mercoledì 17 giugno 2020

TEATRO, BASTA BELLE PAROLE

Quello che maggiormente mi ha disgustato in questo periodo di chiusura forzata causa Covid è il profluvio inarrestabile di belle parole. Un circo della retorica che nei primi due giorni andava anche bene, era comprensibile soprattutto sul piano emotivo, poi ha cominciato a produrre diffidenza, repulsione, disgusto, nausea e infine vomito (in alcuni casi svenimento!).

Nel mio settore, il Teatro, un mondo che è basato sulla Parola, davvero non ci siamo fatti mancare niente: la retorica, e non in senso classico, ha trovato il suo brodo di coltura, coltura intensiva che in poco tempo ha sviluppato: i 
siamonecessaristi, gli inutilièbellisti, i conlaculturasimangisti, gli sempreapertiteatristi, gli occasionedanonperderisti, nonché i soliti tuttononsaràcomeprimisti e i tuttotorneràcomeprimisti. E credo di non aver dimenticato nessuno, nel caso me ne scuso fin da adesso.

Ora il 15 di giugno si sarebbero riaperti 'sti benedetti teatri, in un modo che non mi va nemmeno di parlarne.
non più di 200 in sala, distanziamenti, mascherine e tutte le solite cose. Il che offre spunti divertenti: lo immaginate un teatrone da 1200 posti come l'Alfieri di Torino, o l'Olimpico a Roma con solo 200 persone dentro? In tutta sincerità: ma non ci voglio stare sul palco davanti a una platea che è praticamente vuota vuota vuota. 


Un episodio per capirsi. I grandi fratelli Giuffrè, Aldo e Carlo, misero su la loro Compagnia e portarono in scena quello che è ricordato come uno dei più grandi successi di pubblico degli ultimi 50 anni, la Francesca da Rimini di Petito. 
All'inizio però, i Giuffré erano al Brancaccio di Roma, teatrone da appunto millemila posti, facendo una media di 300 persone a sera. La sala risultava dunque vuota. Sappiate che più la sala è vuota più il pubblico, anche se si diverte, ride poco, perché è come intimidito. Non chiedetemi il perché ma storia del teatro dice che è così (ed è una Storia che sui libri dei professoroni universitari non trovate perché queste cose del Teatro vero loro NON LE SANNO!). 
I Giuffré, abbastanza preoccupati, una sera incontrarono un grande organizzatore teatrale, Lello Vianello, ci parlarono e decisero di affidarsi a lui.
Lello da uomo del mestiere, fece una cosa semplice (e pure questa sui libri non la trovate): prese la Compagnia e dal Brancaccio la portò al Teatro delle Arti, QUATTROCENTO POSTI! Con la media di 300 spettatori a sera, la sala risultava improvvisamente piena, le risate si fecero finalmente intense, il passa parola cominciò a funzionare e da lì lo spettacolo è andato avanti per anni. Io lo vidi un paio di Stagioni dopo in un Quirino esaurito insieme a un mio parente che era la terza volta che lo vedeva. Dato il successo ne fu fatta anche una ripresa tv. Brutta, regia televisiva di Andrea Camilleri, sbagliata rispetto allo spettacolo. 


(scusate, spengo un attimo la tv, che pur se senza volume, mi sta proponendo la faccia di Prodi intervistato da non so chi, e francamente è una immagine che nemmeno nella coda dell'occhio. Ecco, andiamo avanti) 

Come sarà, quindi, una serata teatrale con un massimo di 200 spettatori in sala non lo voglio nemmeno sapere. E anche all'aperto, dove si potrà andare fino a un massimo di 1000 la cosa cambia di poco. Pensate al Teatro Greco di Siracusa che ha una media di cinquemila persone a spettacolo... 
Che fare allora? Secondo me c'era da fare una cosa semplice, ma ci voleva la volontà politica (che è chiaro non c'è!): sovvenzionare i teatranti tutti fino alla prossima stagione, segnando fin da ora la data di riapertura e consentendo di programmare e organizzare. 
Ma non si può fare, perché sennò come facciamo a spargere fin da adesso il terrore della seconda ondata, e perché se non c'era la volontà politica di darvi soldi adesso per due mesi figuriamoci fino ad ottobre!

La verità è che si è data questa data del 15 giugno per avere la scusa per sospendere le erogazioni di qualsiasi sostegno a fondo perduto, e per consentire agli amici degli amici di far ripartire i Festival estivi (che servono anche come attrazione turistica, anzi ormai soltanto) mettendo sul palco un po' di monologhi per i soliti quattro noti. I Media di regime suoneranno le grancasse, intervisteranno i soliti quattro fighetti e si darà al popolo l'impressione che tutto va bene madama la marchesa. Chest'è! 
E su questa linea è già cominciato, sia pure ancora con la sordina, il festival delle belle parole, sul teatro che riapre, che rinasce, sulla sua necessità, sulla importanza della cultura, sulla voglia di rivincita e ripresa e ripartenza e ritorno alla vita esticazzi esticazzi esticazzi... 

Io, con franchezza, di belle parole ne ho piene le palle. Ne sento da trent'anni, e so per certo che il Teatro di tutto ha bisogno tranne che di parole. Esso è il luogo della Parola, ma non delle parole. 
Il Teatro ha bisogno di lavoro, anzi di Lavoro, quotidiano, costante, silenzioso, soprattutto silenzioso, ha bisogno di fare, di fare per cercare e trovare. E di solitudini. 
Ogni buon teatrante sa che le prove non si fanno per fare bene, le prove si fanno per sbagliare, e togliere di mezzo tutto quello che non serve. Possiamo dire che la nostra regola è davvero il "provando e riprovando".

E allora gli articoli non li leggo più, i video non li guardo più, le chiacchiere non mi interessano. 
Quando ci sarà una cosa da fare la facciamo. Punto. 

E' tutto Vostr'Onore.  

Nessun commento:

Posta un commento

dite pure quel che volete, siete solo pregati di evitare commenti inutili e volgarità.