lunedì 26 marzo 2018

SE IL CASO MORO RISCHIA DI DIVENIRE UN ROMANZO

In questi giorni ho perso un po' di tempo con il mio amico Luca Scognamillo a ragionare di un argomento che ci appassiona entrambi: il caso Moro. 
Considerando che l'uomo è fatto di tempo, perdere tempo con un amico è uno dei massimi privilegi che ci si possa concedere. Oltre tutto quello con Luca non è propriamente tempo perso soprattutto se si parla di Moro, per il semplice motivo che Luca sull'argomento ha letto tutto, ma proprio tutto, al punto, dico sempre per prenderlo in giro, che ha già letto anche la relazione finale della prossima commissione parlamentare! Sono quasi certo che solo Gero Grassi ne sa più di lui (del quale Gero Grassi si consiglia la visione della lunga intervista a Byo blu). 

Come era ovvio, in questi giorni di commemorazione della tragedia di via Mario Fani, abbiamo entrambi seguito le varie trasmissioni televisive, in particolare quella di La7 di Andrea Purgatori , quella di Rai3 di Ezio Mauro e quella di Rai2 di Vecellio per TG2Dossier. 
L'impressione che ne abbiamo avuta è la stessa che poi ci ha fatto sapere il 18 marzo dalla sua pagina Facebook ne ha avuto Gero Grassi. La qual cosa ci ha lusingato non poco.
Grassi scrive: "
Ho visto tutte le trasmissioni su Moro di questi giorni. Con le dovute eccezioni, penso ai giornalisti Gaeta e Frittella del Tg1, Vecellio del Tg2, Purgatori della Sette, Damilano dell’Espresso, De Tomaso della Gazzetta del Mezzogiorno, la certezza che ho, indipendentemente dalle posizioni, è che qui anche chi fa trasmissioni importanti o scrive su autorevoli giornali non studia e non legge. 
Hanno parlato di Moro e del suo omicidio come se la II Commissione Moro non ci fosse stata. Perché? Leggere e studiare comporta fatica e poi è facile sostenere oggi la posizione precedente. In alcuni casi è una posizione autoassolutoria in senso lato." 

A queste trasmissioni si è aggiunto un commento di Enrico Mentana che discutendo con i visitatori della sua pagina FB ha ad un certo punto chiosato (vado a memoria) che a via Fani c'erano le BR e basta, che il resto è solo esercizio per dietrologi e complottisti, nonché per i webeti, categoria cui il direttore è particolarmente affezionato avendola egli inventata. 

Che chi scrive su autorevoli giornali non studia è cosa che chi segue le vicende "euro" ha compreso da molti anni. Il dato caratterizzante è addirittura un altro: non lasciarsi mai sfiorare dal dubbio. E l'altro elemento che caratterizza i comportamenti di costoro è l'assertività.
La combinazione di tutti questi elementi, come si può facilmente comprendere, diviene esplosiva, sopra tutto nel momento in cui si procede dall'alto della televisione al basso del vostro divano, calando nelle vostre povere e indifese orecchie (che come diceva Marìas non hanno palpebre), e davanti ai vostri occhi, "verità" che non sapreste come controbattere. 


Qual è però, ci siamo chiesti con Luca, il motivo di tale comportamento? Perché negare cose che sono state accertate da inchieste ufficiali?
Nei servizi televisivi qualche cosa delle "nuove scoperte" in maniera più o meno estesa, si diceva, ma pareva che si desse una sorta di contentino a "complottisti, dietrologi e webeti" più che entrare davvero in nuovi spazi, nuovi mondi, nuovi possibili verità. Ma alla fine, in realtà, come Grassi rileva, non ci si discosta dalla narrazione precedentemente acquisita; si fatica a staccarsi dalla verità processuale che è quella dettata dai brigatisti e che è ormai chiaro essere quasi totalmente falsa. Perché i giudici di allora, pur di altissimo livello, abbiano acquisito come verità quella delle BR è proprio un pezzo del problema, ma per ora lasciamo stare. Altro interessava me e Luca, ci interessava il comportamento dei giornalisti. 


