giovedì 19 dicembre 2024

CULTURA, PERCHE' LA DESTRA HA SBAGLIATO TUTTO




Un importante politico democristiano una sera mi disse: "Il mio partito ha commesso un unico errore: quello di lasciare la Cultura nelle mani dei comunisti". 
Quanto è importante la Cultura? Tantissimo, è una sorta di comizio perpetuo che in maniera subliminale convince, condiziona, trasforma il pensiero e quindi il comportamento delle persone. Averne in mano le redini significa gestire davvero un grande potere. 
Per intenderci praticamente: potrete fare mille discorsi a scuola sui danni delle droghe o sulla violenza di genere e non riuscirete a "bucare" l'animo di un solo allievo; proiettate un film, che so, "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino", oppure "La sposa bambina" o l'ultimo bel film della Cortellesi "C'è ancora domani", e vedrete che l'impatto emotivo cambierà il modo di pensare di tanti spettatori.

Questo, la Sinistra lo ha capito già da quando non era ancora "la sinistra". La destra, invece, non solo ha sbagliato completamente strada, ma non ha mai nemmeno voluto chiedersi se doveva cambiare rotta. Pare anzi che sia sempre mancato, al suo interno, un'effettiva analisi della situazione. Chiariamo: parliamo del periodo che va dal dopoguerra ad oggi, ciò che c'è stato prima è cristallizzato nella Storia e porta il marchio del potere, sabaudo prima, fascista poi, perché si sa, chi ha il potere detta legge, gestisce e non teme il confronto. 
Nel dopoguerra, invece, è successa una cosa diversa e forse nuova: la Cultura è finita nelle mani di chi non aveva il potere, per lo meno non il potere ufficiale.
Ora, sarà un mio bislacco pensiero, ma dalla fine della II Guerra mondiale al 1992 circa, in Italia ha governato la Democrazia Cristiana, e per me la DC non era destra, e non era nemmeno centro, era già sinistra, sia pur "moderata", con tutti i distinguo e le sfumature che potrebbero essere rilevate. 
Il problema è che, impadronendosi il Partito Comunista, cioè l'opposizione, del mondo della Cultura, la DC, in quanto potere, diveniva l'altra sponda, ossia "la destra". Eppure, per chi lo ricorda, a destra dei democristiani c'era ancora tanto altro mondo, dai liberali fino ai monarchici e ai fascisti impenitenti. Per gli intellettuali, però, per gli artisti - non sempre gli artisti sono intellettuali, anzi spesso non lo sono, e questo non è un demerito ma un pregio - era quasi naturale schierarsi a sinistra, con il PCI innanzi tutto o con i Socialisti, per il semplice motivo che un artista si sente più a suo agio tra gli oppositori al potere, anche se molti di loro erano e restano artisticamente di destra pur senza saperlo. 

L'esplosione dell'egemonia culturale di sinistra l'abbiamo, senza ombra di dubbio, dal '68 in poi. 
Fino ad allora, tanti artisti, pur dichiarandosi pubblicamente comunisti o socialisti, restavano legati alle più solide forme della professione, al mestiere! Per stare in ambito teatral-cinematografico, sappiamo per esempio che comunisti si dichiaravano Visconti, De Sica, e socialisti Gassman o Strehler. L'appartenenza politica, però, non metteva in discussione "il mestiere". Storie come "Ladri di biciclette", "Umberto D", "Miracolo a Milano", o ancora "La terra trema", "Rocco e i suoi fratelli", possono ancor oggi essere considerate storie di sinistra, storie che mettevano crudamente in piazza quelli che sarebbero poi stati identificati come "i panni sporchi da lavare in famiglia", battuta, guarda caso, attribuita allo storico leader democristiano Andreotti, ma che poi ultimamente è stato rivelato che Andreotti non l'ha mai pronunciata.
Dal '68 in poi gli argini si rompono, irrompe nel campo dell'arte il suo più grande nemico: l'intellettualismo. Tutto si può fare, tutto si può portare in scena o sullo schermo, o sulla tela purché sia supportato da quello che all'epoca di chiamava "il messaggio", il concetto forte, talmente forte da schiacciare ogni altra cosa, in particolare "il mestiere". Abbiamo così passato un periodo, tremendo e lungo, troppo lungo, in cui si affermò senza alcun pudore che chiunque poteva salire in palcoscenico e recitare o avere una qualsiasi altra espressione artistica anche senza conoscere la basi tecniche del mestiere, poiché ciò che contava era "il concetto", la "liberazione del proprio sé", l'espressione "dell'interiorità", e per farlo non era nacessario conoscere "il mestiere". 
Stabilito il principio che io definirei del "famo come ce pare" e avendo in mano quasi tutta l'intellighenzia, il lavoro propagandistico è stato facilissimo, con giornali e intellettuali che esaltavano lo sciamannato o la stracciacula di turno sostenendolo con acrobatiche e talvolta perverse elucubrazioni sulla validità e necessità della ardita prova artistica, elucubrazionei che imponevano un principio classista e dunque fascista: "non è che non ti è piaciuto, è che non ti è piaciuto perché non hai capito, adesso te lo spiego io", meccanismo che ovviamente comporta che chi "spiega" si piazzi, anzi, auto-piazzi su un piedistallo facendoti, così, sentire inferiore  meccaniso che, inoltre, una volta instaurato, comporta la caduta della semplice ipotesi: "Va bene, grazie, ho capito, ma non mi piace lo stesso".
L'espressione più semplice e libera dello spettatore, quella che in realtà ha sempre mandato avanti l'arte, cioè il banalissimo piacere (mi piace un quadro, lo compro, una musica e l'ascolto...), veniva così ad essere cancellata. 

