giovedì 2 febbraio 2017

L'AMARO POSTO NELLA STORIA DELLA MIA GENERAZIONE

Ormai, a causa di una serie di eventi incrociati, l'argomento uscita dell'euro è sdoganato. 
Grazie al cielo! 
Il crollo è imminente. Imminente sempre stando ai tempi della politica. Un anno, un anno e mezzo, due... Tutto può essere. Fatto sta che la moneta unica è finita e la si tiene in vita come un comatoso più prossimo alla dipartita che alla ripresa. 
A proposito di ciò, mi è capitato di leggere sui social un commento, tra i tanti, ieri, nel quale si diceva: "Bene, ma a me questi sedici anni di vita chi me li ridà?". 
Sacrosanto. Qualsiasi cosa possa avere indotto i nostri governanti (in buona o cattiva fede?) a intraprendere questa strada, che già si sapeva sarebbe stata fallimentare, resta il fatto che sedici anni della nostra vita sono passati. 
Quando siamo entrati nell'euro io avevo quasi trentasette anni, ora ne ho cinquantadue, e pur volendo contare solo gli anni di crisi piena dal 2008, sono comunque circa otto anni di fatiche e lotte e sofferenze e gastriti, di occasioni perse, di lavoro sballato, di vita e amore disturbati; di un logoramento generale insomma, otto anni della mia vita che niente e nessuno potrà mai restituirmi. 
Lo trovate giusto? Io no. Ed è questa per me la più grande colpa di coloro che, pur sapendo, hanno fatto il passo sbagliato. E che sia stato sbagliato, oggi lo sappiamo in pieno e senza dubbi; possono, quei soggetti, continuare a menare il can per l'aia quanto vogliono, ma i fatti sono qui, incontrovertibili. 
Per questo non ho mai creduto a quella idea d'epoca berlusconiana, che tutti i partiti hanno abbracciato, per cui si elegge uno, lo si prova, poi se non va lo si cambia. Perché le nostre legislature, nazionali o locali, durano tra i quattro e i cinque anni, e quando tu combini un disastro (a Parma in una sola tornata qualcuno fece un buco da un miliardo di euro, tanto per ricordare), poi ci vorranno altri anni per risanare... e a me, il tempo che mi hai rubato con tutto ciò che vi è di vita connesso, chi me lo restituisce? 
In tal senso, questa politica odierna mostra tutta la sua pochezza, ed andrebbe spazzata via in toto, cioè non solo gli uomini, ma anche il sistema. 

Il commento sul social, però, mi ha fatto tornare alla mente una mia vecchia domanda: che generazione saremo, noi, per la Storia? 
Sono nato nel 1965, e spesso ho pensato che la generazione di mio nonno ha vissuto il fascismo (di qua o di là è altra storia) e ha fatto la guerra; quella di mio padre la ricostruzione, i miei cugini più grandi il '68 e poi il '77... e noi, noi che nei giorni della immaginazione al potere avevamo tre anni, e dodici durante la liberazione sessuale? 
Chi saremo noi davanti alla Storia, la generazione degli anni '80, degli Yuppies rampanti? O mio Dio! E mi prende lo sconforto. 
In effetti un disastro. Ma bisogna sempre trovare un modo per vedere quel dannato bicchiere mezzo pieno, anche se per me il bicchiere non è mai stato né mezzo vuoto né mezzo pieno, ma solo mezzo bicchiere di vino. 

E dai, cerchiamo di vederla bene, soprattutto ora che volge alla fine la grande battaglia, questa immensa e subdola terza guerra mondiale. Posso consolarmi. Quando nel 2012, dopo una serie di domande, ricerche e curiosità, approdai alla verità, mi prendevano e ci prendevano per matti e appestati, per gente da mettere in un angolo e con la quale non si doveva parlare. Per strada ho perso amici e raffreddato i rapporti con tanti cui continuo a volere bene, ma con i quali è meglio non parlare di "certe cose". Certo, ho trovato nuovi amici e nuovi conoscenze, ma quanta sofferenza è costato questo percorso. 
E parlo io di sofferenza, io che in fondo ho sempre potuto mettere insieme pranzo e cena, pagare affitto e bollette, che ho dovuto rivedere tanti e tanti parametri della mia esistenza, ma non mi sono mai trovato nella condizione di coloro che, per esempio, sono stati letteralmente spinti al suicidio, di coloro che hanno perso davvero tutto avendo i figli o altre grandi responsabilità sulle spalle. Io in fondo, in tutto ciò, sono anche stato fortunato. Ma questo non ha alleviato la mia rabbia e la sofferenza dentro, perché vedere soffrire e spesso morire le persone oneste, semplici, per bene, fa solo male all'anima, e quindi a tutto il nostro essere. Solo chi non ha cuore per il proprio prossimo mai, può aver vissuto bene questi anni, perché lo stato di sofferenza delle persone era reale e dinanzi agli occhi di tutti.   
In tutti questi anni, che volgono fortunatamente al termine - ma che ancora non ci hanno dato la parola "fine!", quindi dovremo continuare a far lo sforzo di esser vigili - un verso di Alfonso Gatto mi è tornato spesso alla mente: "i poveri hanno il freddo della terra". 
Non posso nascondere che non ho mai ben capito cosa voglia dire, ma per me esprime tutte la tenerezza, e il dolore che sento dentro per coloro che sono stati tanto, troppo più sfortunati di me, sempre che di "sfortuna" si voglia parlare, visto che chi ha voluto questa situazione, ora sappiamo che sapeva, sapeva perfettamente. 

Alla fine, anche la mia generazione si è conquistata il suo posto nella Storia, ha avuto la sua infima casellina, qualcuno potrà sempre dire che anche noi siamo passati su questa terra: siamo quelli che hanno lottato, chi nel grande, chi nel piccolo, ognuno a seconda delle proprie possibilità, perché questo regime dittatoriale della moneta unica, dell'Unione Europea, del globalismo senza freni e senza controllo, del disprezzo verso i poveri, del classismo, del ritorno alle monarchie assolutiste, della distruzione delle nostre culture, della sostituzione di popoli, della menzogna e della mistificazione fatte sistema, di una ideologia sconfinata in un credo cieco e fondamentalista disprezzante il dolore altrui, non vincesse. 
Ce l'abbiamo quasi fatta. Non è ancora finita, ma ce l'abbiamo quasi fatta. E anche quando sarà finita, ed avremo vinto (ci spiace per coloro che perderanno) non dovremo mai dimenticare, insegnandolo alle nuove generazioni, di non distogliere mai l'attenzione, di non credere alla prima cosa che ti dicono, di non pensare che i diritti acquisiti, conquistati dai nostri padri, nessuno te li potrà mai togliere, di non dare mai la libertà, la democrazia, lo stato sociale per scontati, perché questo è stato il nostro errore. 
Noi, adesso, per questioni di tempo, non abbiamo più molto da imparare, ma dobbiamo imparare a insegnare perché non si ripeta. 
C'è ancora da fare, ma tutto fa intravedere che ne usciremo a testa alta: "noi pochi, noi felici pochi, noi banda di fratelli". 
Bene, avremo fatto il nostro. E così sia.

Mi resterà soltanto una malinconia: avrei preferito non contare, avrei preferito essere dimenticato dalla Storia e non vedere tutto questo. L'avrei preferito.  

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