzione simbolica: se per il compimento del percorso dell’uomo
Dante è necessaria l’aiuto del femminile, ad Angelica giunge in soccorso l’elemento maschile, che
non può essere un adulto in quanto ricorderebbe la colpa, anche di Giorgetta,
ma quel bimbo, ancora puro, del
quale il fato ha privato entrambe. In
quel bimbo, le due figure femminili si purificano e trovano la via verso la
nuova vita, verso Lauretta.
Maschile e femminile si
ritrovano, attraverso il percorso di crescita, presa di coscienza e sviluppo
del femminile, nell’atto d’amore più
umano che esista, il bacio, negato da Giorgetta a Michele ad inizio
d’opera, che drammaticamente e ambiguamente conclude Il tabarro, ricordato in
Angelica come unico momento di gioia con il figlio, e che esplode prima come
ricordo felice, poi come gesto tra Rinuccio e Lauretta alla fine del Trittico. La complementarietà è ricostituita,
guarda fiduciosa al futuro, e chissà… si presume avranno dei bambini.
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