lunedì 4 settembre 2017

LA CITTA' TEATRALE

Ho timore che molti dei miei dodici lettori non comprenderanno appieno cosa sto per raccontare loro. Perché la mia vuole essere, e spero sarà, una osservazione da puro teatrante quale sono, più o meno importante, più o meno famoso, più o meno talentuoso, più o meno fortunato, non ha importanza.
Dopo trenta e più anni di palcoscenico, sono giunto ad una semplice conclusione: sono un teatrante perché mi piace stare in teatro, e mi piace starci più che in qualsiasi altro luogo, e lo starci mi fa stare bene anche più che a casa mia, è il solo posto in cui mi senta al sicuro, protetto, sereno; riavvolgo il nastro e, ne sono certo, non mi è mai capitato, in tutti questi anni, di essere a disagio anche nella peggiore delle fogne in cui mi è toccato di dover andare a lavorare, mai. E tutto questo deve per forza voler dire qualcosa. Non sarà la riprova che sono un Attore, ma un teatrante, come tutti i miei colleghi (attori e tecnici), sì. Una riprova semplice e mica tanto scientifica, ma per ora non so dare altre spiegazioni.

Girare l'Italia in lungo e largo per decenni, vuol dire arrivare a conoscere le città di questo nostro Paese, soprattutto quelle dove torni più spesso e ti fermi di più, come i capoluoghi di regione e spesso anche alcuni di provincia. Un teatrante vero non fa mai il turista. E questo è un vantaggio. Perché arrivi in città belle, come... Parma, e puoi pensare: "Non ho voglia di andare, di corsa, a vedere il Teatro Farnese, ci vado la prossima volta, oggi voglio passeggiare mentre me ne vado a teatro."
E, parrà strano, ma le città così si conoscono: passeggiandoci, osservandone l'umanità, chiacchierando nei bar, guardandone l'attività, i negozi, poi giri un angolo e trovi una chiesa, entri e scopri un capolavoro...

Ma cosa rende una città "teatrale"?
Credo che la risposta sia: lo scambio tra teatranti. Che è scambio di idee, di umori, di pensieri seri e faceti. E perché questo avvenga in pieno e in rilassatezza, occorre un luogo: il ristorante dopo-teatro.
Che sta scomparendo. Come istituzione, intendo. E fondamentalmente per due ragioni: i teatranti non hanno più soldi da spendere, i ristoranti non ci guadagnano più come una volta (e questo comporta che non abbiano nemmeno più il piacere di accoglierti come una volta).
La trattoria o il ristorante dopo-teatro era il luogo dove le varie compagnie si incontravano la sera, dove a fine cena si passava da un tavolo all'altro, si scambiavano informazioni, opinioni, risate, dove i giovani stavano vicino ai vecchi e apprendevano un sacco di cose: dalle storie di teatro, alle regole di comportamento, fino all'affinamento del gusto: il suggerimento di un libro, l'indicazione di uno spettacolo da andare a vedere, o di un nuovo attore interessante da seguire, o le divertenti stilettate tra capocomici per sottolineare che uno aveva o stava incassando più dell'altro, che l'altro aveva più "piazze" in calendario o che la critica aveva detto...
Una scuola che oltre ad essere di vita, era parte integrante della formazione attoriale.

Non voglio fare il nostalgico e annoiarvi con "quanto era bella la mia gioventù e quante cose ho imparato stando a tavola con vecchi e giovani" (anche il modo di stare a tavola, ché la buona educazione sta divenendo un altro dei Paradisi perduti...).
Voglio solo segnalarvi che ci sono città che sono sempre state teatrali, perché si sapeva dopo lo spettacolo "dove si andava a mangiare", e quella piazza sul calendario si aspettava con ansia gioiosa, sapendo che vi avresti incrociato altri colleghi con i quali magari avevi lavorato anni prima, e magari riuscivi a organizzare per andare a vedere tu il loro spettacolo e loro il tuo... Ci sono invece città dove non si è mai saputo e non si sa dove gli attori mangino dopo lo spettacolo, città anche importanti, e questo ne fa città "non teatrali", perché tra i componenti di questa grande e bislacca famiglia non c'è scambio, non c'è mai stata vera osmosi.

Mi piacerebbe - se sono riuscito a spiegarmi - che questo i giovani lo sapessero, che non basta, per fare parte della comunità dei teatranti, starsene a bere nel bar alla moda insieme ad altri coetanei, poiché viene a mancare un elemento basilare: il passaggio di testimone tra vecchi e giovani, che è l'unica vera forza del Teatro. Non è un costume solo italiano. Bergmann, per esempio, diceva che lui la regia la faceva la sera a tavola con i suoi attori.

Abbiamo sempre lavorato per poter mangiare, ed è anche per questo che "si mangia dopo", dopo che si è contato "l'incasso". Questa santa abitudine del ritrovarsi dopo-spettacolo, insieme, a tavola, si sta dissolvendo e con essa "la città teatrale".

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