lunedì 14 gennaio 2019

IN SOFFITTA IL CODICE DELLO SPETTACOLO: "CHE FARE?" (oltre a brindare?)


Mi dicono dalla regia che oggi, 14 gennaio, alle h 18,00 al Laboratorio Formentini in Milano, si terrà un convegno sulla situazione teatrale italiana. Ancor meglio: tema della convention sarà il “che fare?” dopo che la famigerata legge Franceschini è stata praticamente mandata in soffitta dall’attuale governo.
In sintesi: la legge Franceschini, denominata Codice dello Spettacolo, di cui qui abbiamo parlato, entrata in vigore il 27/12/2017, avrebbe visto la sua piena attuazione con la stesura dei decreti attuativi, stabilita per fine dicembre 2018. 
In un primo momento, il ministro Bonisoli intendeva prorogare la data per i decreti (era giunto da poco), poi, pare, in consiglio dei ministri si è semplicemente deciso di lasciar cadere onde procedere alla formulazione di una nuova normativa.
Apriti cielo! Settore in agitazione: il teatro è stato ancora una volta abbandonato a sestesso! Pare sia particolarmente addolorata, poi, la componente sindacale di categoria, la quale si era decisamente spesa nella costruzione di un nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro che sarebbe dovuto andare di pari passo con la nuova legge, ma che, a mio avviso, più che proteggere il lavoratore si preoccupava di inseguire e assecondare il Codice dello Spettacolo.
Avrei voluto rendervi partecipe di tale dolore con l'apposito link, ma pare proprio che il post sia stato cancellato... 
Ma detto francamente, non mi interessa chi sia pro e chi sia contro il governo, e men che meno che l’attuale componente sindacale, in particolare CGIL, pianga.
Le riforme fatte negli ultimi sette anni hanno dato i loro frutti: il disastro.
Dal mio punto di vista, quindi, se questa legge Franceschini – che tanto e tanti di noi hanno criticato, altro che: "
L’approvazione della legge, nell’autunno 2017, era stata salutata con giubilo dall’intero settore." come dice l'articolo di A-Teatro.it -  è finita in soffitta, non può che essere un bene, altrimenti erano assurde le nostre critiche di prima. È come se qualcuno ti colpisse ripetutamente con uno scudiscio, e poi tu urli allo scandalo perché lo scudiscio è stato rubato.
Uno dei movimenti più importanti nati negli ultimi anni, spontaneamente, a tutela dei lavoratori dello spettacolo e senza appartenenza politica, FACCIAMOLACONTA, ha di recente ottenuto una audizione in Commissione Cultura al Senato, dove si sono potute esporre proprio tutte le perplessità della categoria riguardo a queste riforme.
Fortunatamente, ho sentito solo pochissimi appartenenti al gruppo dolersi per la non attuazione del Codice. Mi sarebbe piaciuto che si festeggiasse “lo scampato pericolo”, ma i miei desideri possono solo essere miei, e così sia.

Capisco bene che ora ci si chieda cosa fare, da dove ripartire, come interloquire con la nuova componente governativa, e soprattutto in quale direzione deve andare il Teatro Italiano.
È palese che con Governo e Parlamento sia possibile interloquire, l’audizione in Commissione lo dimostra. Non dimentichiamo, inoltre, che un nostro collega, Nicola Acunzo è non solo deputato delle Repubblica, ma in Commissione Cultura alla Camera. Se non è un buon primo terminale lui, proprio non so chi possa esserlo. Dunque, si può e si potrà lavorare.

Il vero problema è: cosa vogliono i teatranti?
Ma prima ancora: chi sono i teatranti?
E ancor prima: chi parla per loro?
Proprio la presenza di un Acunzo in Parlamento dovrebbe aiutarci a mettere un punto fermo: 

chi sarà interpellato per parlare di teatro, di attori, di lavoratori dello spettacolo, dei problemi del settore e di una intera categoria?
Perché se ancora una volta dovremo vedere ai tavoli persone che non hanno la minima consuetudine con il lavoro di palcoscenico, saremo punto e a capo.
Intendo professori universitari, amministrativi, critici teatrali, scrittori di vario genere, intellettuali non meglio identificati, sindacalisti di dubbia provenienza, e forse, ma proprio forse, alla fine della fila, qualche regista.

Se così sarà, vi dico subito cosa accadrà: questa massa informe di soggetti che ruotano intorno al sudore degli attori e dei tecnici, si porrà come controparte al fine di preservare le proprie posizioni di rendita a scapito proprio di attori e tecnici.
Il Codice dello Spettacolo andava proprio in tale direzione: “liberalizzare” il mercato lavorativo fino ad aprire al dilettantismo (perché qui piangiamo, ma poi le cose serie le dimentichiamo! Come "la questione 35 anni" che la riforma Franceschini ha introdotto!!!), in modo da convogliare i pochi fondi a disposizione sulla massa burocratico-amministrativa, togliendoli dal palcoscenico.
Capisco, dunque, l’agitazione, la perplessità e la preoccupazione del complesso “intellettuale burocratico amministrativo” (che nemmeno dietro le quinte si muove perché non saprebbe muovercisi): “in quale direzione si andrà?”.

Attenzione, perché è anche possibile che si indìcano e si pubblicizzino convegni, proprio per mostrarsi quali interlocutori autorevoli e credibili. Non dico che sia il caso della riunione di oggi a Milano, ma in futuro ciò potrà accadere.
Per questo è necessaria, da parte di tutti i lavoratori dello spettacolo, una accorta vigilanza e una giusta pressione su chi di noi è dentro le istituzioni. Forse abbiamo davanti a noi, per la prima volta, l’occasione per non farci fregare. E i movimenti spontanei di attori hanno fino ad oggi fatto un buon lavoro: su questi chi è in Parlamento potrà contare.  

Voglio concludere con un piccolo aneddoto: sono stato poco tempo fa a vedere e a trovare la mia cara amica Mascia Musy che era in scena con un bello spettacolo “Callas Master Class”
Al termine, con la mia compagna siamo andati a salutarla in camerino e, come sempre accade, mentre lei si struccava, abbiamo un po’ chiacchierato. Tempo un quarto d’ora, il custode del teatro è venuto a bussare per segnalare che tutti erano andati via e che lui doveva chiudere!
Ecco, a me piacerebbe che un direttore di teatro, appoggiato da un sindacalista, spiegasse a quel custode che se lui ha un posto di lavoro è proprio perché ci sono quegli attori che vanno sul palcoscenico, altrimenti il teatro lo chiudono. Semplice.
E se esiste una consuetudine teatrale, secolare, per la quale ci si intrattiene un po’ dopo lo spettacolo questa consuetudine va rispettata e non scavalcata perché il custode è stufo e deve tornare a casa a bere la sua tazza di latte caldo con i biscotti.
E se il custode dovesse ricorrere al sindacato, mi piacerebbe che il sindacato gli desse torto, almeno entro certi limiti di prolungamento dell’orario di lavoro necessario ad assecondare la storia del teatro!

Questa macchina burocratica, amministrativa, intellettuale, vive e prolifica sulle spalle degli attori. Vogliamo cominciare a cambiare questa tendenza? Bene: la non approvazione della legge Franceschini è un primo passo, e un passo felice.
Al centro della vita teatrale italiana paradossalmente non deve nemmeno esserci la Cultura, ma il lavoro, il lavoro di attori e tecnici. Il resto verrà tutto in conseguenza, anche la Cultura.
Oppure saremo sempre al punto di partenza.

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