Non ci sono più quei bei
commentatori di una volta. La Nazionale di Calcio esce dal torneo europeo,
sconfitta, per la prima volta in una competizione ufficiale, dalla Germania, e l’unico
coro che ascoltiamo è quello di un bel sogno infranto dalla sfortuna; anche la
frase “lotteria dei rigori” è risaltata fuori come il pane raffermo biscottato
per la zuppa.
Gli unici cui
sicuramente non si possono muovere critiche sono i giocatori, i quali
indiscutibilmente hanno dato l’anima; ma qualche appunto alla gestione di
questa squadra deve essere mosso.
La frase che connota il
pensiero di Conte, e che penso sia da incriminare, il CT la pronuncia al
microfono di Alessandro Antinelli alla fine di Italia-Spagna: “Non siamo
catenaccio”.
Quando l’ho ascoltata
son saltato sul divano, e avrei voluto replicare a Conte: “Perdona se “il
catenaccio”, come tu lo chiami, ci ha fatto vincere quasi tutto quello che le
nostre squadre, nazionale e club, hanno vinto; perdona se è la nostra
peculiarità, quella che ci ha resi famosi nel mondo, ci ha costituito come
scuola calcistica di livello mondiale che tutti gli altri ci hanno in un
qualche modo copiato, brasiliani compresi; scusa se siamo come siamo fin dai
tempi degli Oriazie e Curiazi o dalla disfida di Barletta”.
Qualche distratto
commentatore ha riportato la frase come: “Non siamo solo catenaccio”, ma
la frase del Commissario Tecnico non era quella, basta risentirla, perché
riportare precisamente i fatti aiuta l’analisi.
Dove, a mio avviso,
infatti, Conte ha sbagliato, rivelando la sua inconsistenza come commissario
tecnico della Nazionale (gli faccio i migliori auguri come allenatore di club):
1 - la selezione degli
uomini: troppi esterni e pochi centrocampisti da potere utilizzare in più
ruoli;
2 – l’ostinazione ad
utilizzare un modulo eccessivamente dispendioso per un torneo dove i tempi di
recupero sono ristretti (ormai lo sanno anche i bambini): alla prova con la
Spagna, intrisa di furore agonistico, difficilmente avrebbe fatto seguito una
prova di pari intensità; agli italiani, nettamente superiori ai tedeschi (ce lo
racconta tra l’altro lo scoramento da cui è stato preso a un certo punto il
loro allenatore), una migliore freschezza atletica, e dunque mentale, avrebbe
giovato;
3 - contro gli iberici
il CT ha chiesto ai nostri una grande prova, e l’ha avuta; contro i tedeschi
voleva una super prova, e per certi versi l’ha avuta (leggi “impegno e cuore”):
fossimo andati in semifinale, cosa ci sarebbe voluto? E in finale? Una della
caratteristiche del gioco del calcio è il dribbling, lo “scartare”: Conte
avrebbe dovuto scartare il proprio credo; l’ostinazione non ha pagato,
segnalando...
4 – ...scarsa elasticità
tattica: se De Rossi e il suo sostituto Thiago Motta non sono utilizzabili, si
doveva pensare a cambiare modulo, passando forse a un più semplice e
equilibrato 4-4-2 che avrebbe dato maggiore tranquillità ai reparti e
comportato un minor dispendio di forze; aggiungo che non sarà casuale se gli
ultimi tornei internazionali sono stati prevalentemente vinti da chi usava la
“difesa a 4”; forse il cambio di modulo andava considerato, a maggior ragione
avendo un reparto che si è mostrato compatto e in ottima forma e che certamente
è abituato alle modifiche;
5 – nella specifica
partita, Italia-Germania, la non capacità di decidere i cambi quando necessari;
era forse il caso di fare entrare Insigne a inizio supplementari? Ha avuto
senso l’inserimento di Zaza al 120’ solo per battere un rigore e caricare così
il ragazzo di eccessiva responsabilità? Sarebbe magari bastato farlo entrare
cinque minuti prima consentendogli una sgambata;
6 – troppa Juve nella
sua testa: già la difesa (sia pure ottima), poi giocatori di discutibile
qualità come Sturaro, Insigne e El Shaarawy mai utilizzati per un intero tempo, fino alla scelta finale
di Zaza invece del sicuro rigorista Immobile...
Ma insomma, di cosa è
stato vittima Antonio Conte?
a) Di una storia che
abbiamo già visto e conosciuto, e che replica un difetto degli Italiani: non
imparare mai dalla propria Storia. Esiste il “calcio all’italiana”, ce lo
riconosce il mondo; “calcio all’italiana” che dai tempi di Viani, passando per
Rocco, fino a Bearzot e poi anche Sacchi, e Zoff, e Lippi, ha dato i suoi
frutti conoscendo di volta in volta una sua “naturale” evoluzione. Quando si è
voluto “scartare” da ciò che siamo, quando si è voluta forzare quella “naturale
evoluzione”, qualcosa non ha funzionato. “Cambiare Verso”, come usa dire di
questi tempi, si può, basta sapere netta-mente da dove si viene e quale senso
ha, in rapporto al passato, questo invocato cambiamento.
