martedì 12 novembre 2019

CRISI DEL TEATRO, LA STRADA DA INTRAPRENDERE PER UN RITORNO AL FUTURO

Post lungo. Mi spiace. Necessario. Non parliamo sempre e solo ai teatranti.   

Che il nostro Teatro sia in crisi, crisi nera, quasi mortale, non è una novità. In questo blog ne ho parlato molte volte, criticandoo gli aspetti delle ultime leggi fatte, criticando alcuni comportamenti della nostra categoria, facendo le pulci ad accordi ed accordicchi che niente hanno portato alla causa dei lavoratori, e anche puntando il dito verso coloro che dicendo di fare gli interessi della categoria in realtà fanno i loro
A volte ho sentito necessario fornire qualche spiegazione, a volte andarmene per i fatti miei poiché sentivo che poco ve ne fregava di quel che dicevo.
Perché la categoria ha questa fantastica connotazione: si lamenta per la maggior parte della giornata, salvo poi non acquisire mai, operativamente, punti di vista e opinioni diverse da quelle che già ha. In soldoni: "La colpa è di Achille!", "Bene. Chi voti alle prossime elezioni?", "Achille!". Ok, auguri.  


Non ostante questa sfiducia generalizzata - lo ammetto - nella categoria, alcune cose le avevo tra i miei appunti, e sento dunque necessario comunicarvele, poiché credo che siamo quasi a toccare il fondo e dunque tra poco sarà necessario avere strumenti in mano per organizzare la risalita. 
E sarebbe finalmente il caso che gli attori, e con loro i tecnici, questa risalita se la costruissero da soli, lasciando per una volta in un angolo professori universitari e burocrati teatrali, i quali campano sulla nostra pelle senza in realtà saper nulla della nostra vita e soprattutto della nostra professione

Una premessa
La logica sulla quale si è proceduto negli ultimi 25 anni, dai ministri Ronchey in poi, passando per Veltroni, Melandri, Bray, fino a Franceschini (tralascio nomiare quelli di centrodestra perché tendenzialmente inconcludenti), è stata quella della Cultura come "nostro petrolio". 
Ma con il petrolio cosa si fa? Lo si sfrutta! Il nostro patrimonio culturale e i suoi lavoratori, invece, sono da conservare in quanto siamo noi, è la nostra cultura, la nostra storia, le nostre radici (si potrà ancora dire questa parola in senso non botanico?). E questa opera di preservazione e studio e consolidamento va messa in campo anche se non portasse denaro. Ma il giochino magico è che se tu conservi bene il tuo patrimonio poi ti potrà portare anche introito economico. Figo, vero?

Si è invece sempre più proceduto verso il solo sfruttamento, verso il consolidamento di vere e proprie Disneyland della cultura, da Pompei a Venezia, e quel che non dà incasso lo si lascia in disparte. Lo sanno bene gli archeologi, o i museali, o i restauratori, che vivono ormai in una perenne condizione di precariato. E lo sanno anche bene quelli che ancora vivono o viveano nei centri storici delle nostre città storiche e più importanti ridotte ormai a centri vacanze per cafonissimi turisti in bermuda. 

Sul teatro si è adottata una medesima logica, facendo man mano svuotare la tradizionale compagnia di giro e puntando sempre di più sul concetto di "EVENTO". Quindi su spettacoli di breve durata, festival per lo più e alto numero di produzione con breve vita, nonché le tante cose che anche in queste pagine virtuali abbiamo già esaminato.
Non a caso, alla fine del giro, il ministero della Cultura è andato a riunificarsi a quello del  Turismo. Il PIL ha bisogno di attrarre turisti e i turisti li attraggono gli eventi. La tournèe non serve più perché scarsamente produttiva. Cosa ci importa di portare spettacoli a... Varese o a Campobasso per 500, o 700 persone la volta, se possiamo in un unico evento di una settimana far muovere migliaia di turisti?
Sentite più gente che dice che, salvi pochi, dice che va a vedere un Museo? Vanno tutti a vedere "la mostra!". E sempre in quest'ottica prolificano le città della cultura, mondiale, europea, nazionale... una spruzzata di celebrità e incassi distribuiti a turno. 