Siamo giunti a questa doppia conclusione che offro alle vostre riflessioni (senza averlo detto a Luca che mi bastonerà prima, poi mi perdonerà - lo so per cui ne approfitto). 
I motivi, noi crediamo, sono due: 
1 - il caso Moro è talmente ancora vivo tra noi che se si andasse a scavare sul serio molte teste salterebbero tutt'oggi; la tendenza è dunque quella a trasformare la cronaca in romanzo, a porre la verità su di un piano di narrazione tale, cioè, che lo distacchi da noi completamente quasi non fosse un caso avvenuto davvero: l'affaire Moro è racconto, libri, film, non è vita. 
2 - in un momento estremamente difficile per il main stream, un momento in cui il mondo che esso ha contribuito a costruire e determinare e sul quale ha scelto di giocare la propria esistenza sta letteralmente crollando sotto i colpi della rivolta popolare (non sapremmo come altri definirla), vedi le varie tornate elettorali in giro per il mondo e in particolar modo in Europa, costoro si pongono su di un piedistallo e utilizzando la stessa assertività di sempre si impongono (o cercano di farlo) ancora come i soli narratori della Verità; utilizzano, cioè, anche la più profonda tragedia della nostra Repubblica, quella sulla quale è certamente se non morta, ma rimasta pericolosamente imbrigliata la nostra democrazia, per riaffermare la la loro condizione di sacerdoti della informazione, di vestali della verità. 
Ingabbiati nel tristo ruolo che si sono scelti, lasciano in tal modo vedere la profondissima difficoltà in cui ormai si muovono e la consapevolezza del crollo imminente del sistema che hanno alimentato e dal quale sono stati alimentati. 
Non parliamo, voglio chiarirlo, di persone "vendute", ma dell'aver abbracciato una sorta di ideologia senza essersi mai posti il minimo dubbio sul valore della stessa. Si sono lanciati, come il generale Custer, supponentemente contro il nemico, ora vedono il loro esercito soccombere minuto dopo minuto, ma non ostante ciò vogliono riaffermare la loro posizione. Perché il vento sta cambiando, ma nessuno si illuda, la battaglia sarà ancora lunga e dura, e questi soldati, con la loro capacità di convincere le menti deboli, serviranno e serviranno ancora. Il Sistema frana ma non è ancora morto. 
Moro purtroppo sì. Dio lo benedica. 

domenica 25 marzo 2018

TORINO CITTA' SENZA IDENTITA'















La notizia di un forte calo delle presenze turistiche a Torino, circa un 20%, appresa nei giorni scorsi dalle pagine del quotidiano in foto (Corriere della Sera - Torino), paradossalmente, non deve sconcertare. Non poteva che essere così.
Non sono però certo che questo ai torinesi si possa dire. Prima di tutto perché non si sa dove siano i torinesi; quindi perché significherebbe obbligare la cittadinanza a confrontarsi con una amara verità: la riconversione della città da polo industriale a turistico è fortemente limitata dalla storia stessa del capoluogo di regione e non può portare i risultati sperati.
Le ragioni di questi limiti vanno ricercate proprio nella sua “vocazione industriale”, ricordando però che Torino non nasce industriale per volontà di natura, ma lo diviene per mano dell’uomo, e le scelte che furono fatte, soprattutto nel secondo dopoguerra, mostrano oggi le loro conseguenze. 
Tralasciando quel caso unico al mondo che è Venezia, al di là di Colosseo o Cristo velato, di Uffizi o Cappella Palatina, quel che un turista va a cogliere in una città è il suo spirito, il suo profumo, la sua identità.
Torino, amaro dirlo, è una città che non ha più identità. L’ha perduta, e da tempo.
La ragione può spiegarcela un grande torinese, Carlo Levi, che per tutta la vita si occupò di emigrazione, fondando la FILEF e basando su tal tema la sua vita da parlamentare del PCI.
Nel discorso al Senato del 9 aprile 1970, fiducia al governo Rumor, Levi ci spiazza con una osservazione che, riletta oggi, suona quasi blasfema. Con grande nettezza afferma: poiché l’emigrazione è sempre una violenza subita dall’emigrante, l’integrazione, egli sostiene, è “lo sradicamento definitivo”, quindi: “uguali diritti sì, integrazione NO”.
E in altre sue pagine ci offre una ulteriore curiosa considerazione: se è vero che le diversità sono una splendida ricchezza, va considerato che l’integrazione non le esalta, ma le annacqua fino al dissolvimento.

