Quando iniziai a lavorare in Teatro, c'erano una serie di vecchie e sintetiche indicazioni che ancora gli attori si lanciavano e rilanciavano, e che spesso solo loro capivano.
Cosa vorrà dire, per esempio: "Perdi aria dal culo!". I giovani attori magari non lo sanno, ma sono certo che, come accadde a noi la prima volta che ce lo sentimmo dire, ne capirebbero subito il senso. Vuol dire che sei sul palco, stai recitando, o provando a farlo, ma non sei energico, teso, innervato, che insomma sei floscio, e l'aria, ma non quella intestinale come banalmente si potrebbe pensare, ma quella della emissione vocale, invece di uscire dalla bocca, si perde da altro orifizio.
Oppure, ricordo, "passare la ribalta", che semplicemente era un invito a fare arrivare la voce fino in fondo alla sala, e che di sicuro se avesse passato la ribalta sarebbe appunto arrivata fino in fondo.
Su questo c'è un simpatico aneddoto - decisamente per boomer - che una volta sentii raccontare da Giancarlo Fusco, un importante giornalista della seconda metà del Novecento, noto, oltre che per le capacità di cronista, anche per il suo amore per la buona tavola. Da giovane faceva il segretario di un importante grande attore, Ermete Zacconi. Un giorno chiacchierando con Zacconi e gli disse che un altro importante primattore aveva dichiarato di essere comunista. Al che Zacconi chiosò: "Comunista? Ma se la sua voce non si sente oltre la terza fila di poltrone!".
Tornando a noi. Un giorno, Stefano Lescovelli, simpatico e bravo attore prematuramente scomparso, d'improvviso mi pose sotto un simpatico interrogatorio: "Giovanotto, se vuoi dirti attore devi rispondere a queste tre domande: 1) si mangia prima o dopo lo spettacolo, 2) che cos'è la decade, 3) di che colore è il bonifico?". Ero un po' perplesso, ma risposi, come si fa per rispetto verso i più anziani: "Si mangia dopo lo spettacolo, la decade sono dieci giorni di paga e si prende ogni dieci giorni... ma il bonifico... cos'è?". Già, perché almeno noi, un tempo, non avevamo l'abitudine di parlare per essere ascoltati, ai miei tempi non erano gli adulti a dover stare in silenzio per ascoltare cosa avevano da dire i giovani, ma i giovani a tacere, aprire le orecchie e apprendere da chi ne sapeva più di loro. Da troppo tempo abbiamo invertito le funzioni... e sappiamo tutti dove ci ritroviamo.
Dunque, Stefano mi spiegò una cosa che non avrei mai potuto sapere perché davvero era di un'altra epoca: "il bonifico era un tagliando che la Compagnia dava a ciascun scritturato, che dovevi presentare alla biglietteria dei treni e con quello avevi lo sconto dato che viaggiavi per lavoro, il colore del bonifico era verde".
Era tutto ovviamente un gioco, ma le tre domande mi spiegò, i vecchi attori le facevano davvero per verificare da quanto tempo tu fossi nel mestiere. A quel tempo il mestiere era molto fatto di fame, e gli attori andavano sul pratico, nelle loro bislacche domande c'era una capacità di sintesi che in qualche modo escludeva completamente la teoria per stare sulla pratica. Era profondamente "artigianato". Tutto questo prima che arrivasse Stanislavskji e che il suo verbo si diffondesse.
Il gergo degli attori era ed è pieno di parole e frasi originali e divertenti, come: tinca, telefonare la battuta, impallato, spallarsi, andar di rimessa, birignao, fotta, fare burletta, soffiati, vuoto di scena e pieno di scena.
Quella da cui però sono sempre stato affascinato è la realmente sintetica: TUTTA, FORTE E CHIARA!
Tutta forte e chiara è il primo e più semplice consiglio che un anziano forniva a un giovane, e si riferisce al modo di dire la parte.
Hai provato, sei arrivato a un buon risultato, ora devi andare in scena e hai ovviamente timore. Beh, non preoccuparti di mille cose, pensa a una cosa essenziale: di' la tua parte tutta, forte e chiara.
Non è difficile da comprendere.
Dilla TUTTA, che evidentemente significa: abbi una perfetta memoria e non dimenticare nessuna battuta.
Dilla FORTE, in pratica: figliolo, fatti sentire fino all'ultima fila di poltrone e anche oltre.
CHIARA! E questo, a mio immodesto avviso, è il punto realmente interessante. Cosa vorrà dire CHIARA?
Certo, per "chiara" si intende un banale "fatti capire", scandisci bene, metti timbro in tutte le parole, ecc. Ma ho il sospetto che nel sapiente artigianato dei nostri avi si nascondesse qualcosa di più.
Io penso che per "chiara" si intenda non solo fai capire le parole, ma fai capire l'intenzione che c'è dietro, fai capire il senso che ti ha portato a decidere di dirla in un certo modo piuttosto che in un altro. Insomma, non serve solo che le parole siano intellegibili ma che sia limpido anche ciò che le determina in quel momento scenico e che realmente le riempie di senso.
Denùdati, fammi capire davvero chi sei, chi è il personaggio che stai rappresentando, fammi capire i suoi pensieri, ed anche il senso dei suoi silenzi, lasciati attraversare dalla nettezza della scena e del tuo personaggio, lascialo vivere in te perché lo si possa "chiaramente" vedere vivere.
Ed ecco che "chiara" non è più solo riferito alle parole, ma a te stesso interprete e allo sforzo che devi metterci per arrivare al risultato, al pubblico, al compimento effettivo dello spettacolo, al valore stesso del Teatro.
Gli antichi non scrivevano teorie, tranne qualche primattore che raccoglieva le sue memorie e le proprie riflessioni sulla professione, non compilavano libri, ma per il resto tutto era artigianato, un modo sapiente di recepire il mestiere e di passarlo, capendosi su ciò che non poteva essere spiegato davvero a parole, intuendosi reciprocamente per ciò che le parole non potevano spiegare se non che con grandi e complicati giri.
Gli artigiani fanno, non teorizzano. E deve essere per questo che quel "chiara" mi ha sempre affascinato: c'è un mondo, in una sola parola, che in verità solo chi è salito sul palcoscenico può comprendere, e non importa se non riuscirà mai a spiegarlo a parole, quel che conta è che salga sul palcoscenico e agisca, che sia attore, nella maniera più chiara che gli sia possibile.