mercoledì 22 gennaio 2025

UN MIRACOLO CHIAMATO EDUARDO


Dettaglio scenografia di Eugenio Siniscalchi
"Nzerra chella porta" esercitazione alunni 
V T Sperimentale Teatro 2024/25
Liceo Artistico Sabatini-Menna Salerno

 











Oggi, mentre guardavo i miei ragazzi arrampicarsi con le loro esili braccia su quella immensa montagna che è Eduardo De Filippo e il suo teatro, a un certo punto mi sono commosso. Loro mi hanno commosso, per la dedizione che ci hanno messo, dopo giorni e giorni di battaglia, improperi, urli, insistenze, giorni e giorni in cui ho tirato la carretta, trascinandomi dietro quella banda di mezzi debosciati che sono i giovani di oggi (definitemi pure boomer!), vedevo che avevano raggiunto un buon risultato, al punto che ho derogato a una mia imprescindibile regola: gli ho detto che erano stati bravi. 
In teatro, mai dire a degli allievi che sono bravi, potrebbero sedersi sugli allori, mentre devono apprendere un insegnamento di vita: che non c’è mai limite al meglio! Infatti, dopo il complimento, ho aggiunto: “Attenzione, non è che adesso pensate ‘lo so fare’, potete solo pensare ‘l’ho fatto e mi è venuto bene, ma lo devo ancora rifare, e poi rifare, e devo provare a farlo ancora meglio’. 
Ma c’è un altro motivo per cui mi sono commosso, e che ho condiviso con loro: all’improvviso, mentre li guardavo ho capito una cosa, un qualcosa che non mi spiegavo: perché amo così tanto Eduardo? È per il dialetto, per la vicinanza linguistica, per il divertimento che mi dà, per la commozione che mi scuote, per la bravura d’attore, per la bellezza delle commedie, perché ho conosciuto e lavorato con attori che hanno lavorato con lui e mi hanno raccontato mille cose, perché mi affascina, per la malinconia verso un tempo in cui avrei amato essere? Certo, per tutto questo ma anche per quel che oggi ho capito. 
Perché il teatro, sapete, è così, ti viene detta, magari insegnata una cosa, e tu la capisci davvero, ne prendi coscienza magari anni e anni dopo. Il mio vecchio Maestro, Mario Ferrero, mi disse una certa cosa in Accademia quando avevo 22 anni, la capii una sera d’improvviso mentre ero sul palco a recitare “Uno sguardo dal ponte” di A. Miller e di anni ne avevo 36. Tardo io? No, è che il sapere e il prendere coscienza sono cose molto, ma molto diverse. A un tratto, mentre recitavo, fui attraversato da una illuminazione e pensai: “Ecco cosa voleva dire Mario quando diceva quella cosa!”. 

Totale scenografia

Ebbene, oggi pomeriggio, mentre quelle esili braccia, dicevo, si arrampicavano sull’Everest, ed a mani nude, ho sentito chiaramente quello che nessun autore mi ha mai comunicato: la scrittura di Eduardo De Filippo trasuda tutto l’amore per il teatro che egli poteva avere, ma la cosa miracolosa, realmente miracolosa, è che trasuda tutto l’amore che noi abbiamo per il Teatro, in quelle parole, in quelle scene, in quella azione sulla scena non c’è il suo amore per il Teatro, ma l’amore che tutti i teatranti del mondo hanno per il loro lavoro, per il loro mondo, e la loro vita, la loro scelta di vita; io guardavo i miei ragazzi sulla scena e vedevo riflesso su quelle tavole il mio stesso amore per l’arte che alla loro stessa età ho voluto abbracciare. 
È questo il miracolo: Eduardo scrive il mio amore per il mio lavoro. E mi è stato chiaro che tutti coloro che lo hanno amato e lo amano, lo amano per questo motivo, anche se non lo sanno e forse mai lo sapranno ma non importa. 
E non importa se siamo divenuti famosi come lui o insignificanti, conta l’amore che ci mettiamo ogni giorno, quel che abbiamo imparato da chi è passato prima di noi, e quel che passeremo a chi vorrà venire dopo di noi. Il resto non è silenzio, ma una voce che non smetterà mai di cantare finché l’uomo avrà fiato su questa terra: è il Teatro.