C’entra tutto questo con la crisi turistica torinese? Sì, se si valuta il fatto che dagli anni ’50 in poi la città è stata quasi costretta “dalla fabbrica” a un costante processo di integrazione.
Nella mia passione per i dialetti italiani, chiesi un giorno a un tassista come mai non sentissi parlare il torinese dai torinesi. Mi rispose con chiarezza, che quando nelle scuole elementari degli anni ’50 e ’60 arrivarono i bambini pugliesi o calabresi si era praticamente costretti a parlare italiano. Risultato: oggi nessuno conosce più il dialetto.
Ragionamento semplicistico, si dirà, ma davvero così privo di fondamento? Se uno “straniero” dovesse fare la caricatura del torinese tipico, tolta la storica immagine di Macario, cosa gli verrebbe in mente? E se chiedesse quale sia il classico cibo da strada cittadino, quale risposta avrebbe? Quante vere piole trova ancora in città, e dov’è finito il repertorio canoro torinese?   
Vai a Napoli anche per la napoletanità, a Roma anche per la romanità, a Siena anche per sentire i senesi disprezzare i fiorentini, o a Catania per annusare il perenne scontro con i Palermitani. Dov’è la “torinesità”? 
Questa sorta di multiculturalismo prima di tutto italico, per cui “il colonizzatore” piemontese - come direbbero i neo-borbonici - si è alla lunga ritrovato colonizzato da pane pugliese, mozzarelle campane, gelaterie siciliane, arrosticini abruzzesi… e poi l’allargamento al mondo tra kebab e sushi, cibo libanese o indiano... non va considerato un male. Ma un pezzo della “offerta turistica”, quello che nessuno può vendere perché non si può fabbricare, l’identità di una città, da tempo è venuto a mancare; e i monumenti da soli non bastano. 
Tutto ciò rischia di rendere “la bella d’Italia”, citando il Goldoni, in realtà scarsamente attrattiva, considerando anche che a un passo ci sono paesi, paesaggi e storie delle sublimi Langhe o delle splendide Alpi.
Dunque la riconversione della città da industriale a turistica è destinata a fallire?
No. No se si prosegue sulla strada percorsa fino a poco tempo fa: inventare, proporre, investire copiosamente in grandi eventi. Eventi unici, particolari, di alta risonanza nazionale e internazionale che possono trascinare tutto il resto.
Se la tendenza sarà invece quella del “braccino corto”, la voglia di turismo di Torino è destinata a sgonfiarsi, a ricadere nella abulia, nella noia, nelle nebbie. 




 









tutte immagini tratte da Corriere della Sera - Torino del 22 e 24 marzo


domenica 18 marzo 2018

Gent. sig.a Balzerani, ha capito chi sono le vittime?

Gent. Sig.a Balzerani,
      trovo francamente superfluo segnalarle che le sue esternazioni in occasione del quarantennale del rapimento di Aldo Moro e dell'omicidio degli uomini della sua scorta, di cui lei e i suoi compagni siete colpevoli, siano di una pochezza, nonché di una inutilità a dir poco imbarazzante.
Troppo facile rinfacciarle che le sue parole giungono in concomitanza con la pubblicazione del suo secondo libro, del quale, se non fosse stato per questa "sparata", nessuno avrebbe avuto notizia; perché a mio vedere la colpa è più dei Media che sua, Media che nell'enfasi "scandalistica " che ormai li domina non han fatto altro che fornirle pubblicità gratuita.