b) Di un errore
narrativo che ne ha condizionato il pensiero: “Non siamo catenaccio”, riducendo
ai minimi termini tutta la filosofia calcistica che questo Paese ha sviluppato
nel corso dei decenni, è dare una falsa immagine del calcio italiano, che ha
inventato quel modo di giocare per creare un diverso modo di sviluppare proprio
la manovra di attacco, facendo i conti con le proprie caratteristiche e di
volta in volta con le proprie possibilità, non a caso siamo “il paese della
tattica”, della strategia combinata con tecnica e cuore. Dire “Non siamo
catenaccio” è negare l’esistenza di Piola, Baggio, Mazzola padre e figlio,
Rivera, Riva, Conti, Totti, Domenghini, Antognoni, Del Piero, Vialli, Mancini,
Bettega, Rossi... se questi attaccanti sono esistiti – aggiungeteci tutti
quelli che vi vengono in mente – ci hanno fatto divertire, hanno segnato e
vinto partite su partite, come può essere che il nostro calcio sia stato “solo
catenaccio”? Abbiamo sicuramente amato questa squadra per il cuore, forse non
proprio per il gioco espresso, inconsistente, ad esempio, proprio in fase di
attacco, e “Il catenaccio”, caro Conte, è solo un pezzo della Storia, tentare di
proporci una “lettura distorta” di chi siamo noi italiani, ti è, nei fatti,
tornato indietro come un boomerang.
Prendersela con Pellè o
Zaza - diciamocelo, cari tifosi - ha poco senso: ogni giocatore ha i propri
modi di affrontare la tensione. Se Pellè avesse segnato e l’Italia passato il
turno, staremo a divertirci con “la spavalderia del simpatico ragazzo”.
Personalmente non avrei nemmeno fatto ritirare il rigore a Bonucci: evidente
che entrava nel dilemma “come prima o diversamente?”.
Antonio Conte, nella
conferenza stampa del post partita, si è lamentato di essere stato lasciato
solo. Ma avrebbe dovuto saperlo che il comandante, il condottiero è sempre
solo, sopra tutto nelle proprie scelte, e si fa carico di ogni cosa, nel bene e
nel male. Anche questo è il sintomo di una non adeguata esperienza per guidare
la Nazionale.
Un merito al CT va
certamente dato: avere fatto innamorare i nostri ragazzi di loro stessi, delle
loro capacità, delle loro possibilità e della loro forza, riaffermando, sia
pure inconsapevolmente, ancora una volta, che “l’italietta” non esiste, che una
Nazionale che vince quattro mondiali, è regolarmente ai vertici, crea sempre
timore reverenziale negli avversari, ha una filosofia calcistica che il mondo
studia, che quando meno te lo aspetti risorge dalle proprie ceneri, che perde
più per demeriti propri che per meriti altrui, non ha nulla di “-etta”. Ma si
sa: lo sport preferito degli Italiani è parlar male degli Italiani, e il calcio
non può esentarsi dall’unico vero tratto distintivo della Nazione.
Augurando a Conte una
splendida carriera da allenatore, sono certo che Ventura saprà far fruttare
tutto quello che di buono è stato fin qui costruito, e che “l’Italietta” prima
ancora che gli altri stupirà se stessa.
Addendum (4 luglio, h 11,00):
un caro amico mi fa notare che ho mal riportato la frase di Conte, "Non siamo catenaccio"; è vero, verissimo. Ho bacchettato i commentatori e sono caduto nel loro stesso errore. La frase esatta la trovate qui, e come potete facilmente rilevare è: "L'Italia non è il catenaccio".
Peggio me sento!
Non a mia scusa, ma va detto che quel che volevo riportare è la distorsione sistematica delle informazioni. Basta un avverbio, "solo", per cambiare tutto il senso di una frase, e l'avverbio "infiltrato" lo ricordo benissimo, e ricordo anche chi lo ha pronunciato, ma evitiamo ulteriori polemiche.
Peggio mi sento perché a maggior ragione quel "non è" si presenta come negazione ancor più forte di una storia calcistica nazionale. Il "non siamo" poteva anche riferirsi alla sola compagine guidata da Conte, il "non è"... si sparge su tutti e su sempre.
Forse, l'amico Enrico, avrebbe quasi fatto meglio a non segnalarmelo...
Addendum (4 luglio, h 11,00):
un caro amico mi fa notare che ho mal riportato la frase di Conte, "Non siamo catenaccio"; è vero, verissimo. Ho bacchettato i commentatori e sono caduto nel loro stesso errore. La frase esatta la trovate qui, e come potete facilmente rilevare è: "L'Italia non è il catenaccio".
Peggio me sento!
Non a mia scusa, ma va detto che quel che volevo riportare è la distorsione sistematica delle informazioni. Basta un avverbio, "solo", per cambiare tutto il senso di una frase, e l'avverbio "infiltrato" lo ricordo benissimo, e ricordo anche chi lo ha pronunciato, ma evitiamo ulteriori polemiche.
Peggio mi sento perché a maggior ragione quel "non è" si presenta come negazione ancor più forte di una storia calcistica nazionale. Il "non siamo" poteva anche riferirsi alla sola compagine guidata da Conte, il "non è"... si sparge su tutti e su sempre.
Forse, l'amico Enrico, avrebbe quasi fatto meglio a non segnalarmelo...
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