giovedì 14 maggio 2020

L'INTERPRETE VISIBILE (una piccola interpretazione nel senso profondo)











Nella bella pagina FaceBook, "Vadaviaattore!" creata da Totò Onnis, amico e bravo collega (l'ho più volte visto recitare!), gli attori che vi partecipano si scambiano opinioni e informazioni. 
Oggi Totò ci ha postato l'interessante iniziativa di "Attore Visibile", uno dei diversi e vivaci gruppi di lavoratori dello spettacolo auto-costituitisi da un po' di tempo a questa parte, onde portare avanti le sacrosante battaglie per i diritti della categoria. 
Già, la categoria!
A questa parola si apre un discreto baratro; perché qual è la categoria, da chi e come è costituita? Ancora non lo sappiamo non ostante le interminabili lotte per definire e risolvere il problema. La questione, come infatti alcuni sanno, è antica, basti pensare che ne parlava Eduardo in una famosa lettera al ministro dello Spettacolo già nel 1959, e nel 1964 lo stesso Eduardo ci scrisse su una bella commedia: "L'arte della commedia". Quindi è da un po' che se ne parla senza mai esser giunti a una soluzione. Una volta ci è andato vicino il decano dei sindacalisti degli attori italiani, Tonino Pavan, ma poi tutto naufrago in Commissione parlamentare per interessi particolari estranei alla categoria.
L'attuale situazione Covid19 offre, nella disgrazia generale, una interessante sponda per spingere su questa come su altre questioni. 
Dovendo ad esempio stabilire a chi dare il contributo a fondo perduto, il cosidetto Reddito di emergenza, ecco che spunta come un iceberg la questione: "chi sono i professionisti e come li distinguo dai dilettanti?". 
Nel settembre 2018, segnalai in un post colmo di rabbia lo scempio di un ministro della Repubblica, l'onorevole Fedeli, che, prima di lasciare l'incarico, stringeva un accordo per il Teatro nelle scuole con una associazione nazionale di dilettanti, il FITA.
Poco meno di un mese e non potei esimermi dal segnalare che, non ostante quella del Ministro Fedeli fosse una cosa mal fatta per i mille motivi esposti nel post, un problema c'era ed era quello di sempre: se lo Stato li cerca, dove sono i professionisti? 

Invitavo lì a pensare almeno a una associazione, come quella dei dilettanti, che autoregolandosi desse una minima indicazione sulle professionalità. 
L'interessante proposta, oggi, di "L'attore visibile", postataci dall'amico e bravo collega Onnis (che più volte ho visto recitare!), va proprio in tal senso e credo che mi iscriverò non facendo mancare, per quel che posso, la mia riflessione.
Anzi, ce n'è una che mi preme fare subito. Perché il post di L'Attore Visibile è ottimo, tranne, a mio parere in un un punto decisamente discutibile se non detestabile poiché pervaso da misera ideologia, oltretutto, in questo caso, penalizzante per i teatranti stessi che si vorrebbero rappresentare. 
Mi spiego.
A un certo punto si legge che è stato identificato come nome della Associazione, U.N.I.T.A. acronimo di UNIONE NAZIONALE INTERPRETI TEATRO E AUDIOVISIVO 
dopodiché viene specificato, quasi una excusatio non petita: 

Abbiamo scelto questo nome anche perché la parola INTERPRETE è l'unico sinonimo di ATTRICE/ATTORE che non abbia declinazioni di genere, (una interprete, un interprete) e la questione di genere è un tema sul quale non intendiamo glissare.

