domenica 6 aprile 2025

GOLDONI, ROSSINI: COME TI RIVITALIZZO IL TEATRO

Rossini in un ritratto di M. F. C. Mayer


Goldoni in un ritratto di A. Longhi

La decisione di Gioachino Rossini (1792 – 1868) di scrivere le “fioriture” e di non lasciarle più alle improvvisazioni dei cantanti, mi chiama alla mente, e mi pare anche un facile collegamento, Carlo Goldoni (1707 – 1793) e la sua altrettanto determinata volontà di scrivere “tutto il testo”, scavalcando definitivamente il mondo della Commedia dell’Arte. 

Se però metto insieme i due elementi, da un lato il raffinato lavoro di collaborazione che Goldoni fa con i suoi attori prima di arrivare alla stesura definitiva del testo, dall’altro la profonda conoscenza che Rossini ha del canto per esser stato egli stesso cantante, figlio di cantante, marito di cantante, ed avere vissuto, anch’egli come Goldoni, gomito a gomito con i suoi interpreti, mi viene da pensare non ad una azione di sopraffazione dell’autore sugli interpreti, ma alla volontà di determinare, in ogni sua punto, la drammaturgia, letteraria o musicale che sia, donandole finalmente una nuova dignità, una dignità assoluta.

In questa azione, che mi appare sempre più effettivamente comune ai due, viene a ricrearsi, a rideterminarsi una nuova via del teatro, di prosa o musicale, una nuova letteratura che chiedendo agli interpreti un completo ridisegnarsi nella loro funzione, ne rimette in circolo, attivo e vitale, la fondamentale peculiarità. 

Sia Goldoni che Rossini, infatti, va rilevato, agiscono in un momento in cui le arti precipue di cantanti e attori hanno preso un così “ampio spazio” da divenire il manierismo di loro stesse (quasi una “decadenza”). Potremmo dunque affermare senza tema di smentita che entrambi gli autori focalizzano la loro azione sull’effetto finale ed unico del loro lavoro: la messa in scena.