Caro Papa Francesco,
la sua omelia durante la messa natalizia non mi è
piaciuta per niente.
Tenterò brevemente, Santità, di spiegarle il
perché.
Il suo discorso era tutto incentrato sulla
questione migranti-accoglienza.
A parte il fatto, Santo Padre, che questa sua per
i migranti sembra diventata un’ossessione pari soltanto a quella della sig.a
Boldrini, la quale dice, afferma e conferma di essere di sinistra, ma ancora
aspettiamo di sentirle dire una parola a favore dei lavoratori. Ma lasciamo
stare, Santità, ché non è tanto il contenuto del suo discorso ad avermi disturbato.
Lei magari non mi crederà, ma ho una vaga idea di
cosa possa essere lo spirito cristiano di carità e accoglienza. Ebbene, il mio
pensiero è andato alla parabola dei talenti. Credo la conosca: Matteo 25,14-30
In quella parabola Gesù ci dice che il padrone non
loda soltanto il servo che ricevuti cinque talenti ne ha riportati altri cinque, ma anche quello che ne ha ricevuti due e ne riporta altri due. La
punizione è solo per il servo che avuto un talento riporta esattamente ciò che
gli è stato consegnato.
Non è una parabola difficile da comprendere: Dio
ti affida un qualcosa e tu devi essere bravo a farlo fruttare secondo le tue
forze e le tue capacità. Solo chi non “porta frutto” viene punito.
Orbene, Santo Padre, dalla parabola mi appare
chiaro che in tutte le situazioni ciascuno di noi può e deve dare il proprio
contributo. Ma da nessuna parte, mi sembra, Cristo stabilisce che esiste la modalità
di contribuzione unica, assoluta e perfetta cui tutti devono rapportarsi per
essere nel giusto. Non è scritto, cioè, da nessuna parte che si è cristiani solo
se si procede in uno specifico modo, modo che, oltre tutto, pare stabilito da
altra parte e a priori, come una sorta di modello in cui rientrare, una forma
alla quale omologarsi.
Il che vuol dire, a mio modo di vedere – se non ci
fossimo capiti – che ciascuno di noi, e di rimbalzo ciascuna comunità, quindi
ciascuno Stato, deciderà in qual modo fare l’accoglienza, secondo le proprie
capacità, possibilità, organizzazione, fattori contingenti, e anche libera volontà.
Si potrà discutere della efficacia e/o validità dei vari comportamenti, ma
nessuno può arrogarsi il diritto di appioppare etichette a nessuno.
Più che
cristiano, mi scusi Santità, questo suo sembra un pensiero da società puritana, dove “chi
fa” è sempre con l’occhio attento al giudizio esterno, e chi osserva è
perennemente pronto a giudicare, e i comportamenti dell’individuo non sono più effettivamente liberi.
Questo accadeva anche nella nostra società
cattolica, mi si dirà. Appunto: ci abbiamo messo tanto a liberarcene che non si
vede perché dovremmo tornare indietro, o ci si voglia far tornare indietro.
Ecco, il suo discorso non mi è piaciuto per
questo, perché mi sono sentito come costretto, messo in un angolo e giudicato
sulla base della mia capacità di omologarmi o no a comportamenti preordinati e
non so nemmeno da chi, certo non da Cristo. Perché mi pare in linea con quel pensiero globalista che
pone sempre i propri criteri al di sopra delle singole storie, che ha stabilito
prima e sempre qual è il bene e qual è il male, che usa frasi come “esportare
la democrazia” come se esistesse un unico modo, giusto, di organizzare la democrazia
mentre tutti gli altri sono sbagliati, e che in questo caso mi dice che esiste
un unico modo di comportarsi con il migrante altrimenti non sei… cristiano,
civile, generoso… Un modo, insomma, che oltre tutto il resto, gioca sul mio
senso di colpa.
Mi perdonerà, Santo Padre: io non rifiuto le sue
parole, ma il meccanismo perverso che percepisco esservi dietro,
indipendentemente dalla sua buona fede che do per certa, e non intendo lasciare
che altri sensi di colpa mi riempiano la vita, ho già i miei, e pesano (come
nelle vite di ciascuno di noi).
Se non ricordo male è Cristo stesso ad averci
lasciato una responsabile libertà di scelta, ad averci posti dinanzi al senso
del dubbio e ad averci chiesto comportamenti unici e non da gregge, comportamenti
da adulti. Non aderirò al pensiero facile e omologato, mi perdoni. Accetterò il
rischio di sbagliare.
Con osservanza.