Ritengo più interessante, invece, gent. sig.a Balzerani, lasciarle un paio di questioni sulle quali lei e suoi sodali fareste bene a riflettere. Perché, che a vent'anni si possa essere invasati da una ideologia che rende sordi e ciechi a qualsiasi sollecitazione razionale esterna, è fatto comprensibile, ma che dopo quaranta non si sia capito quel che davvero si è fatto, e ciò che effettivamente è successo, per cui ci si sente in diritto di dileggiare le proprie vittime come se quelle azioni compiute non dipendessero più nemmeno da noi colpevoli... beh, questo è di una gravità che non solo fa cascare le braccia, ma chiude pacificamente qualsiasi tipo di canale comunicativo, anche quelli sostenuti dalla cristiana comprensione.

Perché veda, gent. sig.a Balzerani, quello che pare proprio lei e i suoi compagni non avete compreso - quanto meno non ce ne avete dato notizia, e dovreste se, come lei in qualche modo dice, non volete che solo le vittime scrivano la storia - è di quale portata sia stato il vostro fallimento.
Io vi immagino, lì, nelle vostre riunioni giovanili, carbonare, appassionate, combattute, a ripetere una sequela di frasi che contenevano parole come "imperialismo", "finanza", "capitale", "mondialismo", "globalismo"... tutte parole che, come avrà visto se non vive fuori dal mondo, siamo tornati purtroppo a ripetere.
E sa perché, gent. sig.ra Balzerani?
Perché voi siete stati gli artefici della eliminazione, in questo Paese (e non solo), proprio di colui - o di uno dei pochissimi - che a quel processo imperialista si stava tenacemente opponendo; voi i paladini dell'anti-capitalismo, siete stati gli utili idioti del Capitalismo.

Che non lo abbiate compreso all'epoca... beh, non ve ne si può fare una colpa, visto che tanti di noi, in quegli stessi tempi, non avevano compreso. Non c'erano i mezzi, gli strumenti; ma il tempo ha giocato a nostro favore, e per quanto ancora nebuloso, il quadro si sta pian piano rivelando.
Contribuire alla totale evaporazione di questa nebulosa, questo sì, vi renderebbe dignità di cittadini che, sia pur colpevoli, meriterebbero l'atto della riconciliazione.
Ma ormai da voi noi ci aspettiamo tanto.
Riascoltando in questi giorni, alcune vostre telefonate, come quella alla Sig.a Eleonora Moro e l'ultima al prof. Tritto, si comprende oggi la vostra inconsistenza militare e ideologica. Mi riferisco a quei tentennamenti, a quella pietas che si rilevano in voce e parole: par d'essere di fronte a ragazzi che vogliono fare la rivoluzione con l'approvazione del re, non avendo cioè il coraggio d'essere fino in fondo ciò che hanno scelto di essere.
Se già questo era il livello, perché dovremmo oggi aspettarci qualcosa di nuovo da voi, un colpo a sorpresa, un ribaltamento reale del tavolo, un impeto di coraggio. Non vogliamo più nemmeno saperlo il motivo del vostro silenzio e delle vostre palesi menzogne, tanto ci è chiaro che siamo di fronte alla pochezza.
Alla verità, sia pur lentamente, ci arriveremo da soli, questo Paese ci arriverà da solo, non dubitatene.

Quale sarebbe dunque, gent. sig.a Balzerani, questo ruolo "altro" rispetto alle vittime che ella rivendica? Vorrebbe forse dirci che sarebbe anch'ella una vittima con il diritto e la dignità per poter scrivere la Storia? Ma a parte che la Storia voi già la scriveste in quei 55 giorni, vittima ella ci si fece da sola con le sue scelte e insieme ai suoi sodali; e quando dopo avreste potuto contribuire alla riscrittura proprio di quella Storia... avete persa l'occasione.
E l'avete persa due volte, perché voi non avete ancora compreso realmente chi sono le vittime.

