martedì 27 giugno 2017

ELEZIONI COMUNALI NEL SISTEMA "TRIPOLARE" (o della sconfitta della Democrazia)

A mio modesto parere i risultati delle ultime elezioni amministrative mostrano un dato che è totalmente passato sotto silenzio: il fallimento di una legge elettorale, quella appunto per l'elezione di sindaco e consiglio comunale, che viene da sempre sbandierata come "la sola buona legge fatta in Italia, l'unica che funziona, il grande modello da ricopiare anche a livello nazionale" ecc.
Questa legge, nella sua replica a livello regionale, conferma la sua scarsissima efficacia.
I motivi sono tanti, mi soffermo su uno soltanto: trasforma i Comuni in condomini, trasforma cioè il primo organismo politico della nostra organizzazione sociale in un semplice organismo da amministrare. Non importa, alla fin fine, quale sia la tua visione politica del mondo, basta che tu copra le buche e faccia funzionare i tram.
L'idea che un Comune non sia il primo luogo della scelta politica, ma solo una "fabrichètta" da gestire manda letteralmente in soffitta la politica, tagliando quindi alla radice il fondamentale rapporto tra il cittadino e la Politica stessa, che viene quindi percepita, fin dalla sua base, come inesistente se non inutile. Eppure, investire soldi pubblici per finanziare degli asili nido piuttosto che per abbassare le tasse ai commercianti, potenziare i mezzi pubblici o renderli privati... SONO scelte politiche, legate alla propria visione del mondo. Ma questo non ha più importanza: il sindaco deve FARE FUNZIONARE la macchina. Punto.
Il rapporto diviene commerciale: io cittadino pago (una tassa), tu mi dai una merce (il servizio). E questa concezione del rapporto ha invaso ormai tutti i livelli della politica rendendo complicatissimo far comprendere che le tasse non si pagano per avere un servizio: la Politica, lo Stato, non sono supermercati.
Il concetto, pare nulla, ha in realtà ammazzato la Politica. E lo ha fatto partendo dal livello base: il rapporto cittadino-comune.
Per ottenere questo effetto (non casualmente, ma del perché potremo parlare un'altra volta), si è dovuta scegliere una legge che non badasse alla rappresentatività, ma puntasse tutto sulla governabilità, i cui effetti per la DEMOCRAZIA sono devastanti e sotto gli occhi di tutti. Sempre che si voglia guardare.
Il sindaco eletto, infatti, si prende il 60% del consiglio comunale, ma potrebbe essere stato eletto con il 15 o 20% dei voti degli aventi diritto. In molti casi, dunque, il primo cittadino governa "contro" la cittadinanza.
E la scarsissima affluenza alle urne di questa ultima tornata, conferma la tendenza e svela anche un altro dato. Cittadini e Politica, infatti, non camminano più a braccetto come dovrebbe essere, ma si pongono in netta antitesi. Sì, perché giunti al fatidico momento del ballottaggio, la stragrande maggioranza dei cittadini, si trova di fronte a due opzioni: o astenersi o "votare contro"!
Il sistema "tripolare" che si è venuto a determinare nel nostro Paese, conferma e fortifica tale tendenza. Se infatti al ballottaggio ci sono i candidati di X e Y, gli elettori di Z possono solo scegliere di non andare alle urne o di non far vincere quello dei due contendenti che gli piace meno, o gli sta più antipatico. Sarebbe già qualcosa se scegliessero X perché ritengono inadeguato Y, ma essendo elettori di Z è evidente che li trovano inadeguati entrambi.
La disaffezione verso le urne, quindi, è evidente che nasce dalla impossibilità di essere rappresentati.
A questo punto, se ai ballottaggi sono andati mediamente a votare meno della metà degli aventi diritto, si può concludere che: 1 - gli effettivi elettori di un sindaco sono davvero pochi rispetto alla totalità della cittadinanza; 2 - la stragrande maggioranza è contro l'eletto. E più la percentuale scende, maggiore è il numero degli avversi alla elezione del soggetto vincitore.
"La sola buona legge fatta in Italia, l'unica che funziona, il grande modello da ricopiare anche a livello nazionale" ecc. questo elemento, insomma, che i Media si ostinano a definire democratico e perfettamente funzionante, in realtà non funziona e decreta la sconfitta della democrazia.