Poteva bastare come danno? No. 
Perché una volta mortificata una grossa fetta di pubblico, questo ha trovato riparo nelle nascenti tv private, le tv commerciali, in particolare nelle tv berlusconiane, le quali, dovendo, comprensibilmente, fidelizzare lo spettatore, hanno abbassato il livello, hanno portato la "comunicazione artistica" lì dove la mitica "casalinga di Voghera" o lo storico "bracciante lucano" si sentivano rassicurati. 
Il danno prodotto da quella propaganda "sinistra" è stato così doppio: da un lato si sono minate le basi di un prezioso e secolare artigianato, dall'altro si ottenuta l'auto-esclusione di una grossa fetta di pubblico, pubblico che in precedenza si sentiva sempre e comunque coinvolto, al quale il "mestiere" comunicava comunque, limitandosi alla espressione artistica che poi ciascuno avrebbe "letto" secondo il proprio livello culturale senza mortificazione di alcuno. Per intenderci, i Maigret di Gino Cervi, o i Karamazov di Bolchi li vedevano tutti, dalla portiera al professore universitario. 

Ma in tutto questo, la destra, la neonascente destra liberale che da Berlusconi prende le mosse, cosa ha fatto? 
Ci è già chiaro che al Cavaliere questa situazione faceva gioco, è invece a tutti quelli che gli stavano intorno e si definivano "intellettuali di destra" che doveva suonar stonata. Ed è lì che tutti hanno sbagliato strada. 
Per prima cosa il grosso errore, anche in periodo sessantottino, lo fecero proprio gli artisti "di mestiere", i quali avrebbero dovuto osteggiare gli "artigiani incompetenti", e invece lasciarono correre, a volte macerandosi tra le quinte per i giochetti di potere che dietro certi successi si nascondevano, e pensando sempre esclusivamente alla propria espressione artistica. Che però, con questo ribaltamento di valori, veniva spesso ad essere mortificata: Mario Ferrero ebbe una volta a raccontarmi che una volta Visconti, si era dopo il 68, ebbe a dirgli: "Mario, sai che sono comunista, ma lavoravo di più quando eravamo in dittatura democristiana che non adesso che i compagni hanno preso il largo". Non fatico a credere alle parole di Ferrero, perché cose simili mi son state riferite anche da altri attori e registi che purtroppo non ci sono più. 

Fatte salve, però, le responsabilità dei teatranti, dove "l'intellighenzia" di destra ha davvero sbagliato tutto e da quel che vediamo continua a sbagliare? 



In tutto il periodo berlusconiano, si è andati avanti cambiando semplicemente gli uomini: arrivava un governo di sinistra, metteva i suoi nei posti di potere, arrivava un governo di destra, sostituiva i precedenti, e così via. Il risultato è stato nullo, poiché il sistema di potere che quella sinistra ha costruito nei decenni, non è mai venuto ad essere intaccato. Dunque, quando la destra capirà che questa non può e non deve più essere la strada? Sospetto mai, ma non vogliamo perdere le speranze di una sana alternanza e di una espressione artistica la più ampia e libera possibile. 

Orbene, se la sinistra, da un certo momento in poi, come detto, ha prediletto l'intellettualizzazione a scapito della sapienza artigianale, la destra, mi pare evidente, deve occuparsi di proteggere "il mestiere", di preservare l'artigianato, quella sana tradizione che non può mai essere intesa come mera conservazione, ma come capacità realizzativa basata sul passaggio di testimone e sulla naturale trasformazione nel tempo, che non perde mai di vista le proprie radici, ma è consapevole che "tradizione", "tradurre", "tradire" hanno tutte la stessa radice etimologica. 
La destra - porto ad esempio il mio campo, il teatro - se veramente volesse fare una battaglia culturale e marcare un suo territorio, dovrebbe proteggere i grandi attori, gli attori e i registi del grande mestiere, le scuole serie di recitazione, le accademie di ogni espressione artistica, dovrebbe, tanto per capirci, "caricarsi" un Gabriele Lavia, un Rigillo, anche se Lavia si dovesse dichiarare un giorno sì e uno pure, di sinistra. 

Gabriele Lavia in Re Lear - foto T. Le Pera


E' solo difendendo e sostenendo quell'artigianato che ha fatto grande il Paese, che lo ha costruito e fatto conoscere nel mondo, solo proteggendo "chi sa fare", che la destra troverà una via per opporsi alle "masturbazioni mentali" di sinistra. 
Spero che ora sia chiaro perché ritengo molti artisti inconsapevolmente "di destra", poiché continuano a coltivare e tramandare, tradurre, tradire la conoscenza del loro artigianato, perché restano, non ostante tutto, "attaccati alla terra". 
Non sarà facendo una fiction su un coraggioso ragazzo di destra che si affermerà una cultura libera, così come negli anni non è servito a nulla sostituire un tizio rosso con un tizio azzurro, ma sarà sconfiggendo l'intellettualismo, facendo scendere dai piedistalli i signori dell' "adesso te lo spiego io", che si potrà tornare a una espressione culturale davvero libera. 
Perché quello che conta, ciò che davvero comunica un'idea, un principio, una filosofia, ciò che davvero la rende forte, è il modo, la forma, il "come" eseguo, e non il contenuto. 
Se la destra vuole davvero trovare uno spazio suo culturale per opporsi al predominio dell'intellighenzia, della masturbazione mentale, della perpetua demolizione del "saper fare", deve darsi come obiettivo la liberazione della cultura tutta dalla dittatura dell'intellettualismo, sostenendo il suo più nudo e fulgido artigianato. Se non capisce questo resterà sempre al palo, sempre a rincorrere la sinistra sui suoi terreni, dove è chiaramente più brava, sempre in quello stato di subordinazione timorosa e inconcludente, sempre condannata ad essere una cultura di serie B.