Rilegga oggi la Storia, quel che è accaduto dopo quel 9 maggio 1978, il succedersi degli avvenimenti politici, economici, sociali, il declino perpetuo che da quel giorno ha conosciuto il nostro Paese e la nostra democrazia, la situazione in cui oggi con chiara evidenza ci ritroviamo, situazione in cui siamo costretti a riutilizzare, come le dicevo, proprio quelle che erano le parole delle vostre battaglie.
Aldo Moro (e i pochissimi come lui, le cui morti sono ancora avvolte dal mistero), gent. sig.a Balzerani, era il nostro muro contro la definitiva sconfitta, contro il divenire irrimediabilmente una colonia dello straniero, una terra di conquista, un bacino di forza lavoro sfruttata e senza diritti... Aldo Moro (il punto più alto di quei pochissimi!), con le sue idee, le sue azioni, i legami che con una tenacia incredibile a guardare l'uomo mite costruiva, le politiche messe pazientemente in campo, l'azione costante e coraggiosissima contro tutto il Potere, quello vero e feroce, era la nostra voglia di divenire una Repubblica adulta e autonoma dopo gli anni bui, con tutte le sue storture, le sue frizioni, gli errori, gli orrori, le difficoltà, le ansie e le paure, ma una vera Repubblica.
Qualcuno di voi, come Anna Laura Braghetti, lo ha compreso, mi pare, che in quell'uomo mite c'era molto di più di quanto voi immaginaste. C'era - mi ascolti - la speranza di una Nazione. Voi avete contribuito ad asservirci al più bieco Potere capitalista, che sta facendo di noi carne da macello.
Le vittime, gent. sig.a Balzerani, non sono soltanto coloro che direttamente colpiste, i familiari degli agenti di scorta e del Presidente, le vittime siamo stati da quel momento tutti noi, tutti noi Italiani siamo le vittime della vostra azione scellerata. Noi Italiani che siamo qui, oggi, costretti quotidianamente alla lotta con quel Capitalismo che è riuscito lentamente a smembrare i diritti che i lavoratori si erano duramente conquistati, e a rubare la ricchezza che i nostri anziani avevano faticosamente costruito. Noi, come ha sintetizzato lo storico Gotor, eravamo il Paese che aveva perso la guerra ma vinto il dopoguerra. Voi ci avete ricacciati indietro, come con un calcio in bocca, alla nostra condizione di colonizzati.

Io credo che i giovani abbiano sempre il diritto di pensare di cambiare il mondo, e possono fare errori anche giganteschi; ma giunge il giorno in cui si comprende e si agisce in conseguenza.
Nella figura di Aldo Moro voi avete contribuito all'assassinio di un popolo. Le vittime siamo tutti noi.  Commemoreremo i 40 anni, i 50, i 60 e i 70... e ce ne sentiremo sempre nel pieno diritto.
Lei, invece, ascolti il mio consiglio, gent. sig.a Balzerani, alla prossima occasione, taccia!
Anche perché dovrà sapere che nessuno le darà più ascolto, se non che una banda di altri utili idioti vostri pari che oggi vi hanno sostituito pur senza esserne ancora minimamente consapevoli al servizio di quel Capitale che credono di criticare.

Noi, gent. sig.a Balzerani, abbiamo altro da fare che ascoltare le sue estemporanee pulsioni. Dobbiamo ricostruire un Paese dalle macerie che ci avete lasciato. Senza di voi, e soprattutto senza i vostri metodi.

mercoledì 7 marzo 2018

IL POPOLO DEGLI SCRUTATORI, L'ENTITA' DIMENTICATA

Alla fin fine a noi è andata anche discretamente, il nostro seggio ha finito di scrutinare alle 5,00 del mattino, e se si considera che avevamo cominciato alle h 6,30... non sono nemmeno state 24 ore continuate.
Presidente e segretario (il sottoscritto) sono andati a consegnare il materiale - come previsto qui a Torino e non mi si chieda il perché - e diciamo che alle h 6,00 potevamo fare una sola cosa: entrare in un bel bar, prendere cappuccino e cornetto, e poi andarsi a stendere sul divano davanti alla tv per vedere i risultati nazionali attendendo che il sonno, ormai svanito, ci cogliesse.