Ora: a prescindere dal fatto che il genere in lingua italiana viene declinato dall'articolo, come il loro stesso esempio dimostra, e non dalla finale della parola (altrimenti dovremmo decidere che il femminile di Farmacista dovrà essere Farmacistessa o roba del genere); a prescindere dal fatto che questa moda di voler indicare per forza il genere femminile quando si è difronte a un "neutro", per esempio nelle cariche istituzionali (ministro o sindaco, sono termini neutri, declinati in italiano al maschile per convenzione così come si dice "uomo" per "umanità"), si rivela in realtà ghettizzante per il genere femminile stesso e di rimbalzo per quello maschile; a prescindere dal fatto che non esistono solo i due generi femminili e maschili, ma anche quelli gay e/o trans e/o tutti quelli identificati da un semplicissimo Freud... dunque quante declinazioni dovremo avere?; a prescindere che limitarsi al maschile e femminile vuol dire escludere, ingiustamente, tutti quegli altri generi, ecc. ecc. ecc. 
qui, la questione è tutta un'altra e si muove su tre punti chiave.
1 (quello fondamentale) - La lingua italiana è la sola, con buona pace di tutti ed intendendo fuori concorso il koishan dell'Africa centro-meridionale, in cui la parola ATTORE e la parola TEATRO sono l'una l'anagramma dell'altra
Non è una simpatica bizzarria della lingua, ma la concretizzazione di un significato profondo che investe in concetto stesso di Teatro, concetto magistralmente sintetizzato da Antonin Artaud (c'è qualcuno che ancora lo legge?), quando egli afferma che 
"il teatro E' il corpo dell'attore". 
Puoi togliere dalla scena qualsiasi cosa, costumi, scenografia, luci... il teatro sarà sempre, ma se togli il corpo dell'attore il teatro non è più. La carne sul palcoscenico, viva, è l'atto blasfemo della ipostasi verbo-carne che perpetuandosi rende il teatro la rivendicazione da parte dell'uomo di una possibilità di eterno, il riflesso sfuggente ma visibile della Verità.
Ecco dunque che il termine ATTORE non è la declinazione maschile di una professione, ma il senso stesso del Teatro in quanto carne dell'uomo, della umanità, che si fa viva e possibile sul palcoscenico. 

Nella lingua italiana, come in nessun'altra, dire ATTORE è dire TEATRO, e dire TEATRO è dire ATTORE. Immaginare che nel termine esista una declinazione di genere discriminante è un atto di profonda ignoranza verso la propria professione. 

2 - La parola INTERPRETE è limitante della specificità professionale
L'attore, infatti, non è solo un interprete di un testo o di una idea registica, è al contempo creatore di un atto artistico, di un'opera artistica che si concretizza nel suo stesso corpo/voce in azione. 
Per questo banalissimo motivo si dice che andiamo a vedere (andavamo, sic) la Medea della Mariangela Melato o la Bisbetica di Valeria Moriconi.
Ed è molto probabile che una parte di pubblico andasse a vedere l'artista (maschile o femminile?) Melato o Moriconi indipendentemente dal personaggio che interpretava quella specifica sera, a godere dunque della distinta creazione artistica della signora Melato o Moriconi. 

Il termine interprete non comprende la parte creativa che ogni attore, in quanto unicum, porta irrimediabilmente con sé, esso è dunque limitante la visione professionale, e limitativo nella interpretazione giuridica che ci si propone di sottoporre alla Politica.
3 - L'ideologia, e la recinzione del pensiero unico, stanno uccidendo l'espressione libera dell'uomo e di conseguenza la sua libera espressione artistica.
Se si intende rinchiudere l'arte nella gabbia delle mode ideologiche (oggi sono queste, domani chissà quali), il rischio è quello di inibire la potenza stessa della trasgressione e della sperimentazione, della ricerca che ha sempre alimentato la progressione dell'arte, contro il conformismo, contro il potere, contro l'arte consolidata stessa. 

Quello che pericolosamente stiamo vivendo è un tempo di codificazione della trasgressione, di inquadramento della sperimentazione e dell'avanguardia che alla fine definiranno solo generi senza alcuna reale creatività, senza futuro, senza più Arte. 
Per liberare i generi vanno tolti i limiti, le differenze vanno cancellate non rimarcate, altrimenti si rientrerà in quei totalitarismi che ingabbiano il pensiero e soffocano la creatività e la vita dell'uomo. In questo tempo di politicamente corretto, siamo giunti al paradosso che la tradizione è divenuta la vera sola trasgressione. 
Questo perché abbiamo un serio problema con l'ignoranza. Altrimenti sapremmo che Tradizione e Tradire hanno etimologicamente la stessa radice. 
Il passato è lì a dirci chi siamo davvero, solo recuperandolo ci salveremo.  


PS - detto tutto questo, resto a confermare che intendo essere un sostenitore della iniziativa e spero di essere accolto nella associazione (dopo quanto detto...) che UNITA si chiama e così deve chiamarsi perché il nome ha anche un valore simbolico in questo difficile momento (oltre tutto è gentilmente declinato al femminile il che non guasta). Spero solo di lasciare in ciascuno un briciolo di riflessione per le battaglie odierne e future. Le parole sono vita, e la vita non la puoi costringere mai. 

PPS - non è che ora cambiano il nome delle pagine FB in L'inteprete visibile o vadaviainterprete! Per favore anche no. 

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