lunedì 22 luglio 2024

IL SOGNO DELLA BAMBINA (Come l'ideologia può calpestare i sogni dell'infanzia)

Antonia Brico, primo direttore d'orchestra donna










Una sera il papà portò la bambina a un concerto. Era la prima volta. La bambina aveva circa otto anni. Emozionatissima entrò nel teatro tutto illuminato, con le poltrone rosse e i palchi dorati. Tanti signori in abito scuro erano su quello che imparò dal padre si chiamava palcoscenico, ognuno di loro aveva uno strumento. Poi arrivò un signore senza strumento, con una bacchetta tra le mani, le luci si abbassarono e al gesto di quel signore tutti quelli in abito scuro cominciarono a suonare.

Il concerto fu bellissimo. Alla fine la bambina chiese al papà: “Chi era quel signore con la bacchetta?”, e il padre: “Quello è il direttore d’orchestra”. La bambina ci pensò e poi decise: “Da grande voglio fare anche io il direttore d’orchestra”.
Così il papà e la mamma la portarono da un Maestro di pianoforte e la piccola iniziò a studiare. Più di dieci anni dopo tanta applicazione e fatica, diventò quello che aveva sognato da bambina: un direttore d’orchestra! 

Prendete questa storiella e trasportatela in altri campi:
- C’era un giorno una bambina che con la mamma andò a trovare la nonna in ospedale, vide un signore con il camice bianco che curava le persone e allora chiese alla mamma: “mamma chi è quel signore…”
- C’era un giorno una bambina che con i genitori andò alla festa delle Forze Armate, vide un signore con una bella divisa piena di bottoni dorati e chiese: “Chi è quel signore che dà gli ordini e tutti fanno quello che dice lui… “

(continuate a piacere...) 

Ecco, per me la questione si pone in questi termini: “c’era una bambina che sognava di diventare”. 
Poi qualcuno decise che era discriminante chiamare un direttore d’orchestra donna al maschile, e cominciò a chiamare la bambina ormai donna: direttrice. Ma la direttrice, la bambina ormai donna la ricordava bene, era quella che dava gli ordini alla sua scuola elementare, una signora molto brava e importante, che faceva andare avanti una scuola con 500 bambini e tante maestre e tanti signori che collaboravano, la sua direttrice era una davvero in gamba, solo che faceva un altro lavoro, non muoveva le braccia e ai suoi cenni nessuno di quelli della scuola si metteva a suonare. Perché la dovevano chiamare direttrice? Lei aveva studiato per diventare un Direttore! E non gliene importava niente se era al maschile, perché quando aveva scelto il suo lavoro non aveva pensato agli uomini e alle donne, ma solo al fascino di quel ruolo. E se proprio la doveva mettere sulla questione di genere, la conquista sarebbe stata proprio quella di prendere il posto di un maschietto, per fare esattamente lo stesso lavoro del maschietto, e quindi essere definita come un maschietto perché tra lei e il maschietto non c'era nessuna differenza.
Ma la bambina non voleva nemmeno questo, voleva solo fare il Direttore. Perché per lei non contava il sesso, contava il ruolo.  

Ecco, io la vedo così: avvocata, magistrata direttrice o direttora, medica, questora… che diritto abbiamo di calpestare il sogno di una bambina? 

lunedì 1 luglio 2024

"BENVENUTO ALL'INFERNO"

Non ti potrà salvare ciò che scrissero
Coloro che la tua paura implora;
Tu non sei gli altri e ti vedi ora
Centro del labirinto che tramarono
I tuoi passi. Non ti salva l’agonia
Di Gesù o di Socrate né il forte
Aureo Siddharta che accettò la morte
In un giardino, al declinar del giorno.
Polvere è pure la parola scritta
Dalla tua mano o il verbo pronunciato
Dalla tua bocca. Non perdona il Fato
E la notte di Dio è infinita.
Tu sei fatto di tempo, di incessante
Tempo. Sei ogni solitario istante. 

Si intitola "L'apice", è una poesia di Jorge Luis Borges, contenuto nella sua ultima raccolta, "La cifra". 
Quando l'ho letta, la prima volta, a circa 35 anni, non potevo capirla. 
"Come sai che erano 35 anni?". Perché i tempi della mia vita sono scanditi dai miei rapporti con le donne, e molte delle mie letture sono legate a loro suggerimenti.
Le storie, ovviamente, non sono finite bene, ma sicuramente i consigli che loro mi davano erano profondamente interessanti.
La stessa donna che mi convinse a leggere Borges, mi fece leggere Pessoa. Un'altra mi indirizzò verso la letteratura americana contemporanea facendomi scoprire quello che è diventato uno dei miei tre, quattro autori preferiti, Tom Robbins.
A volte sono state scoperte cinematografiche, altre volte musicali... io posso dire di avere sempre ricambiato con una accorta proposta teatrale molto apprezzata. 


Perché dico che lei "mi convinse" a leggere Borges. Borges era all'apice della sua fama proprio quando io avevo vent'anni. Potevo leggerlo allora. Ma mi rifiutai. Intorno a me c'era una sorta di "delirio Borges", un deliquio fastidioso, che riusciva solo a produrmi orticaria.
Sono probabilmente sempre stato così: rifiuto genetico di qualsivoglia omologazione. Soprattutto quando "non si può vivere senza". Stronzata, si può benissimo vivere senza. 

Dunque, tutti in delirio per Borges, ed era come vedere, per citare Eliot, quelle care signore che entrano e escono dalle sale da the parlando di Michelangelo. Come potevo adeguarmi? 
Poi giunse V. e mi spinse alla lettura. Mi disse di cominciare da "Altre inquisizioni". Così feci. E ancora oggi io consiglio di cominciare da lì. Mi è sempre parsa una scelta giusta. 

Ma a 35 anni quella poesia non potevo capirla. 
Quando sei giovane, il mondo ti appartiene, è nelle tue mani, non hai la sensazione del tempo, non pensi che il tempo possa finire, e che quel finire sei tu stesso, e dunque il vero senso delle cose è semplicemente nel fatto che, come il verso più importante e bello della poesia dice, "tu sei fatto di tempo". 

Tu materia es el tiempo 

Qualcosa poi un giorno accade e ti rendi conto che il tempo è passato, e immediatamente lo metti a confronto con quello che ti resta, che poi nemmeno sai quanto sarà, forse cento anni, forse un minuto. 

Quando il nostro amico Giuseppe Rispoli, bravo attore, compì 50 anni, un altro caro amico, e bravo attore, Andrea Lolli, gli mandò gli auguri di prammatica con questa frase: "Benvenuto all'inferno!".
Mi fece ovviamente ridere, ma Andrea aveva colto nel segno. Un tempo si diceva che "la vita comincia a 40 anni", per indicare il punto di svolta, lo scollinamento. Cambiano le epoche, cambiano tante cose... oggi possiamo dire che lo scollinamento si fa a 50. Lì sono cominciati i dolorini, la pillolina per la pressione, lo scrocchiare delle ossa la mattina... Uff! un mare di noie, cui si deve dar conto. Il corpo comincia a parlarti in un modo che non puoi più ignorare, sei costretto a rispondere.
L'inferno è quello.

Tu sei fatto di tempo, sei ogni solitario istante, sei ogni chiropratico che ti mette le mani addosso per farti scrocchiare la cervicale, riallinearti la schiena, illuderti che in fondo basta poco per tornare a ballare. Amen.