E' stata veramente dura questa volta. Nemmeno alle Comunali, che pure sono complicate, per le liste, le preferenze, i voti disgiunti, si è sofferto in tal modo. La mia povera presidente non ha potuto allontanarsi nemmeno venti minuti per mangiare un panino, l'abbiamo dovuta nutrire in loco, e per andare al bagno quasi doveva chiedere il permesso. In tutte le altre elezioni si riusciva a fare delle pause perché tre persone erano sufficienti a far funzionare il seggio (presidente e due scrutatori, vice-presidente e due scrutatori), stavolta il delirio dei bollini antifrode ci ha impedito qualsiasi tipo di "ripresa di fiato". E va detto che siamo stati fortunati ad avere dei rappresentati di lista molto collaborativi ed obiettivi, per cui lo spoglio ha proceduto senza discussioni particolari, per ogni situazione "confusa" si è sempre trovata una soluzione condivisa e di buon senso, altrimenti...
Quando sentite che alle dieci del mattino successivo ci sono ancora seggi che non hanno finito lo scrutinio, può certamente dipendere da mille cose: errore nei conteggi schede, contestazioni e verbali conseguenti da redigere, discussioni di varia natura, incomprensioni tra presidente e vice,  tra scrutatori, incapacità di alcuni di comprendere i funzionamenti del seggio e il lavoro che va svolto...
Quello che la gente non conosce e comprende, se non lo ha mai fatto, è veramente il grande lavoro che c'è dietro ad una elezione. Oltre agli addetti dei comuni, delle prefetture, le forze dell'ordine... c'è questo popolo sconosciuto, il popolo degli scrutatori, che ormai per pochi euro si sobbarca uno sforzo disumano. Dovrebbe parlare, talvolta, questo popolo, non tanto per chiedere più soldi, ma per chiedere maggiore rispetto, maggiore rispetto da parte delle istituzioni, poiché loro sono, in quel momento l'istituzione massima. Questo concetto si è completamente perso.
Mi spiego: con il bollino antifrode il regolamento prevede che la scheda nell'urna la debba depositare il presidente di seggio e non più l'elettore. In molte foto e filmatini giornalistici, avete visto i politici depositare loro stessi la scheda, addirittura Bersani è stato colto a compiere l'operazione senza nemmeno aver fatto staccare il bollino. Roba da matti, come se non conoscesse la normativa.
In troppi casi i presidenti hanno derogato alla regola, sbagliando clamorosamente.
Clamorosamente non perché scavalcassero il regolamento, ma perché scavalcavano il senso dei ruoli nel momento delle elezioni. L'idea  - cerco di essere semplice - che abbiamo completamente perso è che il momento delle elezioni è il momento più alto di una democrazia in quanto il popolo si mette al di sopra di tutte le altre istituzioni, il popolo, nelle figure dei presidenti e degli scrutatori, cittadini comuni e impiegati occasionalmente, non professionisti, rivendica il fondamentale principio che il governo è suo. Certamente, Ministero dell'Interno e Prefetture, insieme ad altri organi istituzionali guidano le operazioni, coordinano, indicano e gestiscono, ma il governo è del popolo. E lo potete rilevare in un semplicissimo fatto: i membri di un seggio costituito sono durante lo svolgimento del loro compito pubblici ufficiali; se arriva la massima autorità dello Stato, il Presidente della Repubblica, è compie, all'interno del seggio una qualsiasi cosa scorretta, il presidente di seggio o anche un semplice scrutatore, hanno il potere di rilevare il comportamento scorretto del cittadino, di redarguirlo, correggerne gli atti e se fosse il caso anche di fare intervenire le forze dell'ordine. Presidente di seggio e scrutatori sono in quel momento più importanti di tutti poiché sono loro a rappresentare il popolo e non un parlamentare sia pure noto o un'alta carica dello Stato.
E' ovvio che quando un Presidente della Repubblica, o della Camera si presentano al seggio, cose strane non ne accadono, poiché loro stessi sono consapevoli che il loro comportamento deve essere di esempio per tutti, da qui la vecchia tradizione di vederli in filmati e foto mentre compiono il loro diritto/dovere di cittadini. 