Tutte operazioni che per essere realizzate necessitano di volontari, dilettanti, precari - come le masse di volontari che partecipano contenti (poveri fessi!) alle cerimonie di apertura delle Olimpiadi - ma che nel contempo rendono impossibile la vita lavorativa del professionista.  

Bene, se sono riuscito a farvi inquadrare il problema, vi dico adesso, quel che penso si dovrà fare per risollevarsi, quando sarà il momento di iniziare la "risalita" (che ci sarà), quale la strada a mio parere da intraprendere per la salvaguardia del tutto: dei lavoratori, della professione teatrale, della cultura italiana (e quindi anche mondiale): 

Quando c'è da salvare una istituzione, un plesso produttivo, o da risolvere una situazione socialmente complessa, ci sentiamo dire: “È necessario che le parti in campo si lascino i conflitti alle spalle e uniscano le forze onde favorire una rapida risoluzione della crisi".  
L'appello, come certo vi sarà capitato di notare, è il più delle volte infruttuoso perché non tiene conto di una semplice verità: le diverse categorie hanno interessi contrastanti. Unire le forze, mettere insieme gli intenti, far fronte comune per chi ha legittimamente obiettivi divergenti è semplicemente impossibile, quanto inutile. 
Prima ancora di “lottare insieme” si devono avere chiari gli interessi delle singole categorie, quindi cercare i punti di incontro, e solo da qui potrà partire la “riscossa comune”, solo in tal modo si potranno effettivamente raggiungere degli obiettivi veri, sani, concreti e soprattutto fruttuosi per lo meno sul medio periodo (poiché sul lungo saremo tutti morti, tanto per citare Keynes…). Se poi il discorso verrà bene impostato, allora ci saranno sicuramente degli effetti anche sul lungo periodo . 

Parliamoci chiaro: un imprenditore vuole pagare meno un operaio, ma un operaio vuole essere pagato di più, e un acquirente vuol pagar meno la merce, ma un commerciante vuole guadagnare di più… Tutto normale, se ci pensate un attimo: sono interessi normalmente in contrasto (non normale è l’imprenditore contento perché può pagare meno i suoi operai, dimenticando che così ha anche perso i suoi primi acquirenti).
È fin troppo chiaro che anche in teatro funziona allo stesso modo: un impresario vuole guadagnare di più e pagar meno i suoi scritturati, gli scritturati vogliono essere pagati di più, gli impresari desiderano essere pagati di più dai teatri che desiderano pagarli di meno ecc. Meccanismi che valgono per tutti, per il pubblico per il privato e per i circuiti.

Ma allora, quale può essere il punto in comune, quello che può e deve tenere insieme tutti gli addetti del settore? Sembrerebbe complicato, invece è maledettamente semplice:

la Continuità Lavorativa!

Da non confondere con la “pratica compulsiva” degli odierni teatri Stabili (chiamateli pure Nazionali) fatta di mille mini produzioni, ma la sana vecchia Continuità Lavorativa costruita sulle lunghe tournée, sull’adeguato sfruttamento dello spettacolo, ossia dell’investimento fatto, sia dal Privato che dal Pubblico.

Se infatti avrà più piazze, l’imprenditore privato accetterà di perdere qualcosa sulla singola serata, e lo scritturato, di fronte a una adeguata prospettiva di lavoro, accetterà anch’egli un giusto compromesso sul suo compenso. E gli Stabili non saranno più costretti a rincorrere il numero di “alzate di sipario” con un ritmo di messe in scena forsennato, mortificante per gli scritturati e travolgente per i loro conti. E così ancora per i Circuiti, che potranno tornare a concordare migliori costi degli spettacoli a fronte di un maggior numero di piazze da offrire alle Compagnie, avere un giro di Compagnie maggiore da proporre, ampliare e diversificare l’offerta tra professionisti, spettacoli per le scuole, e anche specifiche rassegne amatoriali.

