sabato 27 ottobre 2018

UN SOTTILE MALESSERE (conversazione con un caro collega)

Oggi mi è accaduta una cosa strana, che non mi sarei aspettato: ho dovuto confortare un collega, ma un collega più grande di me, vivo mentalmente e politicamente, non una ameba strisciante di quelle che non si fanno domande, uno che si interroga e si domanda perché le cose vanno così come stanno andando. 
Il mio collega è uno che ha sempre lavorato, da quando è scoppiata la crisi anche più di altri, ma sono un paio di anni che anch'egli ha, purtroppo, cominciato ad arrancare, ed ora si ritrova senza prospettiva lavorativa. Come tanti di noi, ma nella mia testa il mal comune non è mezzo gaudio, è solo mal comune. Fortunatamente, egli ha cominciato a farsi delle domande prima di arrivare in fondo. 
Quelli così, in genere, non hanno grandi episodi di depressione, perché l'inquisizione li tiene svegli, allerta, e non gli permette di ripiegarsi su loro stessi. Eppure, con me si è lasciato andare e mi ha confessato di star male, di essere in ansia, di capire che quello che gli accade intorno, quello che in particolare accade nel nostro lavoro lo sta portando a star male, capisce che è vittima di un perverso meccanismo che lo induce al malessere, e questo, mi ha detto, non gli piaceva. 
Non ne ero meravigliato, per due motivi: il primo è che ci sono passato anche io, il secondo è che se uno è consapevole del malessere strisciante che di lui si sta impossessando, la situazione è meno grave di quel che può sembrare. 
"Vedi - gli ho detto - il motivo per cui sono grato ad Alberto Bagnai come a un fratello, e al suo blog con tutti quelli che lo frequentano abitualmente, è proprio questo, stavo per ammalarmi, con le stesse sensazioni che tu provi ora, e invece ho capito che non avrebbe avuto senso, perché non dipendeva da me; il sistema è costruito in modo tale, vedi, da farti credere che se ti impegni arriverai, ma poi, quando non arrivi, la colpa resta solo tua, perché la sensazione netta che il sistema ti rimanda è che non ti sei impegnato abbastanza; e invece non è così - capii - perché tu fai tutto quello che è nelle tue possibilità e anche qualcosa in più, eppure Il Sistema non ti fa passare; è la bufala della meritocrazia: tutti sono certi di essere meritevoli (perché nessuno direbbe di se stesso che non lo merita), ma questo comporta anche che poi tutte le colpe di un possibile fallimento ricadranno solo su di te. E invece non è così, non sei tu il colpevole, è Il Sistema che è fatto male o per meglio dire, è malato. Ed è contagioso, per cui il risultato è proprio questo: che alla fine sei tu che ti ammali." 
"Sì, è vero - mi ha risposto il collega - ci stavo ragionando proprio in questi giorni, tu fai mille sforzi, eppure ci sono una serie di cose che ti schiacciano, ti sopraffanno. E noi non siamo gente che non ha fatto nulla in vita sua, che non ha meritato, che non ha raggiunto risultati. Cazzo, abbiamo fatto ruoli, protagonisti, coprotagonisti. Quindi non avrebbe senso pensare che sei uno che non ha mai fatto un tubo, semplicemente ora ti stanno come espellendo piano piano, a mano a mano. Io, in questo momento, sono come un esodato. Ho qualche anno più di te, un tempo sarei arrivato finalmente alla pensione. Ora invece in pensione non mi ci mandano, ma non ho un lavoro, quindi non ho un reddito. Tecnicamente sono come un esodato. E siccome, oltre tutto, ho una compagna che invece lavora e guadagna discretamente, non posso nemmeno accedere a tutta una serie di forme di sostegno statale, perché fai l'Isee e praticamente non risulti povero, perché la tua famiglia ti può mantenere. Ma si può pensare alla soglia dei 60 anni di essere mantenuto dalla famiglia? Sei tu che dovresti mantenere la famiglia, o quanto meno dare il tuo giusto contributo."
"Concordo, sono nella medesima situazione. Questa cosa dell'Isee, sarà pure un parametro equo che hanno trovato, ma io la trovo irrispettosa della dignità personale."
"Ma certo, perché tu non puoi dare il tuo contributo alla vita di famiglia, e la cosa assurda che sei incatenato all'altra persona, come in uno stato di dipendenza, di sudditanza. Non so se riesco a spiegarmi."
"Perfettamente. Se un giorno ti svegli e capisci "non ti amo più", non te ne puoi andare perché... non hai una indipendenza economica..."

"O per lo meno un minimo di autonomia. Ora, io non ho intenzione di andarmene..."
"E nemmeno io..."
"...e c'è anche mio figlio, ecc. Ma capisci che questo fatto dell'Isee, dovrebbe fare giustizia sociale, e invece toglie dignità personale."
"E lo capisco sì. Pensa che io dovrei fare il processo alla Sacra Rota per il mio primo matrimonio, ho tutto quello che serve, motivazioni, testimonianze... tutto. Ma per forza di cose devo accedere al gratuito patrocinio. Solo che la mia Curia non lo dà se non gli porto l'Isee. E per farlo devo chiedere alla mia compagna di darmi tutte le sue carte, tutto, anche se ha un libretto di risparmio con duecento euro sopra, io lo devo sapere e portare i documenti a loro... E a me non mi va. Quella è una cosa mia, un problema della mia gioventù, che io voglio risolvere da solo, perché devo coinvolgere lei in un fatto che non la riguarda, un fatto di quando lei non c'era... E tutto questo pur essendo chiaro che il mio reddito ha bisogno della bombola d'ossigeno. Capisco che è una idea paradossale la mia, che uno dice pure: "Ma è la tua compagna, perché deve nasconderti le cose". Ma non è così..."
"Certo, è una tua forma di rispetto..."
"E il risultato è che la causa non parte... e pazienza, il Signore capirà." 

"Secondo me, pure lui ogni tanto guarda qua sotto e si chiede: "Ma che state a combinà?", nemmeno lui ci capisce niente, a volte".
E ci siamo fatti una risata. 

Perché per fortuna noi ridiamo ancora, sorridiamo ancora, in barba a tutto, in barba al mondo, in barba agli uomini che ci hanno tolto un pezzo di tempo che avremmo potuto usare per fare forse qualcosa di buono, o per lo meno di onesto. 
La mia consapevolezza è che non potremo dire che "ci rifaremo" perché il tempo non torna. Potremo solo essere nel presente e vivere tutto quello che c'è da vivere, fino in fondo. 
Anche questa nostra faticosa risalita. 
Sorridi, compare, noi ci facciamo domande, noi in qualche modo ce la faremo, è sicuro. 

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