domenica 25 giugno 2017

UNDER 21 DI CALCIO E AUTORAZZISMO ITALICO

Ieri sera ho goduto della bella vittoria della nazionale di calcio Under 21 sulla sua omologa tedesca durante gli Europei di categoria che si stanno svolgendo in Polonia.
Una partita splendida degli azzurrini, che soprattutto nel secondo tempo hanno messo i bianchi di Germania alle corde impedendogli di costruire gioco e imponendo un ritmo che gli avversari non hanno saputo sostenere. Detta in soldoni: da un certo momento in poi i tedeschi ci hanno capito più nulla!
Alla fine, il risultato, sia pur risicato - ma come è d'altronde nostra tradizione - non era giusto, ma giustissimo, un 1 - 0 secco e implacabile.
Ho goduto, certo, perché battere la Germania è un classico del nostro calcio, tranne quando si presenta in panchina un tal signor Conte, il solo ad aver perso con i tedeschi in competizione ufficiale; una partita che non voglio ricordare perché si poteva perfettamente vincere... se non avessimo avuto quel Commissario Tecnico.
E poi perché quei ragazzi hanno mostrato davvero un gran calcio.
La situazione era complicata, rischiavamo l'eliminazione, e invece ora siamo in semifinale.
Ho goduto, dicevo... fino a che non sono arrivati i commenti. E da quel momento è partito il nervosismo.
Perché i resoconti - e stamane non erano cambiati - parlavano di "impresa... miracolo... cuore cuore cuore...". Come se i nostri ragazzi fossero un gruppo di mezzi brocchi che per un tiro fortunato del destino hanno raggiunto il risultato.
E invece non è così: i nostri ragazzi hanno conquistato la semifinale perché erano più forti, perché hanno espresso calcio migliore, perché hanno grandi qualità tecniche e tattiche che sicuramente ci torneranno utili anche in vista del Mondiale russo del 2018.
Per come la raccontano i commentatori, invece, pare che i nostri valgano poco!
"Il cuore... il cuore... il cuore". Ma cosa vuol dire?
Vuol dire che se io e un gruppo di amici ci mettiamo tanto tanto tanto cuore possiamo scendere in campo e battere la Germania o la Spagna? Ma è ovvio che NO!
Diciamoci la verità: Buffon, Pirlo, Totti, Cannavaro... e prima ancora Tardelli, Cabrini, Zoff... sono Campioni del Mondo. Tanti di loro hanno vinto scudetti e coppe... eppure, se dobbiamo parlare di grandi campioni, si sente sempre e solo parlare di stranieri, del Cristiano Ronaldo di turno, del Messi di Turno, ecc.
A me questa cosa ha un po' rotto le palle, se permettete. Fa parte di quella tendenza autorazzista degli italiani, che giustifica la vittoria mai con la grande qualità ma sempre con un motivo altro legato a un dato non tecnico.
Uno come Bruno Conti ce lo ha invidiato il mondo, eppure quante volte (e dico "quante volte" perché è il numero che conta, un una tantum ci sarà certamente stato) ne avete sentito parlare come un Dio del Calcio?
NO, noi siamo sempre quelli della disfida di Barletta, che raggiungono il risultato solo perché fanno Unità d'Italia. Ma tu puoi fare tutte le Unità che vuoi, se non c'è la qualità i risultati non li raggiungi. Punto.
Per sentire parlar bene e benissimo dei nostri campioni bisogna sempre aspettare che diano l'addio al calcio, come Baggio o Totti, prima esiste sempre uno straniero di cui si raccontano meraviglie.
E io francamente sono stanco. Stanco dell'autorazzismo italico che invade ormai ogni campo, dal calcio alla scuola, dalla politica all'industria.
Sto aspettando con ansia che qualcuno mi venga a dire che i limoni sud africani sono meglio di quelli della Costiera amalfitana. Prima o poi costui sbucherà fuori.
Ieri sera, quei ragazzi hanno vinto perché avevano le qualità per vincere. Non c'è miracolo, non c'è impresa, non c'è cuore che tenga, solo qualità.
Certo, loro stessi hanno parlato di cuore, ma in rapporto a qualcosa che era accaduto prima e quel "cuore" intendeva altro che psicologicamente era mancato. Ma oltre questo, non è possibile far credere che loro valevano meno degli avversari. Perché questo la narrazione rimanda a me spettatore. Quando ci ribelleremo a questa narrazione autorazzista, francamente, sarà sempre troppo tardi.
Anche basta. Grazie.