La Continuità Lavorativa rimette in circolo un alto numero di contributi versati agli enti previdenziali, è positiva per tutto l’indotto che ruota intorno al Teatro, dagli alberghi, ai ristoranti, ai trasporti, agli addetti alle biglietterie, alle maschere, le sartorie e i service luci… fino alle tipografie o la pubblicistica locale. 

È il “ritorno all’antico” che fa la prospettiva futura, e ogni politica che la favorirà sarà certamente positiva. 

Non può non essere chiaro, giunti a oggi, che le riforme messe in campo in questi ultimi venticinque anni, l’idea di teatro e di cultura in generale che sono state attuate, sono indiscutibilmente fallimentari.

Se, come rilevato dall'indagine, “Vita d’artista”, promossa dalla CGIL, dalla Fondazione Di Vittorio e da altre associazioni e movimenti, mediamente un lavoratore dello spettacolo italiano porta oramai a casa cinquemila euro l’anno, se i periodi di non attività sono predominanti, se ci sono enormi problemi nel percepire i compensi stabiliti, se le produzioni in particolare private hanno sempre maggiori difficoltà ad accedere alle sovvenzioni pubbliche, non ritrovano più quella quantità di piazze che un tempo erano la normalità lavorativa, difficilmente ricevono i compensi in tempi accettabili, e se pure molti teatri Stabili sono indietro con il versamento degli stipendi ai loro dipendenti, pagano con ritardi anche di un anno artisti e fornitori, devono mantenere macchine burocratiche che succhiano vampirescamente la parte preponderante dei contributi ricevuti… se insomma tutto questo e molto altro ancora, vuol dire solo che le politiche messe in campo in questi ultimi venti anni sono fallimentari. E senza appello!

A questo punto, per la salvezza di un settore così importante non solo per la Cultura ma anche per l’economia del Paese, è assolutamente necessario cambiare i paradigmi, cambiare rotta, cambiare politica culturale. E la ricerca della Continuità Lavorativa è la chiave della rinascita del Teatro italiano a tutti i livelli
Non soltanto può mettere d’accordo tutti, ma ripropone come centrale il valore storico del Teatro Italiano: la sua natura girovaga e non stanziale

Rimettere in moto la Continuità Lavorativa è possibile. Non per contratto però, come nell’ultimo e per me inconcludente CCNL siglato da parti che più nessuno rappresentano: perché è inutile pensare di imporre a un imprenditore “il contratto continuativo” quando egli non ha “spettacoli continuativi” da offrire ai suoi scritturati poiché non ha accesso ai teatri
Rimettere in moto la Continuità Lavorativa è possibile, invece, smontando i gangli arrugginiti del sistema, sciogliendone i nodi, evitando l’incancrenirsi di consorterie autoreferenziali e ritornando a una libera circolazione delle idee, delle attività artistiche e delle semplici e sane radici professionali
"Tornando all'antico". 

La rinascita culturale del nostro Teatro passa sicuramente da una azione di Liberazione e di apertura totale a tutte le idee, a tutte le proposte, a tutte le iniziative, restituendo al pubblico il solo giudizio insindacabile, rendendo assolutamente disponibili gli spazi, con un sostegno equo e accorto dello Stato per ciascuna attività, con una difesa e regolamentazione seria e profonda delle professionalità, stabilendo regole che vadano a vantaggio di tutti e non di pochi, ma soprattutto facendo in modo che il campo dell’arte non sia luogo di discriminazioni di stampo culturale e/o politico, di dimostrazioni di presunte superiorità morali e/o culturali, di appropriazione di una parte con l’intento di dettare l’indirizzo del pensiero. 

Il Teatro è il luogo in cui la Polis riflette su se stessa, dobbiamo fare in modo che torni ad essere un luogo di confronto libero e per tutti, in una parola di Democrazia. 


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