lunedì 15 ottobre 2018

LA PREBENDA DEL TEATRANTE

È evidentemente un momento di grandi cambiamenti, di pulsioni, tensioni, ribaltamenti. Comunque la si voglia vedere, qualcosa sta accadendo, e sta accadendo a livello internazionale. Nulla, appare sempre più chiaro, è racchiuso nel nostro piccolo mondo, e mai come adesso si può letteralmente vedere quanto una cosa che accade negli USA o in Germania finisce per influenzare la nostra quotidianità. 
Il globalismo è nei fatti. La sua gestione, invece, è una decisione politica. 
Perché questo benedetto globalismo c'è sempre stato, non è una caratteristica del nostro tempo. 
Si muoveva con ritmi diversi, perché legati a quella della vita in cui i fatti si sviluppavano, ma cos'è Marco Polo che va in Cina, il commercio delle spezie, le guerre per il predominio su certe rotte, l'invasione di altri territorio perché ricchi di alcune materie prime... cos'è tutto questo se non globalismo? 
Il problema è la gestione politica del fenomeno: puoi lasciartene assorbire totalmente e far sì che ogni tuo ristorante diventi un McDonald, porre dei limiti per una equa suddivisione degli spazi, impedire alla multinazionale di arrivare sul tuo territorio... In ogni caso si tratta di scelte politiche. 

Ultimamente anche la mia categoria, gli attori, è in gran fermento. E questo dato non può che essere accolto positivamente, anzi felicemente. In trenta e più anni di frequentazione del mondo teatrale, ho visto spesso gli attori cercare di compattarsi intorno a una qualche rivendicazione sacrosanta, ma regolarmente tutto finiva in una bolla di sapone. Perché? Perché fino a un certo punto c'è stato "pane per tutti", e quando hai la scrittura ogni altro problema passa in secondo piano. "Quando torno dalla tournée ci penso", pareva essere lo slogan del teatrante medio nei tempi andati (oltre tutto non c'erano nemmeno cellulari e computer), e regolarmente "le grandi battaglie" finivano come tutti i pater... 
L'attivismo di oggi, dicevo, è sicuramente forte, e si sviluppa in più direzioni. C'è da un lato chi fa delle precise richieste di tipo professionale, una serie, cioè, di modifiche alle leggi che riconoscano le specificità lavorative della categoria attoriale; c'è chi rivendica il valore della Cultura nel Paese, puntando su un piano puramente concettuale; e c'è chi si affanna in incontri con politici locali e talvolta nazionali rivendicando la necessità di maggiori investimenti. 
Ecco, questi ultimi sono quelli che suscitano in me il maggior sentimento di tenerezza. 
La mia opinione è che ciascuna delle macrocategorie che ho indicato, richiede interventi su elementi importanti, fondamentali; non tutti si pongono il fondamentale interrogativo: "Perché siamo giunti a questo punto?", o quando se lo pongono - è la mia impressione - o non vanno a fondo, o non affrontano il problema in maniera adeguata. È invece - questa sempre la mia opinione - di vitale importanza comprendere i motivi che hanno condotto alla devastazione attuale. Che non sono solo le leggi che sono state fatte, ma il motivo per cui sono state fatte. Su questo, mi spiace dirlo, ragionano in pochi. 
Ma quelli che continuano a chiedere alla politica più investimenti - dicevo - sono quelli che mi fanno maggiore tenerezza. Perché la sensazione che si ha a leggere i resoconti degli incontri o alcune loro esternazioni, è di un qualcuno che viva totalmente sganciato dalla realtà. 
"Il Governo DEVE investire in Cultura"... siamo d'accordo. 
"La Regione DEVE investire in Cultura"... e siamo ancora d'accordo.
"Il Comune DEVE investire in Cultura"... e arisiamo d'accordo. 
Fortunatamente per costoro le Provincie sono state "abolite" dal Governo Renzi, così si possono risparmiare un passaggio (meno fortunatamente per chi non sa più a chi rivolgersi per l'erogazione di determinati servizi). 

Già. Ma se le Istituzioni i soldi non ce li hanno?
Il convincimento di costoro è che i soldi ci siano ma non vengono investiti nei loro settori quasi per una forma di infantil dispetto. Pare quasi una scaramuccia tra bambini: "Dammi il pallone", "Non ce l'ho", "Non è vero, lo hai nascosto", "No, non è vero...", "Sì, è vero, dammelo...". 
Deve essere per questo che mi fanno tenerezza, come tutti i cuccioli. 
E se fosse vero che i soldi non ci sono? Non sarà forse il caso di chiedersi il perché non ci siano? 

In verità, l'azione di questa frangia è più pericolosa di quanto si immagini, poiché dà alla politica una immagine della categoria decisamente misera, da accattoni, e non di professionisti o di imprenditori attivi e vitali, pronti a rischiare e ad assumersi delle responsabilità, ma solo alla ricerca di una sussistenza, mascherata dal discorso culturale.
Trovo encomiabili le azioni di altri gruppi che agiscono, per esempio, per il riconoscimento professionale della categoria degli attori, perché in qualche modo cercano di modificare il sistema, un'azione dalla quale tutti trarranno giovamento e per un periodo lungo.
Il contributo momentanea e non strutturale, invece, legato al politico di turno e alle situazioni contingenti, darà ossigeno oggi, ma domani si tornerà in affanno, e pian piano la sola destinazione è quella dell'oblio. 

Spero vivamente che costoro non trovino sponda nella politica (tanto, denaro in giro non ce n'è) e che si debbano ritrovare spalle al muro a chiedersi almeno per una volta: "Ma perché i soldi non ci sono?".   

Nessun commento:

Posta un commento

dite pure quel che volete, siete solo pregati di evitare commenti inutili e volgarità.