giovedì 22 giugno 2017

IL PROVINO PER LE FINCKSCION (cose da attori)

Diciamoci la verità, cari colleghi: quando ci arriva per un buon provino per una fiction, pur nel nostro animo di puristi teatrali, siamo decisamente contenti. E' lavoro, e al lavoro non si rinuncia mai, sopra tutto quando, come quello televisivo, ci mette nelle condizioni di ottenere il massimo del compenso con uno sforzo minimo rispetto all'attività teatrale. Per non parlare del ritorno di popolarità con la cara signora del pianerottolo, che un bel giorno ti guarda stupefatta e ti chiede se eri proprio tu quello che ha visto in televisione, e da quel giorno ti saluta con deferenza: è poca cosa - noi lo sappiamo - ma perché negarci che ci fa piacere e che anche l'ego vuole la sua parte?
Quindi, va tutto bene.
Va tutto bene fino a quando via mail non ti arriva il foglietto (al massimo sono due) con la scena da usare per il provino. E qui, se si ha un minimo di logica, cominciano i problemi.
Perché improvvisamente ti trovi di fronte a una lingua che ti chiedi cosa sia. E' zambiano, giapponese, colombiano o lituano scritto da un congolese?...
Pare tutto, tranne che italiano. O quanto meno un italiano che possa aiutare un attore a svolgere il proprio lavoro, che possa essere comprensibile per un ascoltatore medio, che abbia i criteri minimi di consecutio e di grammatica di base (sia linguistica che attoriale).
C'è questo piccolo esempio che credo ricorderò sempre. La scena presentava questa situazione: un maturo signore che cercava di abbordare una ragazza, tale Carlotta. Di fronte allo sconcerto di lei, l'uomo si giustificava dicendo: "E' la natura Carlotta".
Mi chiesi subito se la Natura si chiamasse Carlotta, o se Carlotta fosse un aggettivo a me sconosciuto. Dopo un momento di perplessità, l'errore mi parve chiaro. Mancava una fottutissima virgola: "E' la natura, Carlotta".
Sono passati molti anni e continua a chiedermi se fosse così complicato mettere una fetente di virgola...
Ma la punteggiatura, in queste paginette che ti giungono, pare sia una illustre sconosciuta, e così ti trovi di fronte a virgole e punti messi letteralmente a caso, gettati a manciate in mezzo alle parole come un seminatore lancia il seme del grano nella terra: da qualche parte cascherà e farà il suo lavoro.
E sì, perché pare che per costoro, il problema sia totalmente rimandato all'attore, che deve prima decriptare quell'assurdo linguaggio e poi cercare di farsi una interpretazione.
Non parliamo poi della sinossi. Altra sconosciuta! Per cui di quel personaggio o proprio di quella scena sai praticamente nulla, e dunque non puoi fare altro che procedere a tentoni, scegliere una strada (come gettare una fiche sulla roulette) e sperare che sia quella giusta (il che ti fa anche pensare che tutto sarà questione solo di "faccia" e non di quel che sai fare, e ancor più che sarà questione solo di... puro culo!)
Capita così, come a me capitò, che mi chiamarono per una "posa" (per i non addetti, una giornata di lavoro), mi diedero in mano una scena, la imparai, feci della cose generiche... e me ne andati. Era una fiction importante che è stata più e più volte replicata. Un bel giorno, al bar, il caro amico prof. Giuseppe Gentile, detto Geppino, grande ispanista della Università di Salerno, mi disse che il mio era un personaggio importante per quanto piccolo, perché punto di svolta di tutta la storia. La piccola azione che io avevo interpretato era un nodo drammatico fondamentale! Geppino vide lo smarrimento sul mio volto, e dovetti ammettere che non sapevo nulla.
Perché spesso trovi un regista che ti spiega cosa stai per fare, altre volte gente che non ha nessun interesse a fartelo sapere.
Mettete insieme tutti gli elementi che vi ho fornito (e non sono nemmeno tutti) e saprete perché i prodotti televisivi hanno questa bassa qualità... senza che aggiunga altro.
Quello della scrittura, però, mi angoscia più di tutti.
Ora voi lo vedete, io non sono un eccelso scrittore, ma diamine!, cosa ci vorrà a mettere in fila delle parole e qualche segno di interpunzione pulito che aiuti il povero attore a capire?
Quali siano i motivi di questa sempre più diffusa sciatteria non lo voglio sapere, me li immagino, ma non lo voglio più sapere, sono stanco.
Una sola volta mi è capitato di leggere sceneggiature di fiction ben scritte: per "Rocco Schiavone", il vice commissario di Antonio Manzini. Non mi meravigliai per il semplice motivo che Manzini, prima attore e oggi scrittore, ci aveva messo le mani. E mi è anche capitato di sentire scrittori che si lamentavano di come fossero rimasta incomprese e distorte alcune semplici battute tratte dai loro romanzi...

Cosa bisognerebbe fare? Forse consigliare a coloro che scrivono di... leggere, ma leggere grandi autori, grandi classici e possibilmente prima quelli italiani. E magari, leggendo, porre un minimo di attenzione a come procede la scrittura (ma non vogliamo chiedere troppo a dei "professionisti"). Perché io sono certo che chi sa leggere sa scrivere, e chi sa scrivere sa leggere. 
Capisco che nella ricerca del "quotidiano", lo sceneggiatore possa scegliere di scrivere una lingua sciatta perché "così si parla nella vita"; lo capisco, ma non capisco chi frequentiate, perché io non parlo così e nemmeno tanti e tanti miei amici e persone che ascolto per la strada. 
Non sarà che vi siete fatti una opinione sbagliata (o al limite frequentate solo analfabeti)? 
Ma allora, se questo è il motivo, li invito a leggere la Ginzburg, Natalia, il suo teatro che volutamente è scritto in una lingua semplice ma non dimessa, quotidiana ma non sciatta. 
L'effetto "quotidianità" è assicurato, l'orecchio del povero spettatore è salvo... e il povero attore ha un solido terreno su cui poggiare i piedi. 
Non credo sia chiedere troppo.


(perdonate gli errori, non ho riletto, devo tornare a studiare per un provino)

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