domenica 15 ottobre 2023

Ibsen, Casa di bambola: NORVEGIA LIBERA!

L'importanza di Henrik Ibsen nella storia della drammaturgia mondiale è nota ai più. Certamente l'autore norvegese ha avuto il merito di dare regola a una tendenza che si stava già esplicitando in altri autori e altre nazioni, quella alla cosidetta "quarta parete", quella modalità di scrittura, recitativa e di messa in scena secondo la quale l'attore-personaggio considera "non esistente" il pubblico, e lo spettatore è come uno che metta l'occhio al buco di una ideale serratura attraverso cui spia i personaggi e la loro storia. 
Per capirci, nelle commedi di Goldoni, per esempio, quando un personaggio ha un cosiddetto a parte, cioè si esprime in solitaria, magari in una riflessione che è di commento all'azioneparla con il pubblico, lasciandoci intendere che l'interprete/personaggio ha piena coscienza della esistenza dello stesso. Dalla seconda metà dell'800 in poi, dalle teorie del Naturalismo in poi per intenderci, diviene impensabile il solo credere che il personaggio di una azione del 1400 possa sapere che non solo è su di un palcoscenico, ma che in sala ci siano spettatori del 1800. Ecco che si fa avanti l'idea, in fondo semplice, che tra platea e palcoscenico sia come elevata una ideale quarta parete che isoli l'azione. 
Bene, dopo questo spiegone - consideri il lettore addetto ai lavori che parliamo anche ai non addetti, grazie! - torniamo al nostro Ibsen. 
Dirvi che amo questo autore... beh, non particolarmente. Riconoscere grandezza e importanza di un artista non vuol dire per forza amarlo. Henrik Ibsen è per me un importante autore di teatro, a tratti straordinario, ma diciamo che non lo preferisco particolarmente. 
Ultimamente, selezionando scene per fare esercitare i miei allievi, ho dovuto, per ragioni anche storiografiche, scegliere l'ultima scena di una commedia che francamente trovo noiosissima: Casa di bambola, ultima scena che teatralmente è scritta magnificamente e che si presta per fare esercitare giovani menti, alla ricerca della logica, alla sottigliezza del dialogo, alla pregnanza e presenza di uno scontro più psicologico che non di azione. Non è certo la sola scena che offre elementi di esercizio del genere, ma tracciando un percorso storico, perché escludere il grande norvegese. 

Una amica, Francesca Fancini, laureata in Lingue con prima lingua il danese, mi raccontò che quando Danimarca e Norvegia si separarono - erano un unico regno - i norvegesi, per crearsi una loro lingua fecero una semplice operazione: presero a pronunciare le parole così come erano scritte, lettera per lettera, distinguendo in tal modo il danese dal neonato norvegese. 
Posso facilmente immaginare che Ibsen, come primo grande autore di quella nazione, sia particolarmente venerato anche come un codificatore della lingua, come Dante lo è per noi o Shakespeare per gli inglesi. 
La storia della Norvegia dell'800 fino alla sua piena indipendenza nel 1905 è un po' più complessa di un divorzio consensuale, e con una rapida ricerca in internet, come io ho fatto, scoprirete aspetti molto interessanti su questa nazione passata dai danesi a una sorta di indipendenza, poi sotto gli svedesi, fino al raggiungimento pieno dell'obiettivo. 

Ora: Casa di bambola fu una commedia che suscitò un grandissimo scandalo. Questa storia di una moglie che rifiuta il suo ruolo nel matrimonio, sia come consorte che come madre, e lascia tutto per una indipendenza senza certezze, per questo salto nel vuoto, sconvolgeva la morale del tempo al punto che al debutto in Germania Ibsen dovette modificare il finale poiché l'attrice si rifiutò di rappresentare questa madre degenere. 
Ebbene, ascoltando le parole di Ibsen dalla viva voce degli allievi, sono stato attraversato da un pensiero: siamo proprio certi che dietro la storia di Nora, scritta ad Amalfi, durante un viaggio di Ibsen in Italia nel 1879, all'Hotel Luna (c'è ancora la targa fuori a ricordo), 


ci sia solo la ribellione della donna che cerca la propria piena realizzazione il femminismo ante litteram, il sovvertimento dell'ordine morale costituito? 

Le ultime parole di Nora mi paiono di una strepitosa chiarezza, c'è in esse un anelito a una libertà che non si fa alcun problema per quel che sarà, sono le parole di chi preferisce tutto, anche la miseria, alla subordinazione, alla dipendenza, alla servitù. 

NORA (...) Sta bene, Torvald. I bambini non li voglio vedere. So che sono in migliori mani che nelle mie. Come sono ora io non valgo nulla per loro.
HELM. Ma più tardi, Nora, in seguito....
NORA. Posso forse saperlo? Non so mica cosa sarà di me!
HELM. Ma tu sei mia moglie, non soltanto ora ma anche....
NORA. Senti, Torvaldo. Quando una donna lascia la casa di suo marito come faccio io stanotte, allora, egli resta, secondo quanto ne so io della legge, liberato e dispensato da ogni obbligo verso di lei. Comunque sia però, io ti libero da ogni vincolo. Tu non devi sentirti menomamente incatenato, come non intendo d'esser legata io. Deve regnare la più ampia libertà da ambo le parti. (...)

Ho selezionato un solo passaggio esemplificativo, ma ascoltando tutta la scena (e questa edizione è straordinaria, con attori magnifici come Giulia Lazzarini e Renato De Carmine) ogni cosa pare uscire dalla nebbia: sotto sotto non è impensabile che il discorso di Ibsen sia volto all'anelito di libertà della sua nazione, della Norvegia. E non credo sia casuale che l'ispirazione giunga allo scrittore proprio in quel viaggio in una Italia che ha raggiunto la propria unità da poco tempo, quasi che il respirare questo senso di aria nuova spinga a cercarne altra e più pura per se stessi. 

Quanto questo aspetto sia rappresentabile non so, anzi, credo proprio che non lo sia, ma se c'è una verità in questo mio pensiero, prenderne consapevolezza aiuta sempre chi deve recitare il testo. 
Perché "un fatto è come un sacco, vuoto non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato", è la antica legge del teatro, della recitazione, che Pirandello ha così magnificamente sintetizzato: non tutto possiamo far capire al pubblico, come Lorenzo Salveti ci insegnava alla "Silvio D'Amico", ma il sapere è percepito dallo spettatore, un sacco pieno desterà sempre più interesse di un sacco vuoto. 

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