In questo caso, però, si è vista spesso e quasi volentieri una pericolosa deroga alle regole che il Paese, attraverso i suoi rappresentanti, si era dato: la scheda deve essere imbucata dal presidente di seggio dopo che questi ha tolto i tagliandini antifrode dalle schede.
Pare nulla quello che - vado a memoria - si è visto per Gentiloni, Bersani, Meloni... e invece è decisamente grave. E già, perché la storia del tagliando ha creato fortissimi problemi, grandi rallentamenti nelle operazioni di voto, con la registrazione del numero, il controllo prima e dopo il voto, lo strappo che poteva essere eseguito solo dal presidente... con tutte le discussioni che poi ne sono conseguite, poiché molti elettori, non conoscendo il meccanismo, vedendo il numero della loro scheda annotato vicino al loro nome nell'elenco votanti, temevano che si potesse riconoscere la loro preferenza, altri non volevano che la loro scheda fosse toccata, altri hanno cercato di imbucare da soli comunque... Alla fine, volenti o nolenti, tutti si sono attenuti alle regole. In molti hanno ringraziato, in tantissimi si sono fidati ciecamente di noi scrutatori lasciandoci le schede e andandosene sereni. Quando gli dicevamo di fermarsi a guardare che tutto veniva svolto correttamente, sorridevano e dicevano che non c'era problema. E questa è stata una delle cose più commoventi della giornata.
A qualcuno è stato invece consentito di non attenersi alle regole. Perché? Perché era "uno importante"? Gravissimo errore, quasi che qualcuno abbia sempre in tasca un privilegio da poter utilizzare. I fotografi si mettano l'anima in pace, ma finché c'è questa legge le foto del segretario di partito che butta la sua scheda nell'urna, andranno man mano diminuendo anzi si spera non ce ne saranno più.












La giornata è stata costellata da mille e mille altre difficoltà, impicci, incongruenze... qualcuna l'avete sentita dai tg, ma anche dove le cose sono andate bene i problemi non sono mancati. Basti pensare che questa storia della scheda "manovrabile" solo dal presidente aveva dell'assurdo e ha creato situazioni imbarazzanti, perché il povero presidente di seggio è stato praticamente sequestrato dalle h 7,00 alle h 23,00 e se doveva andare a fare una semplice pipì, si era costretti a sospendere momentaneamente le operazioni di voto... Verso le h 21,30 qualche "luminare" ha compreso, date le mille segnalazioni forse giunte - non ne ho certezza - è arrivata una circolare dalla prefettura (e dunque dal ministero) che diceva che le schede potevano essere toccate anche dal vicepresidente di seggio.
Ciumbia! Ve site addunate ambresso! (Cavolo! Ve ne siete accorti presto!) Tanto per mettere insieme due dialetti. A un'ora e mezzo dalla fine delle operazioni di voto qualcuno ha compreso che qualcosa non andava... complimenti vivissimi.

Ma lasciamo stare. Alla fine ce l'abbiamo fatta. Come sempre. E ci siamo regalati un meritato cornetto e cappuccino. Che altro potete desiderare per avere aiutato la Patria ad essere per quel che si può ancora se stessa?
Ci vediamo alla prossima elezione. Forse... Non lo so... non ho più l'età per certe maratone senza senso. Se rimettiamo il voto di domenica e lunedì... beh, se ne potrà parlare.
Non è questione di soldi (perché se un lavoro non si può fare per cento leuri, non si può fare nemmeno per trecento), è questione di rispetto, e pare proprio che per il popolo degli scrutatori non si abbia alcun rispetto, da ormai troppo e troppo tempo. Anche noi abbiamo diritto alla nostra lucidità, alle nostre pause per riprendere fiato, a staccare un'ora per un pasto decente, a fare qualche ora di sonno tra una giornata e l'altra per svolgere le operazioni di scrutinio, forse la parte più importante, con la dovuta calma, serenità, energia. Nelle condizioni date, nessuno ha il diritto di lamentarsi se non arrivano i dati per soddisfare i tempi televisivi.


(PS - non ho riletto... perdonate, mi sto ancora riprendendo)