sabato 24 giugno 2017

CAFONE, MASSA DISTINGUIBILE

Sono in treno, sul solito treno abitato, come ormai tutti i luoghi pubblici della nostra vita, da una massa informe eppure perfettamente distinguibile di maleducati.
Informe, perché questa massa non ha alla fin fine alcuna identità, non ha pensiero, non ha etica, non ha coscienza nemmeno dei suoi gesti; ché se uno avesse a che fare con un maleducato consapevole, con uno che volontariamente si presenta e agisce come contrario alle regole, io, dal canto mio, farei anche tanto di cappello, per il coraggio, la voglia di scassare tutto, il desiderio di infrangere i limiti imposti da leggi e convivenza civile; tale massa, invece, è maleducata senza saperlo, crede che sparare a tutto volume una musica dal suo cellulare sia un fatto normale, e si stupisce quando gli segnali che deve abbassare il volume, che tu e gli altri non siete obbligati ad ascoltare la sua musica (la quale il più delle volte è musica di merda, diciamocelo!), così come si stupisce quando il controllore gli chiede di togliere le scarpe dal sedile che ha davanti e sul quale si è mollemente disteso, o si rivolta male se gli viene chiesto di abbassare suoneria del cellulare e tono della voce.
Lui, l'informe, non capisce cosa stia facendo di male, egli non considera mai come esistente il limite tra la sua azione e la vostra; ed infatti, se foste voi a sparare la musica a tutto volume, egli non ci troverebbe nulla di strano, perché la confusione e lo stordimento che ne deriva sono il suo habitat naturale, a lui piace il casino, anzi il casino gli piace un casino, ma proprio un casino casino e più può andare fuori come un balcone e più è felice. Felice di cosa, poi, non si sa e non si saprà mai perché egli stesso è il primo a non saperlo. E a non chiederselo, poiché per il maleducato informe e inconsapevole, la prima regola per raggiungere la felicità è non farsi domande, mai. Non si è mai fatto domande, fin dai tempi della scuola, anzi non capiva perché ci fosse uno dietro a una cattedra a fargliene; e quando si trovava costretto a rispondere, prendeva quel passaggio chiamato interrogazione come un rapporto di stampo economico: io ti dico le cose che tu vuoi sapere, tu mi dai un voto, più cose ti dico, più il voto me lo devi dare alto. Egli "comprava" i voti come oggi compra abiti e telefonini, senza alcuna differenza.
Questo prima parte di lui, che si è perfettamente definita nel corso degli anni, trova impeccabile compimento nella seconda: il maleducato informe e inconsapevole è perfettamente riconoscibile.
Innanzi tutto, di questi tempi, ha sempre un tatuaggio. E non nascosto da qualche parte, lo ha ben in evidenza, altrimenti cosa lo ha pagato a fare! Entra nei luoghi sempre facendo una gran confusione come se fosse entrato a casa propria; veste alla moda, il che significa che il 95% delle volte veste una merda!, cafonissimo in tutto e per tutto. D'estate non concepisce l'esistenza di pantaloni lunghi, anche se di tessuti leggerissimi, e ugualmente non concepisce che possano esistere le maniche in una maglietta, onde per cui, delizia la nostra vista con i suoi peli ascellari. Anelli, braccialetti, ciabattoni con piedi bene in vista, oppure in scarpe da ginnastica puzzolenti. Il giorno in cui vi dovesse capitare di vedere il cafone con un libro, un giornale, o almeno un fumetto tra le mani, scappate, sta per succedere qualcosa di terribile: quelli sono segni del cielo.
Sorvoliamo sul cafone a tavola, vi auguro di non incontrarne mai perché sarà fortemente a rischio la tenuta del vostro stomaco.
Ecco, lui è così, padrone di tutto e padrone del nulla, appare e lo riconosci, un segnale luminoso cammina dietro di lui, accendendo e spegnendo la scritta "Pericolo - Pericolo - Pericolo...".
Cosa fare in queste circostanze?
Stroncarlo sul nascere, subito, immediatamente, al primo, al primissimo comportamento proprio alla sua natura. Lasciategli un solo centimetro di spazio... e sarete fottuti, per tutto il viaggio!

Buona estate.

giovedì 22 giugno 2017

IL PROVINO PER LE FINCKSCION (cose da attori)

