Cos’è il dolore?
Giuseppe Patroni Griffi è stato un grande scrittore
italiano, sopra tutto uno splendido commediografo, certamente il più importante
del secondo novecento italiano, l’unico degno epigono di Pirandello.
I più lo conoscono soprattutto per la sua attività di
regista, che Peppino Patroni Griffi riteneva secondaria, sia pur nella eccelsa
qualità che raggiungeva, in teatro come in cinema o televisione.
Stavamo provando “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller,
una storia, tra le altre cose, di emigrazione e fatica. Il protagonista era Sebastiano
Lo Monaco, io interpretavo l’avvocato Alfieri. Conoscevo Peppino da circa venti
anni. Quel giorno per la prima volta che lo vidi piangere.
Raccontò che la sera prima aveva seguito in tv un
documentario sulla emigrazione italiana nella prima metà dello scorso secolo. A
un certo punto, disse delle facce di quegli uomini e di quelle donne, e dei
bambini, dei vecchi che i filmati mostravano; sulle banchine, in attesa di
imbarcarsi, volti rugosi, duri, tristi, segnati negli occhi carichi di
malinconia di dolore.
“Ecco – disse Peppino cominciando a commuoversi – io non
saprei come descrivere il dolore. Ma so che esiste!”. I suoi bellissimi occhi
anziani si fecero rossi di pianto, tirò fuori il fazzoletto e asciugò le
lacrime. La sala prove si coprì di silenzio.
Peppino diede un profondo sospiro. Poi, da vecchio capitano
della nave, ci invitò a riprendere la prova.
Durante questa triste giornata ho seguito con commozione le
varie trasmissioni sulla pesantissima nevicata e sul terremoto che hanno
colpito il centro Italia, in particolare la straziante storia dell’albergo di
Farindola.
Un abbraccio amorevole non può che andare agli uomini dei
soccorsi, al loro coraggio alla loro civile abnegazione. Hanno avuto tutti i
mezzi a disposizione, sono stati messi nella migliore condizione possibile per
poter operare? Non lo so, e sono cose che vanno lasciate a chi fa le inchieste giornalistiche
e se sarà il caso alla magistratura, ma quegli uomini mi hanno riscaldato il cuore
come il cuore dei miei affetti più cari.
E poi i volti della gente, della povera gente che è lì,
sotto la neve, al freddo, coi nervi a pezzi per le scosse telluriche, a
soffrire, a tenere duro, per amore della loro terra e della loro vita, in un
momento in cui la vita e la terra sono la stessa cosa.
La pacatezza di certi anziani, la dignità, la compostezza
nel dolore e nella fatica, l’amore per i proprio cari o per i propri animalli,
per il proprio lavoro, per quelle quattro mura che sono la concretizzazione dei
sacrifici di una vita e che oggi non ci sono più. Sentinelle della dignità e di
quattro povere pietre. Sono importanti quelle pietre, evitano che quei
sacrifici di una vita divengano esclusivamente un ricordo. Avrebbero voluto
portarli via, negli alberghi al mare. Hanno rifiutato. Li capisco.
Guardando quei visi ho ripensato a quelle parole di Peppino.
Come si può descrivere il dolore? Quali parole si possono usare? Se un grande
scritto si è umanamente arreso, non ci riuscirò certo io. Anzi, non ci provo
nemmeno.
Ma oggi Peppino mi è tornato in mente con quelle sue parole.
Mi pare... mi pare di averle improvisamente sentite dentro di me.
Non so descrivere il dolore. Ma so che esiste.
Abbracciate le vostre pietre.
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