lunedì 12 maggio 2025

L'ABBAGLIO, ROVINARE UN BEL FILM PER UNA BATTUTA




Dato che imperversano le polemiche sul cinema italiano e le sue crisi, perenni crisi se vado alle mie più lontane memorie, ci siam visti un atteso film proprio del cinema italiano: "L'abbaglio" di Roberto Andò. 
Vista la bella prova con "La stranezza" c'erano tutti i presupposti per un'ennesimo buon film. 
E così è stato... fino agli ultimi trenta secondi! 

Sintetizzando, "L'abbaglio" è un bel film rovinato dalla battuta finale!
Io comunque vi consiglio vivamente di vederlo perché, innanzi tutto, Ficarra e Picone sono bravissimi, per certi versi ancor più bravi che ne La stranezza dove comunque mantenevano una vena comica che qui è totalmente espulsa.
Su Servillo sorvolo: non lo amo, non l'ho mai amato, non mi soddisfa mai, trovo che sia didascalico, non credibile, sempre retorico e professorale, perpetuamente intento a trasmettere un messaggio morale più che a recitare. Ha il pieno difetto degli attori/registi legati a doppio filo alla sinistra italiana, attuale e storica: l'intelletto sopravanza il mestiere, mortificando così, sempre, l'espressione artistica. 
La sceneggiatura è azzeccatissima, la storia intensa, con soluzioni e spunti decisamente interessanti e divertenti (non nel senso che si ride!). In alcuni momenti non nascondo di essermi commosso: il sacrificio del ragazzino sulla rocca, per esempio, è un bel colpo; bei costumi, belle scene - anche se la parte computerizzata meritava forse un po' più di cura - e splendida la scelta dei luoghi che esalta una Sicilia, dura, antica e magnifica. 

Ma allora, cos'è che rovina il film?
A bene vedere la storia ricalca quella di un capolavoro del cinema non solo italiano: "La grande guerra", di Mario Monicelli con Gassman e Sordi, dove c'è il riscatto dell'italiano vigliacchetto e truffaldino, debole e pauroso che alla fin fine può, a suo modo, rivelarsi un eroe. 



Un film straordinario, La grande guerra, che essendo stato realizzato una ventina scarsa di anni dopo il fascismo, porta in sé uno straordinario messaggio: contro il virilismo fascista, il debole, il vigliacco ha pieno diritto di essere difeso e considerato, poiché da tutti, dai comportamenti più impensabili e non omologati possono venire delle sorprese. 

Anche nel caso de "L'abbaglio" la storia procede sorprendendoci, ma simpaticamente, i due furfantelli alla fine non solo riprendono la loro strada di piccoli lestofanti, ma fanno, se così possiamo dire, addirittura carriera, mettendo su una bellissima casa di tolleranza con annessa bisca clandestina. 
Il gesto che hanno compiuto è stato davvero eroico e rischioso, ci si aspetta verso di loro un sorriso di comprensione e comunque di ringraziamento. 

Ed invece, eccolo il moralismo che ha smontato e triturato tante speranze e molte possibilità del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi, quando una certa parte politica decise che l'Italia era un paesucolo di lestofanti, vigliacchetti e imbroglioncelli, per cui il protagonista, il colonnello Orsini, che tanto realmente ha fatto per l'Unità d'Italia, decide che le loro fatiche, tutta l'impresa dei Mille, è stata inutile poiché questa penisola, Nazione di imbroglioni era e Nazione di imbroglioni è rimasta. 

Dov'è il problema? Il problema è che pure in questo caso, l'intellettualizzazione si sovrappone a uno spontaneo flusso narrativo: non si lascia che la storia proceda per dove essa vuol condurre, ma la si forza a una soluzione, a un tema, a una morale che dopo tanta bellezza, va sottolineato, ti fa cascare le braccia. Hai fatto tutto questo, costruito questa sceneggiatura, questo film, solo per dirci che alla fine che si è combattuto per nulla, per avere lo stesso paese di gattopardi? Beh, caro Andò: banale, scontato, visto e rivisto, e ne siamo anche stanchi. 
Forse questo Paese merita qualcosa di più della solita denigrazione, forse merita il vostro talento che sa condurre ottimamente un film, film che non merita di perdersi per voler dire la noiosa battuta finale.