Diciamoci la verità, cari colleghi: quando ci arriva per un buon provino per una fiction, pur nel nostro animo di puristi teatrali, siamo decisamente contenti. E' lavoro, e al lavoro non si rinuncia mai, sopra tutto quando, come quello televisivo, ci mette nelle condizioni di ottenere il massimo del compenso con uno sforzo minimo rispetto all'attività teatrale. Per non parlare del ritorno di popolarità con la cara signora del pianerottolo, che un bel giorno ti guarda stupefatta e ti chiede se eri proprio tu quello che ha visto in televisione, e da quel giorno ti saluta con deferenza: è poca cosa - noi lo sappiamo - ma perché negarci che ci fa piacere e che anche l'ego vuole la sua parte?
Quindi, va tutto bene.
Va tutto bene fino a quando via mail non ti arriva il foglietto (al massimo sono due) con la scena da usare per il provino. E qui, se si ha un minimo di logica, cominciano i problemi.
Perché improvvisamente ti trovi di fronte a una lingua che ti chiedi cosa sia. E' zambiano, giapponese, colombiano o lituano scritto da un congolese?...
Pare tutto, tranne che italiano. O quanto meno un italiano che possa aiutare un attore a svolgere il proprio lavoro, che possa essere comprensibile per un ascoltatore medio, che abbia i criteri minimi di consecutio e di grammatica di base (sia linguistica che attoriale).
C'è questo piccolo esempio che credo ricorderò sempre. La scena presentava questa situazione: un maturo signore che cercava di abbordare una ragazza, tale Carlotta. Di fronte allo sconcerto di lei, l'uomo si giustificava dicendo: "E' la natura Carlotta".
Mi chiesi subito se la Natura si chiamasse Carlotta, o se Carlotta fosse un aggettivo a me sconosciuto. Dopo un momento di perplessità, l'errore mi parve chiaro. Mancava una fottutissima virgola: "E' la natura, Carlotta".
Sono passati molti anni e continua a chiedermi se fosse così complicato mettere una fetente di virgola...
Ma la punteggiatura, in queste paginette che ti giungono, pare sia una illustre sconosciuta, e così ti trovi di fronte a virgole e punti messi letteralmente a caso, gettati a manciate in mezzo alle parole come un seminatore lancia il seme del grano nella terra: da qualche parte cascherà e farà il suo lavoro.
E sì, perché pare che per costoro, il problema sia totalmente rimandato all'attore, che deve prima decriptare quell'assurdo linguaggio e poi cercare di farsi una interpretazione.
Non parliamo poi della sinossi. Altra sconosciuta! Per cui di quel personaggio o proprio di quella scena sai praticamente nulla, e dunque non puoi fare altro che procedere a tentoni, scegliere una strada (come gettare una fiche sulla roulette) e sperare che sia quella giusta (il che ti fa anche pensare che tutto sarà questione solo di "faccia" e non di quel che sai fare, e ancor più che sarà questione solo di... puro culo!)
Capita così, come a me capitò, che mi chiamarono per una "posa" (per i non addetti, una giornata di lavoro), mi diedero in mano una scena, la imparai, feci della cose generiche... e me ne andati. Era una fiction importante che è stata più e più volte replicata. Un bel giorno, al bar, il caro amico prof. Giuseppe Gentile, detto Geppino, grande ispanista della Università di Salerno, mi disse che il mio era un personaggio importante per quanto piccolo, perché punto di svolta di tutta la storia. La piccola azione che io avevo interpretato era un nodo drammatico fondamentale! Geppino vide lo smarrimento sul mio volto, e dovetti ammettere che non sapevo nulla.
Perché spesso trovi un regista che ti spiega cosa stai per fare, altre volte gente che non ha nessun interesse a fartelo sapere.
Mettete insieme tutti gli elementi che vi ho fornito (e non sono nemmeno tutti) e saprete perché i prodotti televisivi hanno questa bassa qualità... senza che aggiunga altro.
Quello della scrittura, però, mi angoscia più di tutti.
Ora voi lo vedete, io non sono un eccelso scrittore, ma diamine!, cosa ci vorrà a mettere in fila delle parole e qualche segno di interpunzione pulito che aiuti il povero attore a capire?
Quali siano i motivi di questa sempre più diffusa sciatteria non lo voglio sapere, me li immagino, ma non lo voglio più sapere, sono stanco.
Una sola volta mi è capitato di leggere sceneggiature di fiction ben scritte: per "Rocco Schiavone", il vice commissario di Antonio Manzini. Non mi meravigliai per il semplice motivo che Manzini, prima attore e oggi scrittore, ci aveva messo le mani. E mi è anche capitato di sentire scrittori che si lamentavano di come fossero rimasta incomprese e distorte alcune semplici battute tratte dai loro romanzi...

Cosa bisognerebbe fare? Forse consigliare a coloro che scrivono di... leggere, ma leggere grandi autori, grandi classici e possibilmente prima quelli italiani. E magari, leggendo, porre un minimo di attenzione a come procede la scrittura (ma non vogliamo chiedere troppo a dei "professionisti"). Perché io sono certo che chi sa leggere sa scrivere, e chi sa scrivere sa leggere. 
Capisco che nella ricerca del "quotidiano", lo sceneggiatore possa scegliere di scrivere una lingua sciatta perché "così si parla nella vita"; lo capisco, ma non capisco chi frequentiate, perché io non parlo così e nemmeno tanti e tanti miei amici e persone che ascolto per la strada. 
Non sarà che vi siete fatti una opinione sbagliata (o al limite frequentate solo analfabeti)? 
Ma allora, se questo è il motivo, li invito a leggere la Ginzburg, Natalia, il suo teatro che volutamente è scritto in una lingua semplice ma non dimessa, quotidiana ma non sciatta. 
L'effetto "quotidianità" è assicurato, l'orecchio del povero spettatore è salvo... e il povero attore ha un solido terreno su cui poggiare i piedi. 
Non credo sia chiedere troppo.


(perdonate gli errori, non ho riletto, devo tornare a studiare per un provino)