mercoledì 15 maggio 2024

PIAZZARE UNA DIDASCALIA (ancora su Carlo Goldoni)

Mi attardo in questa serata per farvi partecipi di un pensiero che da qualche giorno attraversa la mia mente. 








Mi piace Goldoni, mi piace molto, forse qualcuno lo ricorderà. C'è però una piccola cosa che mi ha sempre lasciato perplesso e alla quale credo di aver finalmente trovato una risposta. 
Il problema riguarda "la didascalia" nell'opera di Carlo Goldoni. 
Perché leggendo i suoi testi succede una cosa strana: le didascalie che indicano il modo in cui un personaggio dice una battuta, che indicano un certo movimento, o a chi il personaggio si sta rivolgendo, sono scritte alla fine della battuta stessa. 
Capisco che per i non addetti ai lavori questo non sia un particolare problema: "Goldoni voleva scriverle così", mi si potrebbe dire. E in realtà questo non è un problema nemmeno per i comici, i quali serenamente leggono battute e didascalie in questa successione come la cosa più normale del mondo, abituati forse, per l'esercizio di lettura all'improvvisa ad alta voce, a buttare l'occhietto alla fine del rigo per vedere se la frase finisce con un punto o un interrogativo. 
Invece, lavorando con i ragazzi di una età compresa tra i quindici e i diciannove anni, ti accorgi che non solo è un problema, ma devi anche rispondere alla loro più insistente domanda: "Prof, perché?". 
Così pensi e ripensi, e ancora ci ripensi... finché una mattina, nel dormiveglia, ti giunge una possibile risposta. 
Chiariamo un altro punto: non tutte le edizioni riportano le didascalie come Goldoni le ha fatte stampare (attenzione a questo "fatte stampare"), e non tutte le commedie procedono esattamente con lo stesso schema. Inoltre, se la battuta è breve, di normale lunghezza, una battuta di dialogo insomma, troviamo la didascalia alla fine, se invece si tratta di un monologo, facile la si trovi all'inizio. 
Da tutto questo discorso, aggiungiamo, sono evidentemente escluse le didascalie che descrivono un luogo o una particolare azione precedente la battuta. 

Qualche esempio da La locandiera 












Orbene, perché? 
Sappiamo che Goldoni scriveva la commedia, quindi questa veniva provata e rappresentata; durante prove e repliche il testo era "aggiustato", perfezionato, con la diretta partecipazione degli attori, una volta avuta questa sorta di versione definitiva che era già passata per il palcoscenico, o meglio per il corpo, la voce, ritmi, pensieri, in sintesi per la recitazione degli attori, poteva andare alle stampe. 

Ho avuto modo di raccontarvi come a mio parere il grande autore non volesse semplicemente fare teatro ma dare alle patrie lettere quella letteratura drammatica che le mancava. Resto convinto che il vero motivo della Riforma sia questo, dove la sostituzione della commedia all'improvvisa con un testo scritto, delle maschere con personaggi della vita reale, son solo pezzi di un progetto più ampio. 
Ebbene, pensateci: se io scrivo, come sempre fanno tutti i drammaturghi, la didascalia prima della battuta, didascalia che contiene una indicazione su come andrà detta la battuta, (malinconico), (allegro), (tra sé)... oppure a chi la battuta è rivolta, (a Lelio), (a Rosaura), (a suo padre, in disparte)... 
qui un esempio preso al volo da Il Giuoco delle parti, di Pirandello 


 








sarò certamente di fronte a un copione teatrale.
Ma forse Goldoni voleva che anche nella forma il testo scritto non fosse come un copione classico di teatro e ricordasse più la narrativa, si mostrasse decisamente come letteratura. Quante volte, infatti, nei romanzi leggete: "Lo saprai a suo tempo", le disse calmo, guardandola dritto negli occhi (ho inventato io, non googlate inutilmente). 
Ecco, la tecnica goldoniana io penso si riferisca a questa tipologia di scrittura pienamente narrativa, e ci costringe a leggere tutta la frase, ad aspettare l'indicazione come in un racconto, si viene a mostrare come letteratura, sganciandosi volontariamente da un copione di teatro, così da tornare ad esserlo solo sulla scena, quando i comici, dopo lettura piena e intera, rimetteranno, nel loro quotidiano esercizio, le didascalie al loro posto naturale avendo in tal modo introiettato, anche a loro insaputa, la Riforma. 

Valeria Moriconi ne La locandiera

 

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