martedì 7 novembre 2017

ATTORI, NUOVO CCNL - per perdere i diritti basta il tempo di una firma...





















Cari colleghi,
non mi sarà purtroppo possibile essere con voi alle assemblee sindacali di Roma e Milano (i cui riferimenti trovate nella foto in testa), consegno dunque a queste poche righe la mia riflessione.

Le questioni che si stanno ponendo nella discussione del nuovo CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) sono decisamente chiare e ci sono anche state dette, dai resoconti che ho letto, senza mezzi termini dalla controparte, e che sintetizzo così: i costi della crisi non possono che essere scaricati sui lavoratori.
Tale meccanismo - che altro non è che scelta politica, non economica - ha già colpito le altre categorie di lavoratori italiani, con riduzione dei salari, delocalizzazioni, aumenti delle ore di lavoro, ma soprattutto abbattimento dei diritti.
Sulla questione del “lavoro a intermittenza”, è nata, tra me e alcuni colleghi, una piccola ma interessante discussione sui social. Non intendo qui entrare nel merito, poiché ognuno avrà la propria opinione sullo specifico problema e ciascuna opinione mostrerà certamente punti interessanti.
Credo invece che, dato il momento storico che non soltanto il nostro Paese attraversa, si debba fare una diversa riflessione proprio osservando il percorso già attraversato dagli altri lavoratori italiani, riflessione che vi porgo in una domanda: l’accettazione di riduzioni di salari, di aumento delle ore, di riduzioni di diritti, ecc. ha alla fine portato a un miglioramento delle condizioni di lavoro, a un risanamento delle aziende, a una rinascita del percorso produttivo, ha, insomma, il sacrificio dei lavoratori prodotto un risultato che in qualche modo sia andato anche a loro vantaggio?
Credo che la risposta la conosciate; per chi non la conosca, è NO.
Ma consideriamo anche la situazione – pura immaginazione – in cui gli effetti dei sacrifici chiesti ai lavoratori abbia avuto esito positivo. Questi avranno sicuramente conservato il posto di lavoro, ma avranno poi riacquisito i diritti cui avevano rinunciato? Anche in questo fanta-caso la risposta vi è nota, e per chi non la conosca è ancora: NO.

È proprio di fronte a tale dilemma che si ritrova la nostra categoria, disponibile al dialogo, attiva nelle proposte, consapevole del momento storico-economico che si sta vivendo, aperta alla mediazione, ma di fronte la quale non pare si ritrovi una controparte ugualmente disponibile
Ciò che vi invito ad osservare è il “meccanismo” che costantemente si sta ripetendo, che in una misura non irrilevante ha già segnato molti colleghi dei teatri lirici, e che possiamo, nei risultati, ormai chiaramente osservare nelle altre categorie di lavoratori.

La domanda che mi sono fatto è: ma se non si firma questo contratto, cosa accade?
Ebbene, nulla!
Nel senso che resta in vigore il vecchio contratto, o meglio quello attuale. La sottolineatura credo sia importante, poiché spesso sento parlare di vecchio, come se già lo avessimo mandato in soffitta, in realtà è quello adesso in vigore. Comprendo che i minimi e le diarie siano ormai inadeguate, che vi sono contenute una serie di norme che non interessano più nessuno, e che, soprattutto, quasi nessuno più rispetta. Ma vorrei invitarvi a riflettere su due punti: il primo è che nel caso sia pur remoto di un’azione giudiziaria, è questo CCNL, oggi, ad essere il riferimento per un giudice, è ciò che è scritto in questo CCNL e non “quel che poi accade nella realtà” ad essere il discrimine per la giurisprudenza; essere nella legge, dunque, è una forza, non una debolezza.
Il secondo punto, è che pur comprendendo l’inadeguatezza dei compensi e le altre questioni cui accennavo, la chiave fondamentale, a mio vedere, è sui diritti. Vi invito a riflettere: un compenso che passa da 5 a 7 (numeri dati solo per esemplificare), quanto siete certi che cambierà la vostra vita? E sulla base di questa per voi variazione, c’è contezza di quanto e come potranno variare gli utili per i datori di lavoro, ugualmente da 5 a 7?
Avete mai sentito parlare in questi anni di aziende con commesse, in attivo, che delocalizzano per avere ancor più profitto a discapito dei lavoratori lasciati a casa?
Credo che si sia in un momento in cui occorre estremo coraggio, anche il coraggio di dire NO e imporre le proprie ragioni a costo di rimanere al palo, che poi vuol semplicemente dire: ciò che già conosciamo e viviamo. Quanto siamo certi che le nuove proposte cambieranno le nostre situazioni lavorative?
Comprendo il legittimo desiderio dei sindacati di portare a casa un accordo, nella convinzione che questo sia il meglio possibile per i lavoratori dato il momento storico, ma – attenzione! – il momento storico sta già cambiando (e non mi riferisco a abberluscone-adestra-erpopulista, ma ad un contesto ben più generale e profondo), così che potremmo ritrovarci, tra qualche anno, in un sistema rivitalizzato… ma senza più i diritti di un tempo.
A perdere i diritti ci vuole il tempo di una firma, a riconquistarli ci vogliono anni di lotte.

Io credo fermamente che ciascuno di noi, nella propria coscienza e per la coscienza collettiva, debba mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro, riflettere profondamente se può avere senso svendere, come già altri hanno fatto, i propri sia pur tenui diritti per un piatto di lenticchie oggi senza considerare la prospettiva a medio termine che non investirà solo noi ma anche le nuove generazioni di colleghi.
Non credo si debba scendere a compromessi se la controparte non appare effettivamente disponibile al compromesso, credo che i lavoratori dovrebbero tornare a pretendere e non a elemosinare, ponendo in tal modo in crisi effettiva l’intero sistema, credo che se nella vita reale nessun diritto ci viene riconosciuto e venga rispettato sia almeno importante che sulla carta questi diritti esistano e siano legge, credo che in alcuni casi il principio si faccia più importante della concretezza quotidiana.

Dal mio punto di vista è un accordo che non va firmato, per il semplice principio che in questo momento storico sono i lavoratori che devono vedere accolte le loro richieste senza se e senza ma.
Non credo vada firmato, ma non posso però impedirlo. Posso soltanto esprimere la mia opinione, una tra le tante e null’altro, nel rispetto del lavoro di tutti e comunque sia con un ringraziamento per quei sindacalisti che con onestà e dedizione a questa questione si stanno dedicando. 

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